Lunedì, 05 Ottobre 2015 17:50

L'Aquila, FdM15: Sulla parete del Castello Le Menestrelle apre la "Via della speranza"

di 
Video Sara Occhiuzzi

Gli spagnoli che costruirono la fortezza-prigione per "reprimere l'audacia degli aquilani", che contro di loro insorsero nel cinquecento, non potevano certo pensare che a distanza di secoli un francese solidale ai ribelli, si sarebbe preso beffa dell'impero sfidando la maestosità dell'alta roccia e battere la forza di gravità ad essa collegata.

Effetti di una L'Aquila sempre più vivace che inizia a rivedere le sue superfici ed il modo in cui interpretarle, dallo skatepark fino appunto al Castello.

Un luogo quest'ultimo da sempre vissuto in maniera contraddittoria dalla popolazione locale che nel tempo ha nascosto un magnifico esempio di architettura imperiale dietro ad un bosco. D'altronde una volta servì per contenere gli aquilani e la loro testarda voglia di libertà.

Con la magia del Festival della Montagana e dell'artista-scalatore Antoine Le Menestrelle però, ieri qualcosa è definitivamente cambiato a riguardo. "Sulla fortezza ho voluto aprire una nuova via- ha dichiarato il performer - la via della speranza". Una performance quella di Le Menestrel che ha lasciato gli aquilani a bocca aperta e che ha portato con sé anche una forza di riscatto esplicitamente voluta dal perfomer, super consapevole del contesto che lui stesso ha meticolosamente scelto.

Inoltre Le Menestrel ha iniziato la scalata portando con séuna corniola, omaggio - come lui stesso ha dichiarato in un'intervista - alle rivolte cittadine del 2010.

Il francese è stato il primo scalatore di alto livello che poi negli anni ha voluto ibridare la scalata con l'elemento spettacolare e drammaturgico, fondando la compagnia Lezards bleues.
Per capire la profondità della sua poetica riportiamo sotto la fotogallery di Sara Occhiuzzi il manifesto da lui scritto chiamato "per una scalta poetica",  tradotto da Maurizio Oviglia.

LA FOTO GALLERY DI SARA OCCHIUZZI

via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...
via della spera...

 

 MANIFESTO PER UNA SCALATA POETICA di Antoine Le Menestrelle

Alla fine degli anni '70 e l'inizio degli '80, l'arrampicata si è liberata dell'artificiale che utilizzava il materiale in loco come strumento di progressione. Gli arrampicatori inventarono "l'arrampicata libera" che di fatto trasformò la nostra maniera di arrampicare. Questa rivoluzione mi ha donato un'energia creativa che è ancora oggi ben viva in me.
In altri paesi questa rivoluzione viene chiamata rock climbing o sport climbing, ma limitandomi alla Francia l'arrampicata libera ha permesso:
- di liberarci della cima: una via può anche terminare nel bel mezzo di una falesia
- di aprire una via calandosi da una cima attrezzando appesi ad una corda
- di preparare preventivamente una via spazzolando i licheni, addolcendo le prese più aggressive, piazzando i chiodi nei punti dove sia più agevole moschettonarli. E di offrire questa via alla comunità degli arrampicatori.
- di esplorare zone di pareti fino allora tralasciate, come i grandi strapiombi
- di sviluppare il nostro repertorio gestuale
- di arrampicare senza usare alcun altro materiale se non le scarpette e la magnesite
- di contribuire all'evoluzione del materiale: con le nuove corde la caduta può far parte della nostra attività, la precisione delle scarpette ci ha permesso di tenere delle prese sempre più piccole, le imbragature basse ci hanno permesso una maggiore libertà di movimenti, la pratica in falesia ha diminiuto i rischi e ridotto l'uso del casco.
- di aprire la scala verso l'alto sino oltre l'8a, che allora non esisteva ancora
- di incoraggiarci tra di noi al fine di oltrepassare i nostri limiti
- di trasformare i sassi e le falesie da luoghi di allenamento per la montagna a luoghi con una loro propria dignità e specificità
- di farne un'attività più democratica e globale
- di creare una nuova Federazione dell'arrampicata che unendosi alla Fédération Française de la Montagne ha portato alla Fédération Française de la Montagne et de l'escalade
- la nascita delle gare di arrampicata e di difficoltà
- la nascita dei muri di arrampicata
- la nascita del mestiere di tracciatore
- la nascita di nuove attività, come la danza-scalata e la danza verticale
......
Oggi ho l'impressione che si "consumi" l'arrampicata. Siamo in un periodo meno creativo. La competizione è un valore alla base della nostra società attuale. E l'arrampicata è una pratica che si integra a livello sociale grazie alla competizione, agli sponsor, alla mediatizzazione dei muri di arrampicata. L'arrampicata sportiva è un'attività che è fortemente influenzata dalla cultura della competizione. E innalza il vincitore a svantaggio degli altri, sviluppando al contrario un sentimento di esclusione. Nelle gare l'arrampicata è fortemente regolamentata, queste regole ne congelano l'evoluzione e la imprigionano. E' allora necessario liberarsi dal peso della competizione per inventare un proprio stile di scalata. Io arrampico una via, non il suo grado. Lo spirito competitivo mi dà l'energia per diventare migliore di un altro. Confrontarmi con difficoltà estreme mi ha reso più creativo. Ho spinto più avanti i miei limiti e ciò mi ha permesso di meglio conoscermi. La realizzazione di una sfida può anche donarmi piacere. Ma se la mia volontà di realizzare è predominante su ogni altra cosa ciò rischia di rendermi egoista. Perderò il piacere di arrampicare e rischierò di farmi male. Mi infortuno perché non mi sono ascoltato abbastanza, perché mi sono lasciato trascinare dal mio obiettivo. Mi sono lasciato prendere dall'ideologia della nostra società attuale, costruita sul mito della crescita e sulla convinzione che stare in alto sia meglio. Forse è per questa ragione che la mia ultima via a Buoux si chiama "Tchao Challenge"! Preferisco lo spirito di emulazione, un'attitudine che mi dà energia per migliorarmi. Non cerco più lo "stato di grazia" perché nella mia vita posso contare sulle dita di una mano le volte che si è verificato. Oggi cerco il piacere nella condivisione, un piacere più sobrio, più quotidiano. Il desiderio di arrampicare è alla base della mia arrampicata. L'arrampicata libera è trovare la propria individualità come arrampicatore. Il piacere è la mia cima.
L'arrampicata libera ci ha permesso di abbandonare la cima per dedicarsi al come arrampichiamo. L'arrampicata libera è cercare uno stato creativo nei gesti dettati dal disegno della roccia. L'arrampicata libera è inventare e porre la propria firma di arrampicatore.
Mi sono sovente domandato come migliorare in arrampicata senza utilizzare la forza. Ho fatto dei paralleli con altre discipline che ho praticato: arti marziali, Zen, danza, e non ho tralasciato la mitologia e la poesia verticale. Ho cercato di migliorami nella concentrazione, nella respirazione, la scioltezza, la precisione, la gestualità. La cosa che è stata più importante, è stato prendere coscienza della mia respirazione, il mio quinto punto d'appoggio. L'espirazione porta in sé ciascuno dei miei movimenti. E' il mio turbo. L'espirazione è ispirazione. La respirazione è il nostro canto gestuale. Permette di controllare la paura. Un atto impegnativo come l'arrampicata, necessita forzatamente di una preparazione. Io mi preparo secondo il metodo "C.R.E.M": Concentration Respiration Étirement Massage. Questa attenzione verso me stesso mi permette di ottenere il piacere ed il successo.
cerco di mettere in atto tutte le condizioni per ottenere il massimo del piacere. Io mi lego in cordata con il mondo. Arrampico meglio quando sono in armonia con il mio desiderio. Quando sono sintonizzato con il desiderio del mio compagno di cordata. Il mio assicuratore dev'essere complice. Non deve dirmi come devo arrampicare, dev'essere il mio corpo ed il mio essere a trovare la soluzione. Egli mi accompagna con la sua presenza e mi aiuta con la sua concentrazione. La cordata non ha più obiettivi comuni, come poteva un tempo essere la cima. La nostra condivisione è la nostra cima.
Ho poco tempo per arrampicare, ed ogni arrampicata è come un regalo che mi dà la vita. Prendo la giornata di arrampicata come viene, senza obiettivi di realizzazione ad ogni prezzo. Una via di arrampicata mi chiama e posso seguire questo slancio. Arrampico senza cima, dimentico la cima. Passo dopo passo la cima viene a me. Durante l'arrampicata, cerco di seguire il flusso della mia energia. Io sono in ogni movimento. Se mi faccio prendere dai pensieri finisco per esitare, affaticarmi e infine cadere. Se penso cado. Arrampicare bene non è un fatto di quantità ma di intensità di noi stessi nel movimento. Non ho mai amato l'allenamento dove si agisce in vista di un tempo futuro. Io arrampico bene quando sono totalmente presente in questo momento, quando ho solo vuoto e concentrazione dentro di me. Arrampico bene quando non forzo muscolarmente, ma ho un gesto preciso e difficile. Arrampico col mio cuore e non con i miei muscoli.

L'arrampicata diviene poesia quando la riuscita del movimento non è il solo fine. Metto delle immagini nella mia scalata:
- arrampicare come se fossi fumo che sale lungo una parete
- carezzare la roccia piuttosto che stringere una presa
- fare l'amore con la roccia
- spingere verso il centro della terra
- arrampicare con l'era geologica
- arrampicare sulle uova
- avere lo sguardo della tigre
- spazzatura dentro un sacco arrampico leggero
- tenere e rilasciare una presa
- mi piazzo bene e la presa viene a me
- la via che sto per salire mi racconta una storia che è il riflesso di me stesso
Amo essere in relazione intima con la roccia. La parete è uno spartito gestuale. E' indispensabile leggere questo spartito e avere un corpo a corpo con la roccia. Connettersi con questo ritmo e arrampicare con fluidità e determinazione, con dei movimenti dinamici e delle pause.
Florilègio sulle prese
La presa è il punto sul quale si fonda la nostra pratica, la scalata nasce alla prima presa e si esaurisce all'ultima
Il fuori presa non esiste in arrampicata. E' tra una presa e l'altra che noi viviamo l'arrampicata.
Ogni presa ha la sua vicina
Ogni presa è unica, e fa parte del patrimonio minerale della scalata
Le prese sono il punto debole della nostra pratica, possiamo volontariamente romperle, ingrandirle, tapparle, scavarle. Sono a disposizione nostra, a discrezione dell'apritore e degli arrampicatori.
Le prese sono vive, si usurano col tempo, si rompono sotto la trazione ripetuta, e dopo la pioggia possono divenire particolarmente fragili.
Una presa si usa con i passaggi
La tendenza di una via di scalata è quella di diventare ogni giorno via via più difficile. Una presa è sempre vittima del suo stesso successo.
Una presa e la sua forma, la sua dimensione, il suo orientamento, il suo colore, è una nota su uno spartito minerale e noi siamo dei danzatori che la interpretano
L'arrampicatore è come un sasso che rimbalza sulle prese
Una presa collega tutti gli arrampicatori, è il nostro punto di contatto sulla quale rilasciamo sudore e sangue, gomma e terra, magnesite e resina
La presa è portatrice di sconosciuto, del movimento che essa stessa genera, la presa è portatrice di una sorpresa.
Ringrazio tutti quelli che mi danno l'energia per scrivere questo manifesto per una scalata poetica al fine che ogni arrampicatore possa trovare la sua firma gestuale e aprire la sua propria via in arrampicata
Verticalement
Antoine Le Menestrel
Saignon, luglio 2014

 

Ultima modifica il Lunedì, 05 Ottobre 2015 18:35

Articoli correlati (da tag)

Chiudi