Il mondo non è meno strano fuori dei manicomi che dentro. Così Hermann Hesse sintetizzava la realtà ambigua e duale che si era venuta a creare nel secolo scorso. I manicomi, luoghi di alienazione, più che di cura, hanno segnato tragicamente la storia del nostro Paese, in un passato non poi così lontano. La chiusura fu imposta solo il 13 maggio del 1978, con la promulgazione della legge 180, meglio conosciuta come legge Basaglia. Come è noto, il processo di chiusura vera e propria fu lungo e tortuoso e gli ultimi pazienti lasciarono i manicomi solo pochi decenni fa. Ancora oggi permangono i cosiddetti ospedali psichiatrici giudiziari (opg) e l'Abruzzo resta una delle 8 regioni inadempienti riguardo all'applicazione della Legge 81 del 2014 per la loro definitiva chiusura.
Ad ogni modo, le conseguenze di questi accadimenti non si misurarono solo sul piano sociale e sanitario ma anche nel lascito urbanistico che la storia si portò dietro. In Italia agli inizi del Novecento sorsero molte cittadelle manicomiali: una rete nazionale di atenei, in accordo con la Direzione Generale per gli Archivi del MiBAC, ne ha schedate 70 sparse per il Bel Paese. Il progetto Gli spazi della follia ha, inoltre, messo a disposizione online dati, immagini e storie per conoscere a e valorizzare questo patrimonio storico-architettonico.
Sono pochi, in realtà, i casi virtuosi di valorizzazione. Alcune città come Siena, Ferrara ed Arezzo hanno riconvertito questi spazi in sedi universitarie. Solo in un caso (l'ex manicomio femminile dell'isola di San Clemente, a Venezia) una struttura è stata venduta per essere ricovertita in hotel di lusso. Il resto degli edifici versa, per lo più, in stato di abbandono tra erbacce, crepe e rifiuti, nonostante nel 1996 sia stato firmato dall'allora ministro della Sanità, Rosy Bindi, un decreto ad hoc. "I beni mobili e immobili degli ospedali psichiatrici dismessi - si leggeva nel decreto - sono destinati alla produzione di reddito, attraverso la vendita o l'affitto, e i soldi destinati all'attuazione del progetto obiettivo Tutela della salute mentale".
Per questa seconda puntata di Senza destinazione - la rubrica che vi porta alla ri-scoperta degli spazi abbandonati o non utilizzati del territorio aquilano -abbiamo deciso, dunque, di parlarvi dell'ex ospedale psichiatrico di Collemaggio, un'area tanto cara alla città dell'Aquila quanto dimenticata.
Ex-ospedale psichiatrico provinciale di Santa Maria di Collemaggio (L'Aquila)
Oltre 15 ettari di terreno si estendono sopra un'assolata collina, che si erge proprio accanto alla basilica di Santa Maria di Collemaggio. Il complesso occupa una superficie pari a più di 20 mila metri quadri con una trentina di manufatti di proprietà dell'Asl (Azienda Sanitaria Locale). Costruito su terreni utilizzati a seminativo e vigna di proprietà Castelli-Cito, la struttura fu inaugurata nel 1915. Avrebbe dovuto ospitare fino a 420 malati provenienti dall'intera provincia.
Comprendeva sei reparti di degenza, distinti in edifici separati, la sede della direzione con i laboratori, la biblioteca e gli uffici, i fabbricati adibiti alle cucine generali e alla lavanderia, ed infine i padiglioni per la colonia agricola. Dopo aver saputo fronteggiare l'emergenza della guerra, il manicomio riprese la sua crescita, con il rinnovo delle strutture di supporto e la realizzazione di numerosi altri reparti di tipo diagnostico, terapeutico, assistenziale e ludo-terapico.
La struttura a padiglioni immersa nel verde riflette uno schema che venne adottato per molte cittadelle manicomiali in Italia: un ambiente "tranquillo" e salubre sarebbe dovuto essere, infatti, parte della cura. La divisione in padiglioni serviva invece a fare un distinguo tra i malati in base alla gravità della malattia e al sesso. Ciò che accadde dopo, purtroppo, lo conosciamo.
Oggi l'area appare come un immenso giardino abbandonato: le palazzine si nascondono tra la vegetazione selvaggia e si fondono con essa. Il post-terremoto ha visto la nascita, proprio tra questi viali, di Casematte, sede del Comitato 3e32. La struttura (dotata di bar, cucina, sala prove e di una tensostruttura) è stata ottenuta recuperando uno stabile dismesso, grazie al lavoro dei volontari. Gli stessi che da anni si battono per far sì che si parli del futuro dell'area e che un tale bene pubblico non finisca nelle mani di speculatori.
L'intenzione dell'Asl, però, sembrerebbe quella di svuotare completamente gli spazi e procedere alla vendita. L'Azienda sta infatti provvedendo al trasferimento di diversi uffici e presidi sanitari. Gli ultimi - Distretto sanitario di base, Centro di salute mentale, e Consultorio familiare - sono stati trasferiti, proprio lo scorso giugno, nei locali dell'ex Onpi in zona Torrione, dove l'azienda paga l'affitto al Comune dell'Aquila. Rimangono attivi ancora un paio di uffici, come Medicina veterinaria e Medicina legale. Dopo il terremoto, alcuni medici di famiglia avevano ricevuto dei container dove poter aprire i loro ambulatori ma oggi che non sono più necessari a quello scopo, anche i container sono stati abbandonati.
Il dibattito sulla destinazione d'uso dell'area prosegue da anni: in molti hanno ipotizzato una fruizione degli spazi lasciati agibili dalla Asl, da parte di associazioni o giovani. In ogni caso, le decisioni che riguardano quegli spazi andrebbero prese prima che il tempo faccia il proprio corso e renda non usufruibili anche gli immobili nuovi.
Già lo scorso anno un'inchiesta di NewsTown denunciava abbandono e degrado in alcuni locali: da rifiuti ospedalieri a materiali tossici. Oggi la situazione non sembra molto cambiata e la zona versa in stato di degrado. Le palazzine, danneggiate dal sisma, sono circondate da rifiuti di ogni tipo, persino materassi e forni. In un padiglione si intravedono una grande quantità di libri, forse appartenente alla vecchia biblioteca, lasciati preda delle intemperie a causa delle finestre rotte. Inoltre, dentro e fuori i padiglioni, sono sparpagliati documenti sanitari di vario tipo, probabilmente riguardante persone che erano internate nel manicomio. Un fatto curioso se si considera che è stato realizzato un censimento della documentazione (cartelle cliniche in particolare) eseguita dalla società cooperativa Ambiente e territorio con la supervisione della Soprintendenza archivistica per l'Abruzzo, nell'ambito del progetto ministeriale Carte da legare.
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