Il racconto del post-terremoto passa anche attraverso la poesia. E l’aquilano Ugo Capezzali con “La mezza città”, opera che restituisce uno spaccato toccante dell’Aquila violentata dal sisma, ha vinto il primo premio nell’ottava edizione del concorso “Città di Sant’Arcangelo”. Un importante riconoscimento, solo l’ultimo di una lunga serie: dal premio “Laudomia Bonanni” nel 2005, a quello “Peltuinum” sempre nello stesso anno, fino ad arrivare, nel 2007, al primo premio nel concorso “Giovanni Sparagna”.
Ugo Capezzali, però, non è una delle “tante penne del terremoto”, come lui stesso tiene a precisare. Non ha scoperto la poesia solo dopo l’esperienza terribile del sisma. Comincia a comporre, infatti, circa vent'anni fa, iniziando la sua carriera poetica vera e propria nel 2003, con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie “Nient’altro che vento” a cui sono seguite “Fiori d’artificio” e “Basterebbe il cielo”, la sua ultima raccolta uscita poco più di una settimana fa.
Un poeta, ma non solo. E' anche un musicista, cantante ed autore del gruppo punk Niutaun. Avete mai assistito ad un concerto della band? Beh, è un vero e proprio animale da palcoscenico, uno che la scena la riempie con la sua personalità esplosiva. Un talento poliedrico, il suo, che ha trovato strada anche nel mondo del teatro, attraverso la collaborazione come attore, regista ed autore con alcune compagnie.
Tornando alla poesia, nonostante abbia rifiutato l’etichetta di “scrittore del terremoto”, in alcuni suoi componimenti il tema del sisma è entrato inevitabilmente. E ciò che ha rappresentato il terremoto nella sua arte poetica e nella sua vita ce lo ha raccontato in questa intervista.
Il terremoto ha segnato un prima e un dopo?
Più che nelle poesie nella quotidianità. Ho sempre scritto di me e di quello che mi circonda, dei sentimenti. Inevitabilmente, quindi, L’Aquila è entrata nelle tematiche di alcune delle mie poesie, come quella che ha ricevuto il primo premio al concorso di Città Sant’Arcangelo. Mi hanno chiesto di pubblicare qualcosa esclusivamente sulla nostra città ma ho evitato, l’avevano già fatto in tanti.
Ma la tua poesia che racconta il post-sisma è arrivata fuori città, ha vinto un premio e ha avuto molta visibilità. Che ruolo può avere la poesia nel raccontare la nostra situazione?
È senza dubbio un viatico importante. Si sono accesi dei riflettori che prima non c’erano. Ma non mi piace andare fuori come un reduce. È normale che si cerca di raccontare ciò che è successo in tutti i modi, non per pietismo, ma per avere qualche possibilità in più di rinascita. Cerco, però, di continuare a fare quello che ho sempre fatto: prima parlavo dell’Aquila in un altro modo, adesso è inevitabile farlo affrontando anche la tematica terremoto. È una ferita aperta e quando uno scrive le ferite sono importantissime.
La tua ultima raccolta “Basterebbe il cielo” uscita pochi giorni fa, quindi, non è raccolta di poesie sul terremoto?
No. Sono 4 sezioni e solo la più breve è dedicata all’Aquila. Poesie per lo più intimistiche, sulla vita, sui dolori e sulle gioie. È molto presente la natura. Il riferimento al terremoto lo faccio tra le righe, non direttamente. Poco prima della pubblicazione è nata la mia prima figlia ed era interessante il discorso di una città che scompare e una vita che nasce. Quando scrivo non mi piace dire qualcosa in modo palese. Le mie poesie sono ricche di figure retoriche, non immediate alla lettura. È mia intenzione lasciare molti canali aperti in modo che il lettore possa da solo trovare qualche spunto, qualche sensazione in cui si rivede o che non condivide.
Tu sei anche musicista, scrivi e canti i testi dei Niutaun. Ci sono punti di contatto tra le tue poesie e i testi delle canzoni?
Ci sono nello stile di scrittura. Ciò che accomuna la mia musica alle poesie è l’impegno nel creare cose non troppo canoniche. Per ciò che riguarda i temi, non sono proprio gli stessi, noi facciamo musica punk, il contesto è molto diverso. In entrambi i casi però, sia quando scrivo poesie che quando scrivo canzoni, non dico mai nulla se non ne sono profondamente convinto.
Non andate via, da Basterebbe il cielo
Giorni presenti
di profumi ai balconi
a cui finalmente
so dare un nome,
Di due occhi assoluti
e profondi
più di un paradiso
che cercano ingordi
intorno e nei miei
la strada che, troppo presto,
sarà.
Giorni passati
di fiori confusi
in cui Roma ero io
e tutto portava
e tutto restava,
e il cuore sapeva
ma non poteva spiegare.
Siete solo una vita
Ma sola è la vita.
Non andate via