Siamo giunti all'ultimo giorno del 2015. Anche quest'anno l'Abruzzo - forse in controtendenza rispetto a molti territori italiani - ha visto la partecipazione attiva di migliaia di cittadini alla vita pubblica delle comunità, organizzati in decine di comitati e collettivi. Il cuore della partecipazione ha riguardato principalmente le battaglie ambientali, quelle contro le grandi opere.
Volute, pianificate e sponsorizzate per lo più dal governo guidato da Matteo Renzi, le grandi opere hanno rappresentato insieme oggetto e terreno di lotta. Una su tutte, l'opposizione della popolazione della costa sud dell'Adriatico abruzzese alla piattaforma petrolifera Ombrina Mare è emblematica per le battaglie vinte, e di monito per quelle che verranno.
Dopo il protagonismo di massa dei movimenti nei primi anni del post-sisma aquilano - durante il quale si manifestava quasi quotidianamente, e che ha visto 30mila persone tra le vie del centro e 7mila a Roma, nella famosa protesta repressa dai manganelli - è indubbio che dalla manifestazione pescarese del 2013 a Pescara il movimento No Ombrina sia cresciuto e tanto, rafforzato come spesso accade da un certo autoritarismo istituzionale della controparte, che in questo caso ha preso nome e volto dello Sblocca Italia. Per questo, il personaggio dell'anno del 2015 in Abruzzo non può che essere il popolo del no a Ombrina. Un popolo oggi sorridente, perché è di pochi giorni fa la notizia dell'affossamento pressoché irreversibile della piattaforma petrolifera in Parlamento.
Il tentativo di petrolizzazione della costa adriatica abruzzese parte da molto lontano. Per questo, abbiamo personificato il movimento No Ombrina con uno dei suoi attivisti più longevi e significativi: Enrico Graziani, 78 anni, già senatore nelle file del Pci negli anni Settanta, e già sindaco di Paglieta (Chieti) dal 1970 al 1985.
Graziani è stato tra gli animatori maggiori della prima battaglia popolare contro la petrolizzazione in Abruzzo: quella che si opponeva all'insediamento in Val di Sangro della Sangro Chimica Spa, colossale raffineria, collegata a una centrale termoelettrica Eni, che sarebbe dovuta sorgere nel vastese e che avrebbe bruciato materiale proveniente dalla vicina raffineria. Una battaglia iniziata nel 1971, e che porta progressivamente alla seconda Repubblica, al Centro Oli di Ortona (Chieti), fino a Ombrina e alle giovani generazioni del centro sociale occupato di San Vito Chietino (Chieti) Zona 22, con le quali l'ex senatore si destreggia tra saggezza e attualità, ricordi di lotta e battaglie in corso.
Graziani, la battaglia contro Ombrina sembra vinta.
Mi sembra una vicenda chiusa, ottenuta dopo almeno otto anni di manifestazioni, lettere, incontri in Regione, ricorsi e soprattutto dopo la creazione di una coscienza diffusa in tutto l'Abruzzo. Ma qui in Val di Sangro il terreno è dissodato da ben 44 anni... Non dimentichiamo che qui esiste un polo industriale proprio perché a suo tempo respingemmo la Sangro Chimica.
Qual è la connessione tra la Sevel e la Sangro Chimica?
I metalmeccanici nel contratto del 1973 ottennero lo spostamento dell'asse degli investimenti industriali della Fiat al Sud. L'azienda si impegnò, e mostrò interessamento all'insediamento. Fu allora che Remo Gaspari (ex ministro democristiano e tra i personaggi politici più rilevanti nella storia d'Abruzzo, ndr) cominciò nel tentativo di attribuirsi ogni merito dell'arrivo di Fiat in Abruzzo. Ma l'azienda pose esplicitamente la condizione che non ci fosse, nelle vicinanze del proprio insediamento produttivo, nessuna raffineria. Curiosamente, poi, anche la Sangro Chimica pose la condizione di non avere altre grandi industrie nei paraggi. In anni di battaglie contro la raffineria, abbiamo di fatto tolto di mezzo la condizione che impediva a Fiat di aprire in Val di Sangro. Al contrario, Gaspari contribuì al ritardo dell'apertura della fabbrica di cinque anni.
Lì si formò l'embrione della lotta a Ombrina?
Ombrina è figlia di quella battaglia, senza dubbio. Perché già allora, più di quaranta anni fa, volevano fare di questa zona dell'Abruzzo un distretto petrolifero. E ieri, come oggi, l'Italia raffinava già il 40% in più del suo fabbisogno, al contrario di quello che affermò Gaspari, quando era ministro della Sanità, dicendo che l'insediamento petrolifero in Val di Sangro fosse una necessità nazionale. Dietro c'erano, come oggi, i grandi monopoli petroliferi internazionali, e la Cassa del Mezzogiorno dava contributi a fondo perduto. Era un affare per loro e per noi una pura perdita. Allora, come ora, ci fu una certa ribellione.
Era ed è l'aggressione dei grandi capitali al destino dei territori.
Il permesso di ricerca iniziale per Ombrina fu richiesto negli anni Settanta da una società che, quando fu rilasciata l'autorizzazione, aveva chiuso. Un'impresa che ha avuto il permesso di ricerca post mortem, e che per questo l'ha trasferito a un'altra società e poi a un'altra ancora, per finire alla Rockhopper. Ma permessi di questo genere mica si trasmettono, arrivano dopo un'attenta analisi tecnologica e finanziaria da parte di chi li rilascia: il governo.
Qualcuno ha detto che con il respingimento di Ombrina si è persa un'opportunità occupazionale.
La nostra comunità non ci avrebbe guadagnato nulla, se non il rischio serio per il territorio e le vite umane. Abbiamo sventato l'arrivo di una nave lunga 300 metri e alta 56: non si sarebbe solamente estratto, ma sulla nave si sarebbe anche raffinato, con conseguenti miasmi, polveri sottili e un costante rischio di incidenti. Considerando anche che il nostro è un mare chiuso, quasi un lago, come fa questo governo a perseguire queste scellerate politiche energetiche? Come fanno a non capire che stanno scherzando col fuoco? Come è possibile che il popolo debba difendersi dal proprio governo?
Qual è il consiglio che si sente di dare ai giovani che, in Abruzzo e in tutto il Paese, stanno portando avanti lotte e movimenti sociali?
Se vogliono una vita felice e in un ambiente accettabile per loro e per i loro figli, devono lottare. Le lotte continuano, una dopo l'altra. Anche qui, non è finita. Il governo ha deciso che otto regioni italiane devono ospitare un inceneritore di rifiuti, di cui uno vorrebbero che fosse installato in Val di Sangro. Scelte di politica energetica incomprensibili, appunto. Ma nel caso, faremo ricorso alla nostra ormai sperimentata capacità di lotta, scatenando tutta la battaglia possibile.