Appunti sparsi sulla manifestazione di ieri, a L’Aquila; appunti sparsi sulla richiesta di restituzione delle agevolazioni fiscali e contributive sospese a seguito del terremoto del 6 aprile 2009. A partire da alcuni dati di fatto: non era affatto scontato che il corteo fosse così partecipato, considerato che siamo a nove anni dal terremoto, che la manifestazione è stata convocata di lunedì mattina, che molti, tra i cittadini, percepiscono come ‘lontana’ da sé la battaglia di imprese e professionisti. E qui, sta l’altro dato di fatto: la manifestazione è risultata persino divisiva.
D’altra parte, la vicenda è intrecciata in un groviglio di contraddizioni.
Proviamo ad andare con ordine. Punto primo: chi se la prende con l’Europa, sul fatto specifico, sta sbagliando bersaglio. Si possono contestare le regole dell’Unione in materia di aiuti di Stato, e così il concetto di mercato unico, il principio, cioè, per cui la sospensione dei tributi ad una piccola impresa del cratere che opera sulla filiera corta del mercato locale abbia alterato la libera concorrenza in Europa; si possono contestare i patti che regolano la vita economia nel ‘vecchio continente’, il meccanismo d’autorizzazione preventivo previsto dai trattati per ogni misura d’aiuto, compresi gli sgravi fiscali concessi alle imprese del cratere. Si dovrebbero contestare, aggiungiamo noi.
Sta di fatto che sottoscritte le regole del gioco, i governi italiani, e l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, per il caso aquilano, non le hanno rispettate; si è mancato, cioè, di notificare il provvedimento all’Unione europea che, in sostanza, non ha potuto verificarlo e, di conseguenza, approvarlo o ridiscuterlo. Almeno fino al 2011, allorquando un giudice italiano sollevò la questione e, di fatto, spinse Bruxelles ad aprire una procedura di infrazione.
Insomma, la colpa di ciò che sta accadendo è dell’allora governo Berlusconi, e dei governi che si sono succeduti sino ad oggi, che hanno lasciato la vicenda chiusa in un cassetto e, al momento della contestazione dell’Europa, si sono semplicemente adeguati, evitando di discutere la procedura nel merito e, anzi, ponendosi sulle posizioni più restrittive, e punitive, interpretando il regime de minimis a 200mila euro e non a 500mila, sebbene all’epoca della sospensione delle agevolazioni fiscali e contributive vigesse il così detto ‘temporay framework’. E qui sta la colpa del governo Gentiloni che, tra l’altro, ha nominato la commissaria straordinaria per la riscossione dei tributi e, dunque, si è lavato le mani della vicenda prorogando di 120 giorni l’avvio delle procedure (sebbene il decreto non sia stato ancora pubblicato).
Come risolvere la vicenda? La soluzione sarebbe pure semplice da individuare: il prossimo esecutivo dovrebbe assumerne la responsabilità politica, non ottemperando al recupero forzoso dettato dalla Commissione europea e sottoponendosi al giudizio della Corte di Giustizia che, senza dubbio, condannerebbe l’Italia al pagamento di una somma da stabilire per l’infrazione. Così, a rispondere degli errori passati sarebbe la fiscalità generale e non le imprese e i professionisti aquilani. Almeno, si potrebbe trovare un compromesso e, cioé, un decreto d'applicazione del recupero che tenga conto del 'temporary framework' e fissi, dunque, la soglia a 500mila euro, che significherebbe escludere dalla procedura la maggior parte delle 'persone giuriche' coinvolte.
Qui sta l’importanza della manifestazione di ieri: tornare in piazza, mostrarsi uniti nella rivendicazione, doveva rappresentare un monito per il futuro esecutivo. Così è andata, considerata la rilevanza che l’iniziativa ha assunto anche a livello nazionale.
E arriviamo ad uno dei ‘nodi’ di questa vicenda. In molti si sono tenuti alla larga dalla manifestazione per la presenza di esponenti politici, locali e nazionali, espressione di quei partiti che, al Governo, non hanno mosso un dito per risolvere la questione aquilana, anzi hanno contribuito, come detto, ad incancrenirla; in effetti, al corteo ha partecipato persino Giorgia Meloni che del governo Berlusconi all’epoca del terremoto era ministro. Una presa di posizione comprensibile, sia chiaro: tuttavia, è la politica – e soltanto la politica – che potrà sanare, o meno, la vicenda e, dunque, la presa di coscienza della difficile situazione del cratere, la presenza silente, sul palco, dei parlamentari di centrosinistra e centrodestra eletti in Abruzzo, è un segnale importante. Ieri, non si trattava di sfilare con chi è stato ‘causa’ politica della vicenda, piuttosto si trattava di chiedere, pretendere anzi, un impegno concreto ai rappresentanti istituzionali, d’inchiodarli alle proprie responsabilità facendo sentire la voce unitaria della comunità che, non dovesse risolversi la vicenda, saprebbe a chi chiederne conto.
Ecco il motivo per cui era fondamentale partecipare, ecco il motivo per cui sono mancate, in piazza, quelle voci critiche che, negli anni che seguirono il terremoto, seppero rompere alcuni meccanismi politici e persino indirizzarli.
E arriviamo così ad un altro nodo. In molti non hanno partecipato alla manifestazione convinti che la procedura d’infrazione riguardi soltanto le grandi aziende e, per di più, le imprese edili. E’ vero, ma soltanto in parte. La procedura di recupero delle agevolazioni fiscali e contributive, infatti, coinvolge 350 ‘persone giuridiche’ del cratere, imprese certo ma anche professionisti, commercianti, artigiani, per un totale lordo stimato che supera i 75 milioni di euro. Questa è la realtà. Drenare 75 milioni di euro da un territorio già gravato da una profonda crisi, significherebbe devastarne il tessuto economico e produttivo, costringere alcune aziende a portare i libri in tribunale - si pensi alle partecipate del Comune dell’Aquila - altre a licenziare personale, a bloccare gli investimenti; a valle, ne risentirebbe l’intero sistema economico, con ripercussioni gravissime sugli indotti, e così sui consumi, quindi sulle attività che, faticosamente, stanno tentando di tirare avanti.
E’ difficile a credersi che le imprese edili, le più grandi, quelle che, sia detto in modo chiaro, hanno portato gli operai - tanti - in piazza per contribuire a dar corpo al corteo, abbiano subito dei danni dal terremoto, piuttosto che vantaggi; ed è altrettanto vero che sentir minacciare licenziamenti da imprese che hanno appalti per milioni di euro può apparire come una sorta di ricatto. Tuttavia, è ciò che accadrebbe. Piaccia oppure no.
Certo, il comparto edile non sta restituendo alla città ciò che sta accumulando in termini di ricchezza e, certo, il terremoto ha permesso a pochi di arricchirsi con i tanti che, al contrario, faticano a tirare avanti. Sta di fatto che la situazione non si risolverebbe, di certo, se venissero azzoppate le grandi imprese, anzi; piuttosto, si dovrebbe manifestare ogni giorno per pretendere un rinnovato patto sociale: al contrario, la disgregazione del tessuto comunitario, che si è avvertita anche ieri, sta alimentando una sterile contrapposizione di classe.
Ecco perché, di nuovo, era importante esserci. In questo senso, ci sarebbero tanti altri motivi per manifestare, non c'è dubbio; e allora che si scenda in piazza, ancora e di nuovo, ogni settimana se necessario: non era un buon motivo, però, per non esserci ieri.
Inoltre, la questione è di principio: in uno Stato di diritto, non si può condannare un cittadino per aver adempiuto ad una legge, non si può davvero pretendere – come pure è scritto sulla procedura d’infrazione della Commissione europea – che un contribuente, già vessato da una iniqua tassazione che serve a mantenere l’esercito di funzionari e burocrati chiamati a scrivere le norme, si assicuri che, le stesse, rispettino gli accordi comunitari. E’ una follia. Potrebbe rappresentare, tra l’altro, un pericoloso precedente.
Per questo era importante manifestare, e per questo si dovrà tirare dritti su Roma, se il governo che verrà non dovesse risolvere la vicenda. Ne va della tenuta sociale del cratere.