"L’Aquila è stata sempre una città di destra, non nel senso moderato ma nel senso più duro del termine".
Raffaele Colapietra non è sorpreso che al ballottaggio del 25 giugno abbia vinto Pierluigi Biondi, candidato espressione di una destra che non è più quella "conservatrice e tradizionalista" di Berlusconi ma quella "estremista" di Fratelli d'Italia e Lega/Noi con Salvini.
Se a quest'anima intimamente "reazionaria" della città - che è sempre presente, fin dal Dopoguerra, e sempre riaffora assumendo varie forme - si aggiunge la perdita di identità e gli errori commessi dalla sinistra a livello sia nazionale - "Il Pd ormai è da tempo un partito di centro, borghese, moderato" - che locale - uno su tutti, "il sentimento di sufficienza, arroganza e autoritarismo" manifestato dall'amministrazione Cialente - nell'analisi di Colapietra l'esito di queste elezioni non è affatto stupefacente.
Professor Colapietra, come interpreta questo voto e il modo in cui è maturata la vittoria di Pierluigi Biondi, che è riuscito a ribaltare completamente il risultato del primo turno?
E’ un risultato che dipende da una larghissima astensione e da un ricompattamento della destra, che si è stretta intorno a un candidato estremista. Questo va tenuto presente: nell’ambito della destra, i moderati come Liris, ammesso che Liris si possa definire un moderato, si sono ritirati davanti a un candidato neofascista, perché bisogna dire che Fratelli d’Italia è un partito neofascista. Su Biondi si è ritrovato bene lo zoccolo duro dell’Aquila tradizionale.
Cosa intende?
L’Aquila è stata sempre una città di destra, non nel senso moderato del termine ma nel senso più duro. Bisogna ricordare che i primi due rappresentanti della città nel primo consiglio provinciale del Dopoguerra, nel 1950, furono due esponenti del Msi, l’ingegnere Orazio Giuliani e l’avvocato Alfonso Cerulli, e che fu proprio qui all’Aquila che si celebrò, nel 1952, il terzo congresso del Movimento sociale italiano. L’Aquila ha una vocazione fortemente reazionaria, una vocazione che può diventare in alcuni casi clericale e in altri neofascista.
Non sono, quelli di fascismo e neofascismo, concetti superati?
Uso la parola neofascista perché non c’è un altro termine più adeguato, quantunque un certo richiamo e una certa nostalgia ci siano, specie in una realtà come L’Aquila, dove il traghettamento dal fascismo ai tempi nostri è avvenuto grazie alla Democrazia Cristiana, cioè a una forma di notabilato cittadino fatta da uomini d’ordine.
Secondo lei c’è il pericolo, paventato a caldo da molti, che possano esserci certe risorgenze nostalgiche?
No. Anche i saluti romani appartengono al passato, esistono come forme istintive della vittoria, è anche comprensibile. Un irrigidimento sgradevole, invece, potrebbe esserci sul problema dei migranti, perché sia la Lega che Fratelli d’Italia sono partiti razzisti, a differenza di Berlusconi, nel quale invece c’era e c’è una componente di paternalismo, quella dell’uomo provvidenziale che fa del bene a tutti. Berlusconi è un conservatore tradizionalista, nemico della sinistra perché questa è nemica del capitale e dell’imprenditorialità. La Lega e Fratelli d'Italia invece sono partiti razzisti, reazionari allo stato puro.
Come si spiega che tante persone provenienti da una tradizione di sinistra o con ideali progressisti hanno votato per Biondi? Un caso abbastanza emblematico, di cui si è molto parlato soprattutto sui social, è stato l’endorsement in favore di Biondi fatto dallo storico Walter Cavalieri, antifascista e con trascorsi nel Pci.
Cavalieri è quello che ha scritto il libro Adelchi Serena, il gerarca dimenticato. Questi sono uomini di sinistra per modo di dire, nel senso che sono a favore di alcuni aspetti progressisti della modernità ma di sinistra non c’è niente. La sinistra del costume non significa niente, perché si possono volere determinate cose ed essere dei reazionari. Non mi meraviglia dunque che Cavalieri abbia votato per Biondi perché quello è il suo degno approdo di carattere politico. Il sistema Biondi, un sistema autoritario, personalizzato, di pronto intervento, lo rassicura, a differenza di tutte queste logomachie del Pd, perché nel Pd si parla molto, mentre dall’altra parte si afferma soltanto. La destra è molto più monolitica della sinistra, persone come Tinari o come D’Eramo sono molto più simili a Biondi di quanto non lo siano tra di loro Lolli o la Pezzopane. E’ il decisionismo, inteso come temperamento al di là dell’aspetto politico, che porta Walter Cavalieri ad amare personaggi forti come Serena, l’individualismo, che è a priori la negazione del socialismo. Il culto dell’individuo e dell’uomo forte nega tutto l’aspetto solidaristico proprio della sinistra.
Uno slogan usato dal centrodestra in campagna elettorale è stato “Prima gli aquilani”, declinazione locale del “Prima gli italiani” di Noi con Salvini e di Fratelli d’Italia.
Quello è un razzismo scoperto, in questo caso c’è un campanilismo scoperto. Non so cosa significhi prima gli aquilani. Prima rispetto a cosa? “Prima gli italiani” è rivolto agli stranieri, “Prima gli aquilani” a chi è rivolto?
Se L’Aquila ha, come dice lei, quest’anima conservatrice, come si spiegano dieci anni di governo di centrosinistra in uno dei momenti più difficili della storia della città?
Perché si è capito bene che da quando c’è Renzi, ma anche da prima, il Pd è un partito di centro, borghese, moderato. Dare il voto al centrosinistra non è certo dare un voto socialista o progressista. E’ un voto di efficienza, soprattuto Renzi ha dato questa impressione, quella di saper risolvere, con grande spregiudicatezza i problemi. A livello locale non sono tanto Cialente e Lolli, due vecchi comunisti che si raccapezzano alla bell’e meglio nella situazione attuale, quanto la Pezzopane ad incarnare il Pd. Per la Pezzopane è una faccenda personale, nel senso che è importante per lei affermarsi come persona, non come esponente di un partito politico. E’ un qualcosa che va molto al di là della classificazione politica, un essere genericamente liberale, femminista, moderna ma in una forma molto più psicologica che non politica. Politicamente è legata ai poteri forti ma non è che una pedina dello scacchiere. Certo, una pedina che ha interesse ad avere molte carte in mano.
Il voto di domenica dice chiaramente che la città ha voltato le spalle al centrosinistra. In cosa, secondo lei, ha fallito - se ha fallito - l'amministrazione uscente?
Io ho sempre ritenuto e ritengo che lo spappolamento della città sia ancor oggi il problema più grave. E’ un dato di fatto che il governo del territorio non esiste. Il centro storico vede solo la ricostruzione di una moderna Pompei: non solo non ci sono i negozi ma non ci sono nemmeno i clienti dei negozi. E non ci sono perché hanno già come riferimento altri centri di attrazione, sparsi in un vastissimo territorio. Ma non mi pare che gli altri abbiano un disegno alternativo. E’ la struttura urbanistica dell’Aquila che va riveduta radicalmente. Se non si coglie questo punto e si continua a parlare solo di centro storico, di cardo e decumano, siamo sempre là, non facciamo passi avanti. Bisogna poi tener presente il sentimento di sufficienza, arroganza, autoritarismo, un comportamento da “lasciatemi lavorare”, che ha caratterizzato il centrosinistra, il suo ritenersi superiore alle contingenze, come fosse una forza provvidenziale e insostituibile, in grado di ottenere quello che altri non potevano ottenere. E’ stato un bluff, che si è rivelato molto misero.
Un fallimento evidente è rappresentato dal ritardo con cui è stata avviata la ricostruzione nelle frazioni.
Questo è innegabile ed è un dato di fatto. Il portato di questa mostruosità che è diventata il comune dell’Aquila è che realtà aggregate come Paganica e le altre frazioni, che avevano e hanno ancora una loro ragion d’essere, come rappresentanza amministrativa sono poste ai margini. Questo ad esempio non era avvenuto nel trentennio di governo democristiano dopo la guerra. Oggi invece le frazioni sono distrutte e non sono rappresentate. Sono dei pesi morti per la città ma a questo punto tanto vale restituire loro l’autonomia che avevano quando erano comuni. Farle essere parte di una realtà amministrativa che vive alla giornata mi pare poco corretto.
Con la fine dell’era del centrosinistra finisce anche un sistema di potere politico-affaristico-clientelare?
In tutti i terremoti nascono sistemi simili, che vanno molto al di là della sinistra e della destra o dei singoli personaggi. E ciò accade per la semplice ragione che l’occasione di un terremoto capita una volta ogni tanto. Qui all’Aquila un sistema politico-affaristico c’è stato fin dal primo giorno dopo il terremoto. Tutte le più forti strutture economiche e imprenditoriali d’Italia si sono concentrate su Aquila e di fronte a questo non c’è forza locale che potesse resistere. Cialente ci si è trovato ma nessun altro avrebbe potuto fare alcunché, se non dimettersi per protesta. Questo, probabilmente, poteva essere l’unico gesto da mettere in atto contro quella impostazione, lesiva degli interessi della città. Forse un’altra persona avrebbe potuto farlo ma mi riferisco sempre ai primi mesi dopo il terremoto. La situazione è talmente eccezionale che un giudizio del tutto positivo o negativo è anche fuori di luogo. Certamente è stata gestita male ma che si potesse gestire non dico meglio ma diversamente, anche questo non so chi potrebbe dirlo.
Americo Di Benedetto che candidato era?
Lo conosco in modo superficiale, nel modo in cui si può trattare con lui, cioè con pacche sulle spalle e abbracci. Ma a proposito di Di Benedetto voglio raccontare un aneddoto di costume. Trent’anni fa, erano i primi anni Ottanta, Mario Arpea mi disse, alla vigilia di una tornata di elezioni amministrative, che c’era un giovane che dovevamo appoggiare, un certo Enzo Lombardi, allora sconosciuto. Arpea mi disse che dovevamo appoggiarlo scrivendone su una rivistina che lui aveva all’epoca. L’espressione “un giovane che dobbiamo appoggiare”, che Arpea usò con me, fu significativa. Alludeva a “noi persone per bene, di buona volontà, che contiamo”. Poco prima di queste elezioni, una mia amica, Donatella Ciocca, la figlia di Ettore Ciocca, grande personaggio del comunismo aquilano, e sorella di Pierluigi Ciocca, vice direttore della Banca d’Italia e illustre storico dell’economia, mi ha scritto una lettera in cui diceva: “C’è un giovane che dobbiamo appoggiare: si chiama Americo Di Benedetto”. È significativo che si sia verificato lo stesso fatto a distanza di 35 anni con persone peraltro non diversissime tra di loro, perché Lombardi e Di Benedetto no è che siano tanto diversi. Si entra sempre in questa mentalità ottocentesca per cui le persone di buona volontà, esperte, che contano, si raccolgono intorno ai giovani per dar loro dei buoni consigli. Ma costoro non hanno bisogno dei nostri consigli, hanno un’ambizione personale comprensibile e sono già inseriti in qualche sistema di potere, altrimenti non sarebbero venuti a galla. Anche alle spalle di Biondi ci sono interessi costituiti, che si faranno sentire in varie forme. Non dobbiamo vedere in Americo Di Benedetto il presidente della Gsa e in Biondi l’onesto bifolco che viene da Villa Sant’Angelo.
Di Benedetto ha una storia politica che non ha molto a che vedere con la sinistra, essendo sempre stato un democristiano.
Di Benedetto fa parte di un’area democristiana forte che è quella che fa capo a Franco Marini, che non è poco. Non è che sia vergine e sia venuto fuori così, per beneficare l’umanità. E’ stato un seguace di una forma di paternalismo democristiano legato a Franco Marini, che è quanto di più insignificante, squallido e notabilare si possa immaginare.
Di Benedetto al secondo turno ha preso 4 mila voti in meno. Vuol dire che è stato abbandonato dal partito e che qualcuno ha remato contro?
Non c’è dubbio alcuno che ci sia stato un regolamento di conti interno. Già l’eliminazione in prima battuta di persone come Pietro Di Stefano lo lasciava pensare. Ma mentre nel caso di Di Stefano si può anche capire, perché la gestione della ricostruzione è qualcosa si molto concreto e molto tangibile, in che cosa abbia sgarrato o in cosa non sia stato ai patti Di Benedetto non lo sappiamo e non lo possiamo indovinare. Queste cose non nascono all’ultimo momento, devono avere un retroterra. Non è che tutto cambi nello spazio di quindici giorni.
Di Benedetto era appoggiato anche dalla borghesia imprenditoriale e professionale. Il fatto che abbia perso vuol dire che queste classi o questi ambienti non contano più?
No anzi, contano ancora molto ma bisogna vedere fino a che punto appoggiavano Di Benedetto. Senza dubbio lo appoggiavano in via di principio perché il candidato ideale della borghesia imprenditoriale, dei costruttori, dei vari Frattale e compagnia bella, era senza dubbio lui. Però visto il risultato del ballottaggio bisogna vedere come Di Benedetto si è comportato rispetto a loro, può darsi che ci sia stato qualche particolare per cui non è più rientrato nei loro disegni o non ne sono stati soddisfatti fino in fondo. Era il prescelto ma forse ha deluso le aspettative. Certamente il rapporto tra Di Benedetto e Frattale non è stato un rapporto esemplare, questo possiamo dirlo a priori.
Un altro grande sconfitto è Giovanni Lolli.
Lolli è un sopravvissuto a se stesso, un comunista di vecchia data, alla Walter Veltroni, che incarna un tipo di comunismo sentimentale, nostalgico. Da almeno vent’anni Lolli, come del resto Cialente, sopravvive a se stesso, anche dal punto di vista politico. Loro due erano i giovani comunisti, le belle speranze del partito. Ma il partito è scomparso e loro, essendo vecchi comunisti inguaribili perché così sono vissuti, sono sopravvissuti a se stessi. Dal punto di vista politico non significano più niente da molto tempo. Non a caso Lolli era stato liquidato come deputato e gli è stata poi affidata questa carica inventata di vice presidente della Regione, che non c’era mai stata, per dargli un contentino.
Cosa cambierà per L’Aquila? Ci sarà una liberazione, come hanno detto gli esponenti del centrodestra, o si andrà avanti malgrado tutto nel solco della continuità?
Cambierà forse il rapporto immediato, la convivenza con la Regione, anche se il decisionismo di D’Alfonso convive benissimo con il decisionismo di Pierluigi Biondi. I
Lei continua a vivere in centro storico. Un grande tema che riguarda il centro storico dell’Aquila è come andrà rivitalizzato man mano che la ricostruzione volgerà a termine.
Il centro storico dell’Aquila è stato tale fino al 6 aprile ma non è detto che debba esserlo in perpetuo. Storicamente, c’è solo un modo per rivitalizzare i centri storici, la pedonalizzazione: bisogna renderli dei luoghi dove si va se si vuole perché ci sono musei, negozi e ristoranti. Ma ci si va se si vuole, non si è costretti.
Lei ha votato?
No, non lo faccio più da molti anni. Sono un socialista ed essendo socialista non so che fare da molto tempo a questa parte.