L'Aquila è una città stimolante per un musicista: vanta tre stagioni stabili di musica classica ed un Conservatorio che da quarant'anni richiama ragazzi e ragazze da tutta Italia. Ma quanto conosciamo davvero questo affascinante mondo, così vicino a noi? E quali sono i passi che un musicista deve compiere per rincorrere il suo sogno? Abbiamo cercato di capirlo insieme a Michele D'Ascenzo, giovane promessa della musica classica.
Michele, aquilano classe 1994, ha frequentato il Conservatorio A. Casella dell'Aquila, dove si è diplomato in pianoforte con il massimo dei voti, la lode e la menzione d'onore. Ha partecipato alle masterclass di artisti come Grigory Gruzman, Vincenzo Balzani, Pierre Réach e Lya de Barberiis ed è risultato vincitore di diversi premi in Concorsi Pianistici Internazionali. Nella sua giovane ma brillante carriera si esibito come solista con l'Orchestra Classica di Alessandria, l'Orchestra Sinfonica Abruzzese e con la West Bohemian Symphony Orchestra in Repubblica Ceca. Ha tenuto recital e concerti anche in Austria, Lituania e San Marino. Pochi giorni dopo il diploma al conservatorio si è trasferito a Como, dove frequenta la scuola di alto perfezionamento con il maestro russo Vsevolod Dvorkin e le lezioni di Natalia Trull, insegnante del Conservatorio Tchaikovsky di Mosca.
Com'è nata la tua passione per la musica?
I miei nonni sono amanti della musica classica ed in particolare dell’opera e mi hanno introdotto a questo mondo fin da bambino. Mia madre aveva studiato pianoforte e, anche se non ne aveva fatto una professione, lo strumento era rimasto in casa, così un giorno mi ci sono imbattuto. Da lì ho iniziato spontaneamente a chiedere di poter seguire delle lezioni.
A che età hai iniziato a suonare?
Ricordo che da piccolo suonavo un Rondò all'ungherese con mia madre senza avere nessuna conoscenza della lettura delle note: me lo aveva insegnato facendomi vedere quali tasti dovevo premere. Poi ho cominciato a prendere lezioni all'età di otto anni.
In che modo ci si apre la strada ad una carriera concertistica?
La via di accesso più canonica è vincere dei concorsi importanti che offrono, oltre a borse di studio anche concerti premio e sono un ottimo biglietto da visita. Ma ormai la vittoria in un concorso non garantisce necessariamente l'avvio di una carriera duratura: sicuramente ti apre diverse porte ma non è sufficiente. Oggi è forse più utile una seria operazione di marketing e promozione. Il Conservatorio mi aveva dato la possibilità di suonare in diversi contesti, tra Roma e l'Abruzzo, ed era ottimo poter mettere in pratica ciò che imparavo ma si trattava di concerti che comunque rientravano nel percorso didattico. I concerti più da professionista, nel senso che non si è più sotto la tutela di un'Istituzione che si occupa della tua formazione, sono venuti dopo: erano vittorie in concorsi oppure concerti che venivano assegnati ai migliori studenti, all'interno di corsi di perfezionamento.
Molti aquilani forse non si rendono conto del panorama musicale che la città offre.
Credo che dipenda anche dal mondo della musica classica. L'Aquila ha un'offerta musicale molto alta, sia a livello quantitativo che qualitativo. Nella nostra città abbiamo tre stagioni stabili: Istituzione Sinfonica Abruzzese, Società dei Concerti Barattelli e Solisti Aquilani che hanno ospitato vere e proprie leggende della musica e continuano ad offrire prodotti di altissimo livello. Sebbene abbiano un alto numero di abbonati, non tutti ne sono a conoscenza; o forse semplicemente non se ne interessano.
Credi che la musica classica sia ancora un genere di élite?
L'avvicinamento della massa è chiaramente un problema culturale. Sicuramente l'età media di chi va a sentire un concerto di musica classica è alta. Gli anziani che vengono lo fanno, per lo più, perché fino a qualche anno fa era uno status symbol: avere il palco all'opera o andare al concerto di musica classica faceva parte delle tradizioni di una buona famiglia borghese quindi per loro è rimasta come una tradizione, quasi un rito. I giovani, invece, sono di meno ma vivono l'esperienza con un entusiasmo diverso, chiedendo e informandosi.
Hai trovato delle differenze su come viene concepito il lavoro del musicista in Italia ed in altri Paesi?
Sicuramente l'attenzione verso la musica è più sentita in alcuni Paesi, soprattutto nordici, anche dalla gente comune. Il pubblico all'estero è meno rumoroso durante la performance, niente carte di caramelle scartate nei momenti meno opportuni, per intenderci, e a volte anche più preparato. Ma io credo che sia anche un fatto geografico e storico: Paesi a sud con un clima più mite, offrono più possibilità di fare delle attività all’aria aperta, mentre Paesi nordici, più esposti al maltempo, inevitabilmente, hanno maggiormente sviluppato intrattenimenti che si possono svolgere all'interno. In fondo, è il ragionamento che faceva Leopardi nell'opera Lo Zibaldone a proposito dell'arte della conversazione.
C'è la possibilità per un giovane musicista di trovare lavoro in Italia o andare all’estero è una scelta obbligata?
In Italia anche a livello concertistico ci sono diverse possibilità, anche se alle volte si ha l'impressione dell’esatto opposto. Al nord, soprattutto, ci sono festival dedicati ai giovani musicisti, ma molto spesso si tratta di eventi autofinanziati e gli organizzatori fanno i salti mortali per trovare sponsor e risorse. Suonerà retorico, ma sono le istituzioni che dovrebbero investire di più. Oggi quasi nessuno può più permettersi di vivere di soli concerti, per cui l'insegnamento è sicuramente una strada da percorrere, senza considerala però un ripiego o una carriera di serie b.
Cosa significa per te insegnare?
A Como insegno pianoforte in un'accademia privata a tre allievi e all'Aquila insegnavo privatamente. Per me è bellissimo perché si ritrovano negli allievi i propri problemi ed è prima di tutto un'autoanalisi riuscire a trovare il modo di spiegare e di farsi capire.
Hai incontrato molte difficoltà nel tuo percorso artistico?
Le difficoltà sono tante e i momenti di sconforto altrettanti, soprattutto perché questo è un percorso che necessariamente comporta un continuo e profondo confronto con sé stessi e con i propri limiti. Ma devo dire che, in realtà, non saprei vedermi in un altro ambito e mi ritengo fortunato a poter fare ciò che sento di fare, ciò che mi piace. Credo che la cosa fondamentale nell'arte sia avere qualcosa da dire, la sfida sta poi nel trovare il modo e i mezzi per esprimerla, superando le difficoltà che quotidianamente si devono affrontare.
Spiegaci meglio.
Molto spesso la questione viene ribaltata, nel senso che l'aspetto tecnico viene privilegiato rispetto al contenuto propriamente artistico. Sotto questo punto di vista direi che oggi, benché i pianisti siano molti di più rispetto al passato, sono sempre meno quelli che veramente hanno la necessità di comunicare dei valori. Credo che la mia predilezione per i pianisti del passato dipenda proprio su questo: quei musicisti avevano la necessità, quasi l'urgenza di parlare al pubblico, di esprimere determinati contenuti. C'era forse un'altra tensione morale che oggi sembra più rara, di fronte ad alcuni esempi di spettacolarità fine a sé stessa, di show. Da non confondersi con la presenza scenica, il carisma, che al contrario sono indispensabili per stabilire il contatto emotivo con il pubblico.
Che consigli daresti a chi inizia questo tipo di carriera?
Porsi degli obiettivi molto alti e tentare di raggiungerli perché quello ti stimolerà a dare il massimo; avere un grande spirito di sacrificio; cercare chi ti può aiutare in questo percorso e non accontentarsi, provando sempre a migliorarsi perché non c’è mai un punto in cui ci si possa dire arrivati. Si racconta che quando il giovane Pavarotti incontrò Beniamino Gigli, gli chiese quale fosse il segreto per cantare così bene ed egli gli rispose "ho finito di studiare 15 minuti fa". Essere musicisti è prima di tutto un percorso di ricerca: vuol dire essere sempre studenti, riscoprirsi come tali.