Nel fine settimana appena trascorso il Gran Sasso aquilano era ricoperto di neve.
Un centinaio di sciatori medio esperti ed esperti si sono riversati tra i boschi che dalle pendici intorno a Fonte Cerreto portano in quota verso Campo imperatore o Monte Cristo. A Monte Cristo, a quota 1400 metri - vale la pena precisarlo - si scia benissimo, e parliamo del week-end 28-29 novembre.
Valle Fredda è piena di neve, come anche i Valloni.
La funivia però è chiusa, come chiusi sono i due impianti di Campo imperatore.
Perché? La funivia è ferma in quanto, dato che non si è ancora riusciti a capire chi e come gestirà l'hotel, mancano gli spazi di ricovero imposti dalla legge per una stazione sciistica.
Per gli impianti - che senza funivia non hanno comunque senso - invece si da la colpa al vento. E' vero che Eolo tirando da Nord-Est ha spazzato via la neve sulle cime e le parti più scoperte, è anche vero però che per essere novembre sarebbe bastato ad invogliare il grande pubblico l'apertura della pista Osservatorio (alternativa alle più scoperte Fontari) e di quella Mirtillo (meno scoperta dell'Aquila bianca). In questi giorni i battipista stanno lavorando priprio in questo senso.
Ma in realtà la responsabilità della chiusura totale è dovuta all'incapacità amministrativo-gestionale e alle molte polemiche inutili che, in combinazione, fanno arrivare la stazione sciistica ogni anno in ritardo.
Il week-end appena trascorso non presentava un soffio di vento e se fossero stati aperti funivia e impianti, gli sciatori attrezzati avrebbero potuto fare anche escursionismo tra Valle Fredda, Monte Cristo, Fossa di Paganica e anche i Valloni. Insomma ciò per cui Campo Imperatore è davvero vocato e per cui in molti di più avrebbero scelto Gran Sasso piuttosto ad altre destinazioni.
Invece si sono registrati i primi due giorni persi di possibile apertura nel fine settimana, con annesse mancate entrate.
La cosa che fa più rabbia e che si continua a ripetere la falsità che "è inutile puntare su una stazione che ha 40 giorni di apertura l'anno". Quella dei 40 giorni sembra più un mantra utile da ripetere per molti a L'Aquila, città che ha perso quasi totalmente il rapporto con la sua montagna e la capacità vitale di farne anche un occasione di sviluppo socio-economico.
Il Gran Sasso ha praticamente smesso di essere un territorio di montagna per diventare qualcosa di astratto, un tema di scontro ideologico, un feticcio da sbandierare per una ragione o un'altra.
Qualche settimana fa a margine di una conferenza stampa politica con oggetto sempre il Gran-Sasso-astratto, un signore asseriva con occhi spiritati che i giorni di apertura media erano 15. "15"!, una menzogna figlia di non si capisce bene quale ideologia.
In realtà i giorni di potenziale apertura degli impianti sul Gran Sasso aquilano potrebbero esser ben più di 40 se solo lo si volesse, in quanto - al netto del fattore vento - si può iniziare a sciare prima e terminare dopo rispetto ad altre stazioni.
Quello che manca è una cultura imprenditoriale di base capace di sfruttare, senza intaccarlo ovviamente, un territorio bellissimo che si presterebbe quasi in maniera naturale al turismo.
Ma il capoluogo è la città della politica, dei palazzi, della burocrazia, degli uffici e della dialettica spesso esasperata. Il Gran Sasso tramite la società (ex) municipalizzata, CTGS, è rientrato totalmente in questo calderone poltico cittadino drammaticamente incapace di promuovere il territorio (mentre allo stesso tempo non riesce a capire di cosa dovrebbe vivere).
La verità è che così il pubblico non può farcela a gestire. In questa situazione e in queste condizioni, sembra lavorare piuttosto per il fallimento turistico, visto la situazione catastrofica che peggiora di anno in anno, le mancate promesse e i milioni di debiti che ha accumulato. E tutto ciò a discapito della sostenibilità economica e della cultura della montagna.
La maggior parte dei ragazzi che sono nelle scuole della città capoluogo - che non riesce (più) a pensarsi anche come città di montagna - probabilmente sul Gran Sasso non c'è mai stata, non lo conosce. Vede davanti a sé la sua immagine, ne sente parlare, ma sempre come qualcosa di astratto. Stiamo vivendo una rimozione culturale terrificante. In città non esistono neanche più negozi altamente specializzati come era la 'Casa dell'alpino', e quelli rimasti chiudono (si va dal Decathlon). Si sta rinunciando così ad un fattore di benessere fondamentale di cui potrebbe beneficiare in primo luogo proprio la popolazione locale. Perché convivere bene con la "propria" montagna è il prerequisito per saperla offrire nel modo migliore a chi arriva da fuori con l'intenzione di viverla.
Eppure chiunque arriva a L'Aquila resta a bocca aperta quando capisce che quella meraviglia che vede, si trova a due passi dalla città, con un uscita autostradale che la collega direttamanente anche a Roma. Con i giusti servizi e seguendo la sua vocazione di montagna d'alta quota potrebbe essere davvero uno dei volani socio economici del territorio.