“Concedetevi una vacanza intorno a un filo d'erba”.
Si apre così l'ultimo libro di Franco Arminio, Geografia commossa dell'Italia interna (Bruno Mondadori), presentato ieri all'Aquila, alla presenza dell'autore, all'università, nell'aula magna del Dipartimento di Scienze Umane. Un incontro inserito nell'ambito della "Rassegna letteraria e studi sulla comunità", curata dalla professoressa Lina Calandra.
Arminio, poeta prosatore, ma soprattutto paesologo, continua il viaggio, già affrontato tante volte, per i borghi della provincia montana e rurale dell'Italia meridionale.
Nelle sue peregrinazioni, lo scrittore, originario di Bisaccia, in provincia di Avellino, predilige i luoghi dove a regnare sono la desolazione, l'abbandono, l'isolamento, i paesi in cui si annidano le mille contraddizioni del Sud Italia: bellezze naturalistiche ancora intatte minacciate dalla speculazione edilizia, ignoranza condivisa, rancore collettivo e voglia di riscatto, clientelismo e passione civile.
Sono luoghi di passaggio, di confine, sospesi tra l'estinzione causata dallo spopolamento e un presente vissuto come se non esistesse un domani.
Eppure non c’è paese, tra quelli visitati, che, nonostante gli sfregi inferti dalla modernità, non conservi almeno un po' di poesia e di bellezza.
E sono proprio la poesia e la bellezza a offrire una possibilità di riscatto.
“L'essenza del Sud" dice Arminio «è proprio il fatto di essere in bilico tra opportunità e pericoli. E forse dove i pericoli sono più grandi è più facile che si trovi il coraggio di trovare nuove soluzioni. La nostra salvezza è la poesia che ancora c’è nelle nostre terre, è questa nuova religione che ci tiene insieme, quest’antica bellezza che vogliamo proteggere e accudire”.
Arminio è un paesologo o, almeno, è così che ama definirsi. La paesologia non è una scienza, è una “disciplina indisciplinata”, una via di mezzo tra l'etnologia e la poesia. E' l'applicazione della poesia al paesaggio.
Il paesologo non è un mero esperto di tradizioni locali, non è l'erudito che sa tutti i nomi dei signorotti che hanno dominato un paese o conosce tutti i proverbi.
Il paesologo è colui che studia sul campo il funzionamento di quei particolari organismi che sono i paesi, consapevole del fatto che essi “sono come i fiocchi di neve: non ce ne sono mai due uguali”. Per questo la paesologia è una disciplina ribelle, priva di rigore metodologico, asistematica.
Il paesologo è soprattutto un viaggiatore. Anzi, è il vero viaggiatore, il viaggiatore per antonomasia. Perché, come ha scritto Gianni Celati, “per osservare il mondo esterno da paesologo occorre privilegiare al massimo la percezione delle cose singole, contro le astrazioni degli esperti e le frasi fatte dell'attualità. Occorre riuscire a guardare il mondo esterno come se si fosse già perso tutto, come chi è straniero dovunque, come chi ha rinunciato all'idea consolante di appartenere a un luogo, come chi ha abbandonato la fregola di piantare la bandiera del suo gruppo o della sua famiglia per dire «Questo è il mio territorio!»”.
Arminio si definisce anche un “flâneur della desolazione”. Nel suo libro racconta dell’Emilia del terremoto, dove non sono stati pronunciati mai i nomi dei morti, ma solo elencati i numeri. “In Emilia dopo il terremoto si parla in continuazione dell’esigenza di ripartire, come se il terremoto avesse fermato una corsa automobilistica”, commenta.
E poi visita L’Aquila, dove non può non constatare quanto sia difficile, se non impossibile, «raccontare un luogo passandoci dentro per un giorno. È come vedere un paio di scene di un film che è cominciato mille anni prima...Entriamo nella zona rossa, che a rigore non si può percorrere. Vorrei entrare in una casa, vedere il bicchiere sul tavolo, il calendario al muro».
“Le persone vengono da me per sentire cosa penso dei paesi e la domanda è sempre la stessa: cosa si può fare per impedirne la morte?” scrive Arminio.
“L'Italia interna non si salva guardando indietro ma immaginando cose nuove, cose mai viste. Mi piacerebbe che L'Aquila diventasse la capitale di questa Italia interna, e non solo perché sta in mezzo, ma perché da luogo della sventura diventi luogo del sogno, il luogo in cui disegnare una nuova comunità. Io parlo dei paesi come laboratorio di un nuovo umanesimo, l'umanesimo delle montagne, e vorrei che L'Aquila diventasse un nuovo modo di essere città in Italia, in Europa e nel mondo”.
Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia. Ha pubblicato molti libri sui paesi del Sud Italia e sei raccolte di versi. E' anche documentarista e animatore di battaglie civili. Di recente sul suo lavoro è uscito anche un film intitolato Di mestiere faccio il paesologo. Collabora con diversi giornali locali e nazionali (“il manifesto”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Corriere del Mezzogiorno”).
Ha un blog: comunitaprovvisorie.wordpress.com.