di Doriana Legge - Hanno vinto i ragazzi de Il volo. E qui terminano e si esauriscono i miei doveri di cronista ANSA.
Fingiamo ora che io sia qui per dire cose vere, è la base di ogni patto tra lettore-autore, la Sacra Bibbia – in barba a tutti – ha portato alla chiesa milioni di fedeli con questa storia. Allora non credete ai venticelli calunniosi che spirano in giro, io stessa mi devo ricredere e affermare a gran voce che nell’ultima serata, sarà stata l’assuefazione, ma c’è stato del genio.
Forse dai tempi in cui furono concepiti i calzini con i peli della vigogna (animale simile al lama, costo articolo circa mille euro) che non si trovava modo migliore per rubare il tempo della vita a quello della morte. Neanche la suddetta vigogna avrebbe trovato maniera più abile per annientarsi, così come invece riesce a fare il cantante a Sanremo. L’artista trova in quel palcoscenico il modo per rappresentare il suo bisogno di sparire, di autoesiliarsi, di disintegrarsi da una terra in cui padri non sanno che farsene dei figli, e con che audacia lo fa.
Riassunto delle puntate precedenti. La serata di cover è stato uno sfavillio in cui i 64 anni di canzoni son stati disossati. Carne al macello sarebbe meglio dire. A febbraio si fa fuori il maiale (e mi spiace un po’), ma anche a Sanremo alla buona carne non tocca sorte migliore. Vince Nek, e ricoverano Raf in ospedale, dopo la sua versione di Rose Rosse. Anche io avrei finto uno svenimento sul palco, unico modo per uscirne in maniera dignitosa. Progetto ambizioso rifarti a Ranieri caro Raf.
In linea con le metafore faunistiche, quella ruspante di Emma, anche stasera è colta da completa disarticolazione del linguaggio. Le sue comparsate oscillano tra i 20 e i 31 secondi, poi è costretta ad abbandonare il palco non appena i sintomi si fanno più forti. E poi il tutto è tinteggiato dalle isole realistiche di Arisa, il cui andamento ricorda quello del mini-pony.
Ma con grande stupore stasera sembrano un po’ tutti più brillanti. Si comincia con le performance invidiabili di Masini e Nina Zilli cui si aggiunge Chiara (la donna senza cognome, e qui il vincitore di Sanremo giovani Giovanni Caccamo avrebbe da imparare). Poi arrivano i Dear Jack, con i loro problemi di scoliosi, e non c’è più modo di orientarsi tra le stelle e le stalle, si perde la rotta.
Gianna Nannini ospite speciale. Diciamocelo, dopo ieri mezza Italia è preoccupata per lei. Sbaglia ritornelli, ride, tracanna acqua da una bottiglietta presa a caso dietro le quinte, saluta Emma come fosse all’osteria. Oh che fatica Gianna. Intanto però nei tempi d’oro mieteva vittime al solo suo passaggio: tormentate ragazze che al suo grido si agitavano tarantolate al ritmo di un presunto rock. Qui vi riporto la testimonianza “viva” di Maria Grazia Impero, Sanremo 1993, indiavolata sedicenne che si richiamava allo stile della Giannona, ma con un gilet country che anticipava i tempi della Madonna di Don’t tell me. Quanto stava avanti Maria Grazia Impero (https://www.youtube.com/watch?v=DX7pbR3Z2-Y).
All’ennesimo latrato, quarta ripetizione del ritornello, chiederei ad Alex Britti di lasciar incompiuta l’opera per far sì che altri la proseguano dopo di lui. Posso osare e immaginare che sorte migliore toccherebbe al suo pezzo che non quella capitata alla sfortunata Turandot di Puccini. Ma no lui continua e uccide la Liù che è in noi, ne intona il coro funebre e riprende «No, mai nessun m’avrà! Dell’ava lo strazio (non) si rinnoverà!»
Qui mi si taccerà di prurito intellettuale, ma le asprezze dei toni sono giustificate, e non certo dai cicli lunari, ma solo perché mi rode un po’ che stasera ci toccano i Britti, le Annalisa, le Atzei, e invece Anna Tatangelo e Lara Fabian le hanno fatte fuori così, e neanche è valsa la regola del riciclo? Ricicliamo anche la plastica maleodorante delle mozzarelle del discount e ad Anna e Lara non facciamo fare le vallette? Che mondo è mai questo?
È il mondo Sanremese dove alle 23e15 si contano le prime vittime, e viene annunciata la scomparsa di Michele Ferrero, patriarca del mondo Nutella. Testimonianza che sia un universo a parte è certo nelle regole prospettiche un po’ sballate del palco dell’Ariston. Mi spiego: la cartellonistica, quei messaggi che i conduttori cercano famelici, come faro in una notte ubriaca, beh queste insegne dov’erano? Dov’erano se ci sono sembrati tutti miopi, strabici, disadattati? Voto il ripristino della botola del suggeritore, il povero gobbo che sputa sulle gambe, ma ad affinar l’udito si fa certo miglior figura di quella esibita in queste cinque sere.
Veniamo al cortocircuito che ci ha consumato in queste notti insonni, scatta in noi piccoli e presuntuosi telespettatori del festival. Consideriamo Sanremo a tratti deplorevole, ma lo guardiamo famelici, sperando che il nostro beniamino vinca. Se l’amato ci sembra fuori dal mainstream, siamo anche pronti a dar voce ai diverticoli delle nostre interiora pur di sostenerlo. Ma stiamo attenti, se qualora il miracolo dovesse avvenire, saremo costretti a non parlarne più male del Festival, ad apprezzarlo per i contenuti, e sperare che la benedizione si ripeta.
E questo accadde a me nel lontano 1997 con la vittoria dei Jalisse, e poi nel 1998 con Annalisa Minetti, che anni memorabili quelli. Perché noi qui ridiamo e scherziamo ma c’è gente che ha vinto il festival con i capelli leopardati. E noi da bravi italiani certe cose le abbiamo dimenticate, nell’oblio, peggior scantinato della memoria. Quindi siate contenti voi sostenitori dello scarto sanremese, bene che non vincano i Kutso, bene che Donatella Rettore neanche ce l’abbia fatta arrivare al festival, bene che vinca Il volo. Ma soprattutto: bene che il look di Annalisa Minetti non abbia avuto seguito.
Una parola per le battute finali. Le maschere comiche sono scure e rugose, richiamano la pelle da chi torna dalle fiamme dell’inferno: e il nostro moro Otello-Conti certo non si aspettava che la sua spina nel fianco potesse essere lo Jago-computer che nel momento della classifica finale che fa? Ti va in crash. A me succede con i programmi crackati. Intanto noi lunedì ricordiamoci di pagare il canone rai.
È l’una passata, ho rubato un paio d’ore alla mia notte brava, mi concedo un ultimo sfizio e ricordo che su quel palco ci sono state delle belle eccellenze, “effetti speciali, la polizia, travestirsi, la censura, l’oppio, la religione, il lego, l’assenzio” i Bluvertigo ad esempio. https://www.youtube.com/watch?v=M4FCg2l5d4g
E se il senso dell’umorismo è legato alla consapevolezza di essere mortale, allora “ALLEGRIA” direbbe il buon Mike, che se davvero lo hanno riposto di nuovo nella tomba, forse un po’ ci si è rivoltato.
di Doriana Legge