Ieri, la Commissione europea ha stabilito che il regime d’aiuto italiano pari a 43.9 milioni di euro volto a sostenere gli investimenti nelle regioni colpite dai terremoti del 2016 e del 2017 è in linea con le norme dell'Unione in materia di aiuti di Stato. “L'aiuto contribuirà alla ripresa economica dell'Italia centrale senza falsare indebitamente la concorrenza nel mercato unico”, si legge nel comunicato ufficiale diramato da Bruxelles. “La popolazione e l'economia dell'Italia centrale si stanno ancora riprendendo dalle drammatiche conseguenze dei terremoti verificatisi negli ultimi anni”, ha sottolineato Margrethe Vestager, commissaria responsabile per la Concorrenza. “Le autorità italiane intendono sostenere gli sforzi in atto con una misura che contribuisca alla ripresa economica di queste zone. Riteniamo che la misura sia idonea a sostenere le imprese colpite e le persone che vivono in queste regioni”.
Il regime di aiuto approvato mira a integrare le misure di compensazione già previste, per attenuare i danni economici e sociali subiti nelle zone colpite sotto forma di un forte calo del PIL, di una pesante perdita di posti di lavoro, di una riduzione dell'attività economica di oltre il 50% e di una diminuzione significativa del fatturato delle imprese rispetto ai livelli precedenti al terremoto. L'aiuto assume la forma di un credito d'imposta per tutte le imprese che effettuano investimenti iniziali nella zona. Il sostegno alle grandi imprese si limiterà ad un aiuto per la costituzione di una nuova impresa, la diversificazione dell'attività di un'impresa o l'acquisizione degli attivi di un'impresa che ha chiuso. Il regime coprirà il periodo 2018-2020.
La notizia arriva a qualche giorno dalla notifica del procedimento di recupero delle agevolazioni fiscali e contributive connesse al terremoto del 6 aprile 2009 – e proprio nel giorno del nono anniversario – per le somme eccedenti il de minimis e non compensative degli eventuali danni subiti dai beneficiari; un provvedimento che riguarda circa 350 persone giuridiche – ciascuna posizione, però, andrà opportunamente vagliata – per un totale lordo stimato che potrebbe avvicinarsi ai 100milioni di euro, sebbene le somme effettivamente esigibili saranno inferiori alla stima considerato, appunto, che andranno scorporati i danni effettivamente subiti dai beneficiari, e sono in corso le perizie. Si tratterebbe comunque di una mazzata per il territorio, di un altro terremoto, stavolta economico.
La decisione assunta ieri nel merito degli aiuti concessi alle popolazioni del centro Italia, non fa altro che chiarire – e rendere ancor più manifeste, se possibili - le responsabilità politiche che hanno determinato la drammatica situazione attuale. Come abbiamo spiegato diffusamente nei giorni scorsi, la Commissione europea – nell’agosto 2015 – a seguito di una approfondita indagine, constatò che determinate misure di riduzione delle imposte e dei contributi previdenziali obbligatori adottate dall’Italia in zone colpite da calamità naturali non erano “ben impostate e mirate” e avevano conferito “un vantaggio concorrenziale iniquo alle imprese, falsando la concorrenza nel mercato unico”. In sostanza, non potevano essere “giustificate” ai sensi delle norme dell’Unione Europea in materia di aiuti di Stato. La Commissione aggiunse di “sostenere pienamente” le misure pubbliche di aiuto alle imprese, convenendo appieno “sulla necessità d’intervenire in zone colpite da calamità naturali” e riconoscendo “l’importanza di sostenere la dimensione economica e sociale locale”; la vicenda del centro Italia, in effetti, pare andare in questa direzione. Tuttavia, e qui sta il nodo ‘politico’ della vicenda, da Bruxelles venne specificato che “le misure adottate in Italia non erano ben orientate allo scopo di indennizzare i danni arrecati alle imprese, in particolare non obbligando – le misure– a dimostrare il danno effettivamente subito ed a provare l’importo dei danni stessi”.
E se ne accorse soltanto nel 2015, la Commissione europea? Sì, ed in seguito ad una richiesta di un giudice italiano, tra l’altro, che nel 2011 sollevò la questione per sei calamità naturali verificatesi in Italia tra il 1990 e il 2009. D’altra parte, i governi italiani che si erano succeduti nel tempo – compreso l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi che decise gli aiuti per le popolazioni del cratere – non avevano mai notificato i provvedimenti all’Europa che, in sostanza, non aveva potuto verificarli e, di conseguenza, approvarli o ridiscuterli.
Pietro Pulsoni, avvocato aquilano esperto di diritto pubblico degli enti locali e diritto dell’Unione europea, già a febbraio 2017 aveva spiegato a newstown che “ogni misura di aiuto, come ad esempio gli sgravi fiscali concessi alla popolazione e alle imprese del ‘cratere’, è soggetta ad un meccanismo di autorizzazione preventiva. Non può cioè essere erogata prima che la Commissione abbia condotto sulla stessa una verifica di compatibilità con le regole dell’Unione Europea. La verifica dura 60 giorni dopodiché, nel caso in cui lo Stato non abbia ricevuto notifica dell’apertura di un’indagine formale, scatta un meccanismo simile al ‘silenzio-assenso’ del nostro diritto amministrativo”. A seguito del terremoto dell’Aquila ciò non è accaduto; ed è andata così anche per le calamità naturali precedenti, con governi di altri ‘colori’. Se la procedura di recupero delle agevolazioni fiscali e contributive è scattata soltanto per il cratere è per una questione meramente temporale: per calamità verificatesi oltre dieci anni prima, ossia tutte tranne il sisma del 2009, la Commissione non ha potuto imporre il recupero per il fatto che in Italia le imprese non hanno l'obbligo di tenere documentazione contabile per più di dieci anni, il che avrebbe reso impossibile quantificare la sovra-compensazione che un'impresa con attività economica nella zona interessata avrebbe eventualmente percepito ai tempi.
Ora, si può discutere il meccanismo d’autorizzazione preventivo che, di fatto, rende gli Stati membri succubi del giudizio di Bruxelles; si possono contestare le regole dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato, e così il concetto di mercato unico, il principio per cui la sospensione dei tributi ad una piccola impresa del cratere che opera sul mercato locale possa aver alterato la libera concorrenza in Europa, considerato pure che il livello di tassazione in alcuni Paesi membri è ben al di sotto che in Italia. Aggiungiamo, si dovrebbero – altro che potrebbero - ridiscutere i patti che regolano la vita economica europea. Sta di fatto che, accettate le regole del gioco, i governi italiani – e nel caso aquilano, l’esecutivo Berlusconi e i governi che sono venuti dopo – hanno deciso di non rispettarle, causando un danno gravissimo alle imprese del cratere la cui unica colpa è stata quella di aver fatto riferimento ad una legge dello Stato. E per questo, si ritrovano anni dopo con la spada di Damocle di una minacciata riscossione che, molte delle imprese, potrebbe mandarle gambe per aria.
La responsabilità è politica, ed è soltanto la politica, a questo punto, che può intervenire.
Come spiegato nei giorni scorsi, il tavolo di ‘guerra’ – così l’ha definito il vice presidente della Giunta regionale Giovanni Lolli – riunito a Palazzo Silone ha preso la via del ricorso al Tar, sperando in una sospensiva dei provvedimenti di recupero recapitati alle imprese che permetterebbe, appunto, di aprire una ‘via politica’, con i parlamentari abruzzesi che, martedì, dovrebbero incontrare il premier Paolo Gentiloni per chiedere, quantomeno, un decreto che applichi il de minimis in temporary framework, e cioé a 500mila euro, considerato che nel provvedimento non è scritto che la soglia debba stare a 200mila euro, se non in una nota allegata che non fa certo la norma.
Del temporary framework abbiamo scritto diffusamente. In sostanza, le misure agevolative andrebbero iscritte nell’ambito del complessivo sistema dispositivo, di natura fiscale e tributaria, adottato a seguito del terremoto già a partire dal Decreto Legge n. 39 del 28 aprile 2009, convertito in legge 77 il 24 giugno; in particolare, la misura contestata rappresenta una norma di chiusura delle misure di sospensione e differimento (delle imposte, dei contributi e dei premi assicurativi obbligatori) originariamente disposte, e con esse dovrebbe configurare un unico regime di agevolazione fiscale e contributiva, riferibile al periodo aprile 2009 – giugno/dicembre 2010. Ebbene, in tale arco temporale era applicabile la soglia di irrilevanza dell’aiuto vigente dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2011, introdotta con il temporary framework appunto, e ammontante a 500mila euro.
Se non fosse – come torna a spiegarci Pietro Pulsoni – che anche il temporary framework andava notificato all’Unione Europea, e autorizzato da Bruxelles. Di nuovo, non è avvenuto.
Dunque? Se il Tar dovesse davvero accordare la sospensiva, e si spera che ciò accada il 18 aprile prossimo altrimenti staremmo discutendo del sesso degli angeli, l’unica via davvero percorribile pare l’ammissione di responsabilità del Governo italiano. “Se l’esecutivo non dovesse ottemperare al recupero forzoso dettato dalla Commissione europea – chiarisce Pulsoni – l’UE farebbe ricorso per infrazione innanzi alla Corte di Giustizia che, senza dubbio, condannerebbe l’Italia al pagamento di una somma da stabilire”. Così, a pagare per gli errori compiuti in questi anni sarebbe la fiscalità generale, e non le imprese aquilane. Altrimenti, “le imprese dovrebbero pagare e rivalersi, poi, sullo Stato in sede civile, chiedendo il ristoro del danno subito a seguito della mancata notifica all’Europa del provvedimento di sospensione dei tributi”. Ed è più che probabile che i giudici, in quel caso, possano riconoscere le ragioni delle imprese del cratere, “e il problema per la finanza statale, a qual punto, sarebbe stato soltanto rinviato”. Con danni drammatici per l’economia del territorio però, considerati i tempi lunghi della giustizia che sarebbero incompatibili con la sopravvivenza di molte delle imprese coinvolte.
Anche per questo, il 16 aprile prossimo la città è chiamata ad una grande manifestazione di protesta che, dalla Fontana Luminosa, attraverserà le vie del centro storico; sarà l’occasione per ribadire al Governo che l’unica salvezza possibile è un intervento diretto dell’esecutivo, che dovrebbe riconoscere gli errori commessi in questi anni e assumerne la piena responsabilità. Ogni altro atteggiamento sarebbe francamente intollerabile. Sia chiaro: fino ad oggi, da Roma non sono arrivati segnali e la politica locale, d’altra parte, non ha avuto la forza di porre la questione con decisione alle segreterie nazionali dei partiti, se è vero che in giugno, meno di un anno fa, in occasione delle amministrative a L’Aquila sono arrivati i principali leader nazionali, da Giorgia Meloni a Matteo Salvini, da Maurizio Martina a Maria Stella Gelmini, recentemente in città si è visto Luigi Di Maio, sebbene per pochi minuti, e Matteo Renzi, da presidente del Consiglio, non ha mancato la sua presenza, anzi. La richiesta di restituzione delle tasse sospese era nota, eppure l’argomento è stato evitato. Ecco, è arrivato il momento di metterlo sul tavolo sperando, davvero, che non sia troppo tardi. Ora o mai più.