In Italia crescono le disuguaglianze, in modo spaventoso; dalla metà degli anni ’90 è in atto una vera e propria inversione delle fortune, con lo 0,1% più ricco della popolazione che ha visto raddoppiare la ricchezza netta media.
Una disparità che rischia di cristallizzarsi, portando il paese al collasso.
In un lavoro di Salvatore Morelli pubblicato su lavoce.info, svolto in collaborazione con Paolo Acciari e Facundo Alvaredo, viene mostrato come lo 0,1% più ricco ha visto raddoppiare la sua ricchezza netta media reale (da 7,6 milioni di euro a 15,8 milioni di euro, ai prezzi del 2016), facendo raddoppiare la sua quota dal 5,5 al 9,3 per cento. Al contrario, il 50 per cento più povero controllava l’11,7% della ricchezza totale nel 1995, e il 3,5% nel 2016; ciò corrisponde a un calo dell’80% della sua ricchezza netta media (da 27 mila a 7 mila euro, a prezzi 2016).
Nel 1995, la quota del 40% medio era molto simile a quella del 10% superiore, ma è invece diminuita nel tempo di quasi 5 punti percentuali.
La quota spettante al top 0,01% (i 5 mila adulti più ricchi) è quasi triplicata, passando dall’1,8 al 5%.
Questi i dati, a denunciare l'urgenza, non più rinviabile, di una riforma del fisco in senso progressivo. Ed una buona riforma dovrebbe, innanzitutto, intervenire su una evidente criticità: l’imposizione pesa molto sui redditi medi, mentre grazie ai numerosi bonus perde progressività su quelli alti.
E' in questa cornice che va inserita la proposta del segretario del Pd, Enrico Letta, di cui si sta discutendo in questi giorni.
Di fatto, Letta propone una redistribuzione di risorse a favore della 'generazione Covid' finanziata con un aumento della tassa di successione che toccherebbe le eredità milionarie, quelle dell'1% degli italiani.
In Italia, l'aliquota di tassazione per eredità o donazioni superiori a 5 milioni tra genitori e figli è tra le più basse d'Europa, al 4%; in Germania è al 30%, in Spagna al 34%, in Gran Bretagna al 40%, in Francia al 45%.
La proposta di Letta è una revisione in senso progressivo delle aliquote sull'imposta delle successioni e donazioni, mantenendo la franchigia di 1 milione di euro e portando l'aliquota massima, per la parte eccedente i 5 milioni di euro, al 20%. Un intervento che, come detto, riguarderebbe l'1% della popolazione, quella più ricca.
A farla breve: si tasserebbe al 20% chi eredita, senza alcun merito, più di 5 milioni di euro.
Con le risorse introitate, il segretario dem vorrebbe assegnare una dote di 10mila euro alla metà dei 18enni italiani; stando alla proposta, la dote verrebbe riconosciuta sulla base dell'Isee famigliare e arriverebbe ogni anno a circa 280mila ragazze e ragazzi, quella che lo stesso Letta ha definito "generazione Covid".
Risorse che dovrebbero essere spese per motivi specifici: formazione e istruzione; lavoro e piccola imprenditoria; casa e alloggio.
Si tratterebbe di un primo passo per rendere più giusto, ed equo, il nostro paese, chiedendo un piccolissimo sacrificio, se di sacrificio si può parlare, a chi più ha, per dare sostegno a ragazze e ragazzi che, oggi, si affacciano su un mondo del lavoro sempre più impoverito.
"Questo è un momento in cui non si chiedono soldi, si danno", è stata la risposta del premier Mario Draghi; in realtà, sarebbe il momento di dare a chi ha meno, in senso progressivo e non con sussidi a pioggia, chiedendo a chi ha di più, e si sta arricchendo sempre di più. Ne va della tenuta stessa del Paese.
L'idea di Letta, in realtà, non è nuova; più di due anni fa il Forum Disuguaglianze e Diversità ha proposto di istituire un’eredità universale finanziata proprio tramite una rinnovata imposta sulle successioni e sulle donazioni, cogliendo un contributo dell’economista A.B. Atkinson.
Tuttavia, ci sono delle differenze.
Innanzitutto, al ForumDD non piace il termine dote e preferisce parlare invece di eredità, "che allude al diritto di tutti di accedere a una risorsa centrale per l’uguaglianza di opportunità e segnala un’attenzione collettiva alla crisi generazionale che attanaglia il nostro paese, contrastando il privilegio dell’eredità familiare di pochi" viene spiegato.
Da questo convincimento, derivano le due distinzioni fondamentali. La dote proposta dal Pd è selettiva, ossia, circoscritta a chi proviene da famiglie sotto una certa soglia economica, ed è condizionata o vincolata a determinati usi; l’eredità proposta dal Forum è invece universale, va a tutti e tutte, ed è incondizionata.
D'altra parte, chiarisce il Forum, "definire i disuguali può essere molto complesso. La selettività è tipicamente commisurata alle risorse economiche della famiglia e, nel nostro paese, ciò significa alla dichiarazione Isee. Come ben vediamo con il reddito di cittadinanza, un euro in più o in meno diventa dirimente per essere dentro o essere fuori, creando trappole di povertà, distorsioni nel mercato del lavoro e maggiori incentivi a manipolare la propria condizione economica dichiarata. E, in un’epoca di redditi sempre più fluttuanti, il dato annuale può essere largamente inattendibile. Inoltre, anche se possedessimo una perfetta tecnologia di distinzione, la selettività crea divisioni fra chi può avere e chi no, così rischiando di indebolire ulteriormente la coesione sociale e l’adesione all’imposta".
L’universalismo dovrebbe segnalare l’impegno della collettività a garantire a tutti i suoi giovani e le sue giovani una risorsa indispensabile per sostenere l’ingresso nella vita adulta, sempre più ritardato nel nostro paese. "Contare sull’istruzione certamente serve, cosí come servono lavori di qualità con salari dignitosi", aggiunge il ForumDD. "Serve, tuttavia, anche una base di ricchezza, come ben sanno i più ricchi. Peraltro, esistono giovani di famiglie non povere che pure potrebbero essere fortemente condizionati dalle famiglie di origine in quanto portatori di piani di vita non condivisi. Se così, l’eredità rappresenta un formidabile elemento di libertà. Il che ci porta anche alle ultime considerazioni sulla incondizionalità".
Condizionare la dote, come richiede la proposta del Pd, significherebbe - sostiene il Forum - non fidarsi della libertà di scelta dei giovani. Privilegiare ancora una volta il paternalismo. "E le condizioni di utilizzo andrebbe monitorate e verificate? Come e quale costo? In più, l’associazione fra selettività e condizionalità implica che i giovani ricchi possono fare quello che vogliono e i giovani poveri no. Più che condizionare e vincolare bisognerebbe 'accompagnare' le scelte con servizi abilitanti già nelle scuole che promuovano l’emersione delle preferenze individuali e l’utilizzo consapevole delle risorse finanziarie".
Oltre le differenze però, e il legittimo confronto tra chi vorrebbe un intervento circoscritto e chi universale, tra chi lo vorrebbe condizionato e chi no, resta che la proposta di Letta - pure timida, considerato che andrebbe ad incidere su pochissimi ultramilionari, e da inserire in una riforma complessiva del fisco in senso progressivo, come si diceva - ha avuto il merito di aprire finalmente una riflessione sui temi della redistribuzione della ricchezza attraverso il sostegno alla creazione di ricchezza diffusa e la tassazione della parte più ricca del paese. Quella parte che ha continuato a arricchirsi anche prima della pandemia. Non si tratta di 'prendere' dai cittadini, in maniera astratta, ma di scegliere come e da chi prendere in maniera giusta, distinguendo fra sforzo e privilegio, distribuendo un po’ di ricchezza chiedendo a chi ha di più.
E andrebbe fatto proprio ora: domani potrebbe essere tardi.