Lunedì, 15 Dicembre 2014 19:05

Perché Felice Centofanti è meglio di Platini e di Foster Wallace (e anche di Maradona)

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Alessandro Chiappanuvoli* risponde a Enrico Macioci e al suo articolo Perché Platini è meglio di Foster Wallace (e anche di Maradona). 

Questa non è una dichiarazione di guerra, è bene chiarirlo, perché a ragione tu sai che spesso eccedo nei modi soprattutto nel vivo di un discorso con te, caro Enrico. Il noccio del discorso è proprio ciò che ci piace – che si possa saperne o meno il perché – il punto è quel che ci attira, il traguardo verso cui tendiamo “con affetto venato di crudeltà – o forse con crudeltà vagamente affettuosa”.

Io ho iniziato a seguire il calcio per merito (o colpa) di mio padre. Simpatizzavo come lui per Maradona e poi divenni persino interista. Platini non era che una figurina Panini, un acerrimo nemico juventino. Quasi trent'anni dopo, ho letto ancora poco di David Foster Wallace, ammiro Platini (solo come giocatore) e voglio dirti perché a loro preferisco di gran lunga Felice Centofanti, e cioè perché un tratto imprevisto è meglio della linearità e del cavillo e il segno sbadato di una penna meglio della linea retta e della spirale.

Felice Centofanti si fa presto a raccontarlo. Fu il primo acquisto dell’era Moratti ma stette solo un anno nell’Inter, all’ombra di un certo Roberto Carlos. Si conquistò però quella chiamata a suo goal, ne fece ben 25, da terzino, nelle serie minori. Nel 1994 disputò addirittura la finale di Coppa Italia con l’Ancona, persa ovviamente contro la Samp di Gullit, Platt e Mancini (1-6). Tornò poi nelle serie minori, dove continuò a segnare goal, sempre da terzino, 61 in totale. Lo si ricorda anche per un paio di stagioni come inviato di Striscia la notizia, aiutava i giocatori in difficoltà: “Felice Centofanti li sistema tutti quanti”.

In letteratura è pressappoco lo stesso, quanti sono stati nella storia gli scrittori “da una botta e via”, o peggio, quelli che seppur pubblicato decine di volumi non sono mai saliti alla ribalta delle cronache; è che il talento quando non puro e trasparente, è difficile da vedere, rimane nell’abisso.

Di Foster Wallace – “autore dotatissimo, coltissimo, pirotecnico” – ho paura; quando lo leggo temo di rimanere incastrato nel suo meccanismo; e a me i meccanismi non piacciono molto, rifuggo la tecnica, voglio concentrarmi solo sulla storia, giocare il gioco dello scrittore.

“A proposito di gioco, andate su Youtube e regalatevi” 23 secondi di Felice Centofanti (posso consigliare solo il video della doppia rovesciata Agostini e Centofanti). Non guardate il goal (di Agostini per altro), guardate il gesto tecnico di Felice, la palla spiovente, la follia allo stato puro, solo imprevedibilità dolce e profonda, e i capelli al vento.

La grandezza di Centofanti sta nella limitatezza dei propri mezzi “e del modo migliore di sfruttarli”; lui non sa quando lanciare a cinquanta o quando a cinque metri, non sa dribblare e forse neanche passare il pallone, ma sa anticipare e non conosce il significato di rallentare; il suo gioco è pura, sfrontata passione; il suo raggio d’azione è relegato sulla fascia. Se Maradona è fuoco e Platini è ghiaccio, lui è solo un lampo. Maradona ha bisogno dell’avversario, Platini dell’infinito, Centofanti di sei tacchetti in ferro sotto lo scarpino.

Centofanti quasi non è esistito, è un rude difensore che pochi sono in grado di decifrare, infatti, pur essendo terzino segna come molti centravanti e pur segnando come un centravanti è relegato a essere se stesso, un rude terzino. Baresi non ha fatto dichiarazioni su Centofanti. Maradona non sa neanche chi sia. Il suo non è uno stile vero e proprio; alcune sue reti sono frutto della follia e dell’improvvisazione motoria, non come Cristiano Ronaldo o Messi; ma la sua passione è antica e si scontra con la palla stessa, con la bruttezza intrinseca della suo stile.

Foster Wallace – proseguendo il tuo parallelismo tra calcio e letteratura – non è Centofanti, possiede un genio; è un grande autore non un semplice terzino da serie cadetta; certo anche se non fosse morto, non avrebbe mai scritto una parola su Felice; forse però avrebbe saputo trovare la chiave per descrivere quel talento inspiegabile di coniugare istinto e passione come faceva Centofanti, le cui azioni scriteriate in mezzo a fior fiori di professionisti erano la ragione stessa del suo calcio, l’unica sua dimensione di vita, il solo ruolo che riusciva a ricavarsi.

Forse Foster Wallace l’avrebbe descritto in modo scarno, aggiungendovi però la sua cifra personale – con umorismo, certo, pietà e compassione. Anch’io ammiro Foster Wallace, pur avendolo letto molto poco (La ragazza dai capelli strani, Questa è l’acqua, gemme sufficientemente brillanti).

Non so se, concedendosi un paio di decenni in più, “avrebbe migliorato il suo fragile patto col daimon”; tuttavia egli non possedeva la follia di Centofanti, capace di correre senza sosta sul bordo del campo, sempre sul punto di cadere e cadendo spesso ma pronto sempre a rialzarsi e lottare; egli agiva il suo daimon anziché ragionarlo, lo incarnava senza analizzarlo, lo smontava anziché capirlo.

Platini certo, beh, Platini è un’altra cosa ancora, ma Centofanti è una cosa che contempla ogni rischio perché è incarnato nel rischio, nell’arcana antitesi del caos.

Quest’altra cosa, io credo, è il segreto infine svelato che la passione, per quanto rudimentale, può surclassare la tecnica, a volte; non certo rimanere negli annali, ma conquistare il cuore di un sacco di tifosi.

*Alessandro Chiappanuvoli, scrittore e poeta, è nato all'Aquila nel 1981. Suoi articoli, scritti e poesie sono apparsi su varie testate e riviste. Ha un blog, Origami di un Chiappanuvoli. Vive all'Aquila.

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