71 anni dalla liberazione della città dell'Aquila. Il 13 giugno 1944 il capoluogo abruzzese fu liberato dai nazifascisti, che avevano occupato la città nove mesi prima.
Come scrive lo storico aquilano Walter Cavalieri nel suo L'Aquila, dall'armistizio alla Repubblica. 1943-1946, "Nella notte fra il 12 e il 13 giugno 1944, un gran rumore di mezzi tedeschi in direzione nord si propagò lungo tutto il Corso (Vittorio Emanuele, ndr) e via XX settembre. Oltre che sui loro mezzi, gli ultimi tedeschi andavano via anche su automobili private requisite a cittadini aquilani".
L'Aquila non era certo tra i maggiori centri di azione partigiana, nel corso del secondo conflitto mondiale si trovava fuori dalle maggiori vie di comunicazione, e venne risparmiata dalle principali battaglie. Ma fu comunque teatro di stragi, anche a causa della sua posizione a ridosso della Linea Gustav, mantenuta fino al 1944 dai tedeschi nel centro-sud dell'Abruzzo, e che univa la Val di Sangro al Mar Tirreno. Come è noto, poi, nel 1943, dopo l'armistizio, nell'albergo di Campo Imperatore venne imprigionato Benito Mussolini, poi liberato dai tedeschi che occuparono la città e diedero inizio a un periodo buio, terminato solo con la loro ritirata, nel giugno del 1944.
Prima di allora, però, Il 23 settembre 1943 dieci giovani vennero catturati nelle montagne sopra la frazione aquilana di Collebrincioni: nove di loro (i nove martiri aquilani) vennero fucilati, mentre il decimo riuscì a salvarsi. Quasi due mesi più tardi, l'8 dicembre 1943, L'Aquila fu bombardata da parte degli alleati: vennero distrutte la stazione ferroviaria e la vicina zecca della Banca d'Italia.
Il 2 giugno 1944, come rappresaglia in seguito all'uccisione di un ufficiale tedesco ad Onna, venne immediatamente ammazzata una ragazza e, qualche giorno più tardi, furono sequestrate 16 persone: persero la vita, mitragliate e fatte saltare in aria. Il 7 giugno 1944, poi, l'ennesimo assalto ai tedeschi causò un'altra rappresaglia dei nazisti, procurando l'uccisione di 17 persone nella frazione aquilana di Filetto.
Anche grazie alla costituzione della partigiana Brigata Maiella, che iniziò a operare nell'Abruzzo interno già dall'autunno del 1943, nel giugno dell'anno successivo l'Abruzzo e L'Aquila furono liberati dalle truppe britanniche, polacche, italiane e statunitensi. Come sottolinea lo stesso Cavalieri durante il discorso nella commemorazione ufficiale dello scorso anno [che vi proponiamo in forma integrale in basso], "altro che miracolo di Sant'Antonio! La liberazione dell'Aquila va intesa unicamente come il frutto di una lotta senza quartiere al nazi-fascismo". Insomma, se la liberazione non fu l'epilogo di battaglie epiche come in altri luoghi (vedi Firenze o Bologna), sicuramente fu anche il risultato dell'ostilità degli aquilani nei confronti dei nazisti, che avevano invaso la città nove mesi prima.
Mercoledì scorso il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente ha reso omaggio, insieme ad altri rappresentanti istituzionali, ai martiri di Onna. I fatti di Onna e Filetto furono gli episodi più violenti e tragici di quello che è oggi il capoluogo d'Abruzzo.
Stamane, in occasione del 71esimo anniversario della liberazione dell'Aquila, le istituzioni hanno depositato a Piazza Palazzo una corona presso la lapide che ricorda quei giorni convulsi. Poco dopo, nel vicino Palazzetto dei Nobili, è stato presentato il volume Percorso memoria natura 1943-44, in collaborazione con l'Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi) dell'Aquila, il Club alpino italiano (Cai), l'Istituto abruzzese per la storia della resistenza e dell'Italia contemporanea e il Parco nazionale Gran Sasso e Monti della Laga.
Il percorso tra natura e memoria, di circa 60 chilometri, si articola in sei tratti:
1. L'Aquila - San Sisto - Collebrincioni, inaugurato l'anno scorso con il cippo in memoria dei 9 martiri;
2. Collebrincioni - Fonte Nera - Arischia, zona operativa del gruppo partigiano di Antonio D'Ascenzo e luogo di fucilazione dei pescaresi Vermondo Di Federico e Renato Berardinucci, medaglie d’oro al valor militare;
3. Arischia - Casale Cappelli, luogo di scontro armato tra il gruppo di Giovanni Ricottilli e i tedeschi, in cui perse la vita il partigiano Giovanni Vincenzo;
4. Casale Cappelli - Assergi - Filetto, luogo d'azione dei partigiani del gruppo Aldo Rasero e della strage dei civili del 7 giugno 1944, quando Filetto fu dato alle fiamme;
5. Filetto - Monte Archetto, luogo di insediamento del gruppo di Aldo Rasero nella primavera del 1944;
6. Monte Archetto - Onna, luogo della strage nazista dell'11 giugno 1944.
I tratti sono segnati con pannelli illustrativi che contengono informazioni storiche, naturalistiche e paesaggistiche.
Vogliamo proporvi il testo letto dallo storico Cavalieri in occasione della commemorazione ufficiale dello scorso anno, a 70 anni dalla liberazione dell'Aquila
Questo 70° anniversario della Liberazione dell'Aquila cade in un momento particolare della nostra storia civile, con una Città che dopo 5 anni è pienamente impegnata nella propria ricostruzione. Una ricostruzione - mi si perdoni il paragone irriverente - che rappresenta il nostro dopoguerra, visto che per le nostre generazioni il terremoto è stato la nostra guerra e la anche nostra Resistenza. In questo contesto di rinascita, la cultura e la Storia possono svolgere un ruolo fondamentale nella ricostruzione morale della città, della sua coesione sociale, dell'identità da trasmettere ai nostri figli.
Compito arduo, poiché nel dna dell'Aquilano (la cosiddetta Aquilanitas) vi sono molte doti positive riconosciute da tutti (tenacia, fierezza, ironia, capacità di adattamento), ma anche un'innata tendenza al dileggio, alla rissosità interna e alla superficialità di giudizio.
Sono questi nostri limiti, ad esempio, che per decenni hanno interpretato la vicenda dei Nove Martiri come "una ragazzata" o un'iniziativa goliardica finita male. C'è voluto molto tempo e, vi assicuro, molto studio per ripristinare la verità. Anche se di "verità storica" non si dovrebbe mai parlare, è tuttavia sempre preferibile una interpretazione plausibile e documentata piuttosto che una realtà storica romanzata e fantasiosa.
Oggi abbiamo finalmente capito che la sparatoria che avvenne il 23 settembre '43 su Monte Castellano è stato uno dei primissimi scontri armati fra civili italiani e militari tedeschi: praticamente l'inizio della Resistenza italiana! Ed è grazie a questo lavoro che oggi tutti gli Aquilani si accostano con deferenza e con riconoscenza al cippo posto il 25 aprile all'inizio del sentiero che porta a Madonna Fore e a Collebrincioni.
Qualcosa di simile vale anche per la liberazione dell'Aquila, della quale ancora oggi ci si limita spesso a dire soltanto che "la città non fu liberata da nessuno", che fu abbandonata spontaneamente dai tedeschi, come se nessuno li abbia spinti ad andare via. Anche in questo caso, è necessario ricostruire (sia pure per sommi capi) il contesto e restituire all'evento la sua giusta dimensione.
E' vero, L'Aquila non è stata liberata con una battaglia campale o con un lungo assedio (come Firenze o Bologna), ma è anche vero che la ritirata tedesca verso Nord non fu affatto spontanea, ma dettata da ben precise ragioni militari.
Basti dire che il 6 giugno si era aperto un secondo fronte in Europa con lo sbarco in Normandia e si preparava dunque la battaglia finale per la difesa della Germania. Inoltre sullo scacchiere italiano, a metà maggio, dopo quattro sanguinose battaglie era crollato il caposaldo di Cassino, si era aperta la strada verso Roma e - cosa ben più grave - i tedeschi presenti in Abruzzo rischiavano di essere accerchiati da una manovra di ricongiungimento con l'VIII armata inglese che risaliva sul versante adriatico. Insomma, a metà '44 quello tedesco era già un esercito sconfitto che non aveva altre alternative alla ritirata.
Ma c'è anche un altro elemento che consigliava ai tedeschi di affrettare il ripiegamento: la crescente insicurezza del retrofronte, reso sempre più infido dalle attività partigiane. E' naturale, infatti, che uno sforzo prolungato sulla Linea Gustav poteva essere assicurato solo da una salda retrovia capace di ospitare in piena sicurezza tutta la logistica tedesca: officine, macellerie, panetterie, magazzini, ospedali militari, 50 depositi come il famoso Munitionlager Manfred di Lucoli.
Non è un caso che nei nove mesi di occupazione i tedeschi si preoccuparono principalmente di "tenere calma la piazza", a cominciare dall'impiego di truppe austriache (quindi di religione cattolica) e di soldati anziani o mandati in licenza. Per gli stessi motivi i comandi tedeschi provvidero spesso a punire gli abusi commessi dalla loro soldataglia, tennero segreta l'avvenuta fucilazione dei Nove Martiri, provvidero alla fucilazione del milite fascista Tonino Ciroli, colpevole dell'omicidio dei coniugi Berardoni in via San Martino.
Nonostante questi accorgimenti, fin dall'inizio incombeva tuttavia nelle retrovie la minaccia di migliaia di ex-POW anglo-americani che, con grandissimo rischio personale, contadini, cittadini e religiosi nascosero, nutrirono e aiutarono a passare le linee.
E poi la minaccia dell'attività partigiana, sempre sottovalutata: un'attività che era nata spontanea (soprattutto per spirito di autodifesa, come nel caso dei Nove Martiri o dei primi gappisti di città), ma che dal febbraio '44, con l'arrivo di Giovanni Ricottilli, di Luigi Marrone e altri militari, diventò organizzata e particolarmente aggressiva.
Non per niente i tedeschi allestirono nel complesso di Collemaggio il terribile centro di detenzione e tortura noto come "la via Tasso aquilana", e impiegarono anche sul nostro territorio reparti dedicati esclusivamente alla lotta anti-guerriglia (come il battaglione Brandenburg).
Faccio notare che a questo apparato repressivo mancò anche all'Aquila il sufficiente sostegno neofascista, grazie al rifiuto di ri-arruolarsi della stragrande maggioranza dei 600.000 soldati internati in Germania, che costituisce un tassello fondamentale della Resistenza, assieme a quello della lotta armata e della diffusa resistenza disarmata.
Dunque, pressata dagli eserciti alleati e minacciata alle spalle dagli uomini della Resistenza, la X Armata tedesca di Kesselring non aveva altra possibilità che il ripiegamento. Altro che "miracolo di Sant'Antonio"! La liberazione dell'Aquila va intesa unicamente come il frutto di una lotta senza quartiere al nazi-fascismo.
Con la liberazione finivano nove lunghi mesi di occupazione che qui è impossibile rievocare analiticamente. Voglio solo evocare dei flash: i passi delle ronde tedesche coi loro scarponi chiodati; il collare metallico della FeldGendarmerie, il comando della Silvestrella, l'obbligo dell'oscuramento, l'ascolto clandestino di radio Londra, il suono lacerante delle sirene dell'allarme aereo e l'incubo degli attacchi aerei alleati (culminati nel bombardamento dell'8 dicembre), i rastrellamenti alla ricerca di POW, ebrei, partigiani e renitenti, i civili investiti dai camion tedeschi lungo le strade, il mercato nero. Basterebbe leggere i tanti memoriali di chi ha vissuto quei tempi, come i recenti ricordi personali resi pubblici da Emanuela Medoro.
Su tutto dominavano il diffuso senso di paura mascherato sotto una parvenza di normalità, e la percezione dell'incertezza (si sa sempre, infatti, come e quando una guerra inizia, mai quando e come finisce…)
Col forzoso ripiegamento tedesco, gli Aquilani vedevano dunque partire le prudenti truppe stanziali di occupazione e vedevano transitare reparti incattiviti dalla sconfitta e nugoli di pericolosissimi guastatori. In questo scenario maturarono i sanguinosi colpi di coda di Onna e di Filetto, ma anche Capistrello.
Finalmente il 13 giugno L'Aquila si liberava da tutto questo: dalla guerra, dalla paura, dalla fame. E accoglieva i primi reparti del C.I.L. e le maggiori bande partigiane che dagli inizi di giugno si erano portate sulle alture a ridosso della città: la "Di Vincenzo", la "Duchessa", la banda di D'Ascenzo (Arischia).
Iniziava così, pur nell'ambito di una seconda occupazione, il lento apprendistato democratico, animato da uomini come Pietro Ventura, Emidio Lopardi, Carlo Chiarizia, Stanislao Pietrostefani.
Tuttavia non mancheranno patrioti aquilani che sceglieranno volontariamente di continuare la guerra coi reparti del C.I.L. o con la brigata Maiella, pagando spesso con la vita questo slancio patriottico (Mario Tradardi, Giorgio Agnetti, Tonino Rauco). Uomini che si ricollegavano idealmente al sacrificio prematuro dei Nove Martiri, i cui resti saranno rinvenuti il 14 giugno.
Credo che questa commemorazione sia una occasione (come già per i Nove Martiri) per capire e per compiere un atto di giustizia verso tutte quelle donne e quegli uomini che per nove mesi hanno retto il peso dell'occupazione e ne hanno affrettato la conclusione.
In questo senso, gli storici hanno fatto la loro parte: la mia esortazione è che facciano la loro parte anche la scuola, il mondo della cultura e dell'informazione, e la politica. Perché la conoscenza e il ricordo del passato sono elementi essenziali per plasmare la società che tutti dovrebbero desiderare: una società attenta e consapevole.
Walter Cavalieri