Di Ilaria Carosi* - Sento spesso dire che gli extracomunitari non si possono integrare perché non hanno i nostri stessi valori. È vero. Ci sono posti del mondo in cui il valore di una persona non è minimamente paragonabile a quello che gli conferiamo noi.
Kemal aveva 15 anni ed è morto due giorni fa nella miniera di Soma, in Turchia, a causa di un’esplosione che ha finora ucciso 238 persone. Almeno 100 mancano ancora all’appello.
Chiaro che i 15 anni di Kemal pesano di meno dei 15 anni dei ragazzini i cui nomi ho trascritto sulle pagine della mia agenda di oggi e domani, tra i miei appuntamenti.
Adolescenti smarriti, compressi dal peso di paure difficili da affrontare perché non se ne conosce l’origine, non le si sa circoscrivere. Chissà se Kemal aveva paura del buio. O dei topi che certamente avrà visto, là sotto.
Sarebbe bastato davvero poco a metterli uno al posto dell’altro o anche a fare incontrare i loro destini. Martedì, mentre Kemal moriva in Turchia, probabilmente soffocato dalle esalazioni di gas, una neonata di “pochi mesi” e una bambina di “non più di due anni” morivano su un barcone, mentre cercavano di raggiungere le coste italiane sorrette dalla speranza di una vita migliore, l’unica a dare forza alle braccia dei loro genitori. I valori delle loro vite sono ancora minori: di quelle bambine non conosciamo neppure il nome.
Il sesso e la vaga età voglio considerarli il “dono” di un giornalista molto scrupoloso, attento ai dettagli. Voglio rileggere questo particolare come un modo per restituire a quei piccoli corpi la dignità che meritano, perché dalla vita non avranno altro. Martedì, su quel barcone, sono morti in 17. Cadaveri restati insieme ai 206 sopravvissuti, quelli sbarcati “vivi”.
Tra qualche mese potrei trovarmi davanti proprio qualcuno di loro. E chiederò, perché lo faccio sempre, se sul loro barcone ci sono state vittime. Resteremo in silenzio. Mi siederà davanti chi avrà la fortuna di essere inserito in un progetto Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), finanziato dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo e attuato sul nostro territorio da enti locali e Arci. Un servizio che accoglie per sei mesi, mette in regola, quando si può, les papiers, i documenti, alfabetizza ad una prima conoscenza della lingua italiana e avvia dei tirocini formativi/lavorativi.
Lo prevede la legge e il problema non è ciò che un richiedente asilo o un rifugiato o uno straniero con permesso umanitario “toglie” agli italiani. Il problema vero è che non basta. Non basta a risolvere un’emergenza enorme: quella della protezione dei diritti umani.
Diritti di cui dovremmo godere tutti, a prescindere. Non godere tutti “tranne i neri”, “tranne i meridionali”, “tranne chi non fa parte della casta” (politica, non induista).
Godere tutti. Il diritto all’infanzia, il diritto a mangiare tutti i giorni e più volte al giorno, il diritto alla scolarizzazione, il diritto ad avere un lavoro dignitoso e retribuito in modo equo, il diritto a formare una famiglia e a farlo scegliendo liberamente il sesso, la religione, la cultura, la lingua, il colore di pelle di chi desideriamo avere accanto. Il diritto a morire in modo dignitoso. Non sepolti vivi.
Godere tutti. Anche Kemal. Anche le due bambine senza nome. Anche quei bambini che ieri sono sbarcati “vivi” e che tra qualche mese potrebbero trovarsi sui banchi di scuola insieme ai nostri concittadini terremotati.
L’altro problema è che le norme legate alla richiesta di asilo non sono funzionali, meno che mai lo sono in Italia, paese diventato ormai la “frontiera dell’Europa”, il primo in cui facilmente si sbarca, vista la vicinanza con la Libia. E l’unico deputato ad accogliere la domanda di asilo.
Frontiera d’Europa, proprio di quell’Europa che finge di non vedere e chiede a gran voce “cosa pretende l’Italia”. Parole durissime e inaccettabili.
Intanto ieri a L’Aquila si è tenuto un tavolo di concertazione tra sindaci dei capoluoghi di provincia e rappresentanti delle Prefetture, per decidere come gestire a livello regionale gli sbarchi delle ultime settimane, quella quota di disperati che probabilmente il Ministero dell’Interno assegnerà ad ogni regione. Una quota di migranti spetterà anche a noi.
*Psicologa e psicoterapeuta aquilana. Si occupa di migranti e di politiche dell'immigrazione dal 2000.