Apprendiamo con preoccupazione la direttiva emessa dal Ministero dell’Interno in data 10 novembre che, motivata dall’intenzione di limitare le manifestazioni relative alle misure sanitarie adottate dal Governo, permette di fatto in base a criteri discrezionali di vietare tutti i cortei, anche inerenti ogni altra tematica, all’interno dei centri storici e delle vie del commercio cittadine.
Nel corso degli ultimi mesi, in tantissimi come lavoratori, studenti e cittadini siamo scesi in piazza per rivendicare un’uscita giusta dalla crisi pandemica e un cambio di rotta generale. Lo abbiamo fatto negli scioperi per il clima, nelle piazze per il lavoro e nei cortei antifascisti e lo abbiamo fatto in sicurezza, rispettando le misure previste nella tutela della salute di tutti, mettendo al centro l’importanza della cura collettiva. Nelle manifestazioni che hanno attraversato tutto il Paese abbiamo rivendicato il diritto alle cure e ai vaccini per tutti, contro la gestione diseguale che caratterizza la campagna vaccinale a livello globale, contro i definanziamenti che hanno messo in ginocchio il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Oggi è necessario uscire dalla situazione di crisi sociale e sanitaria in cui siamo, ma è necessario farlo mettendo al centro i diritti, le persone, la lotta alle diseguaglianze e all’ingiustizia sociale.
Nel testo della direttiva si afferma esplicitamente che le misure di interdizione di “aree urbane sensibili”, nonché il divieto di svolgimento di cortei, “potranno trovare applicazione per manifestazioni pubbliche attinenti ad ogni altra tematica” (oltre a quelle legate alle misure sanitarie), e che “l’evoluzione del fenomeno correlato alla protesta per le misure emergenziali dettate dal COVID-19 ne renda necessaria l’urgente e immediata attuazione”. Un provvedimento di questo tipo contiene un rischio altissimo di compressione del diritto costituzionale alla libertà di manifestazione del dissenso e delle idee, pur nel riconoscimento della preoccupante situazione epidemiologica.
Limitare il diritto di manifestazione in questo modo è un grave attacco alla democrazia, in una fase in cui già gli spazi di confronto e ascolto da parte delle istituzioni sono stati pesantemente ristretti, in particolare durante la fase acuta della pandemia. La tutela degli interessi commerciali non può rappresentare un’ulteriore causa di contrazione della democrazia; oltretutto, risulta difficile comprendere perché il diritto “allo svolgimento delle attività lavorative e alla mobilità dei cittadini” vada tutelato in centro e non al di fuori di questo, né perché le stesse misure sanitarie vadano applicate solo in alcune zone delle città.
La politica, oggi più che mai, non può ridursi a gestire l’ordine pubblico in maniera autoritaria e repressiva, ma deve interrogarsi sulle risposte reali da dare alla popolazione: a chi lavora, a chi il lavoro l’ha perso, a chi studia, alle nuove generazioni che vedono il futuro sempre più in bilico, a chi sta pagando le conseguenze della crisi pandemica. Chi manifesta è interprete di questi vuoti da colmare ed è compito della politica occuparsene e non ignorarli o reprimerli. Come organizzazioni sociali, movimenti, sindacati, realtà della società civile facciamo appello alla politica e alle istituzioni perché si faccia un immediato passo indietro e non si metta sotto attacco il diritto di manifestazione.
Firmato da: ADI, ARCI, Attac, Chi si cura di te?, Fairwatch, FIOM CGIL NAZIONALE, FLC CGIL NAZIONALE, Legambiente, Libera Contro le Mafie, Link Coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Rete degli Studenti Medi, Società della Cura, Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, UP