Il Sudafrica è in questi giorni in lutto per la morte di Nelson Mandela. Il Paese, lontano migliaia di chilometri dall'Italia e dall'Aquila, ha in comune con il capoluogo abruzzese la passione per il rugby. Per esempio, è sudafricana la terza linea dell'Aquila Rugby, Dalton Davis. Ma la palla ovale non è l'unico elemento che accomuna, in qualche modo, L'Aquila e il Sudafrica. Per diversi anni, l'Università degli Studi dell'Aquila è stata protagonista di un accordo con l'Università di Città del Capo, grazie a un un'idea promossa da un professore ordinario dell'ateneo aquilano: Mario Di Gregorio (foto a sinistra). Di origine milanese, Di Gregorio insegna storia della scienza presso il Dipartimento di Scienze Umane e fondamenti di etica all'interno del corso di laurea di psicologia. Giovedì prossimo, proprio nell'ambito di quest'ultimo insegnamento, terrà una lezione dedicata interamente all'ex presidente sudafricano.
L'accademico conosce molto bene il Sudafrica, perché, inoltre, insegna come Visiting Professor storia della scienza all'Università di Città del Capo da più di un decennio, alternandosi con le lezioni e gli esami che tiene all'Aquila.
Lo incontriamo in un bar del centro storico, in una tipica mattina invernale aquilana baciata dal freddo e dal sole, per parlare della storia che ha portato il Sudafrica alle tremende politiche di apartheid, della situazione economica e sociale del Paese e, ovviamente, della figura di Madiba.
Professore, quando vide per la prima volta Nelson Mandela?
Lo conobbi in occasione di una festa per Graca Machel, la sua terza moglie. Rimase solo qualche minuto, perché non voleva rovinare la festa di sua moglie, cui ero stato invitato. Tutti si sarebbero ovviamente rivolti a lui, e non lo riteneva giusto. Mi colpì la sua sensibilità, in quel frangente.
Quali sono le premesse storiche che portarono all'apartheid in Sudafrica?
La questione dell'apartheid in Sudafrica c'entra poco con il colonialismo classico. Gli Afrikaner sono popolazioni, in principio tribali, di estrazione ugonotta (protestanti francesi di confessione calvinista cacciati dalla Francia nel XVII secolo a causa delle persecuzioni religiose, ndr) provenienti soprattutto dall'Olanda. Gli Afrikaner si stabilirono in Sudafrica quasi contemporaneamente all'arrivo delle maggiori tribù africane presenti nel Paese: gli Xhosa e i Zulu, provenienti dal centrafrica. Il colonialismo impose la convivenza tra tribù che non volevano stare insieme, ma alla fine gli Afrikaner presero il sopravvento anche sugli inglesi. I neri, in seguito, vennero esclusi da un certo tipo di sviluppo economico. Negli anni '50, Hendrik Verwoerd, l'artefice dell'apartheid, per combattere la povertà dilagante tra gli Afrikaner, iniziò ad applicare politiche keynesiane, ma solo per i bianchi, che utilizzavano tutte le risorse. I lavoratori neri venivano sfruttati, e iniziavano così le politiche dell'esclusione. In quel periodo nacquero anche le township, città ghetto dove venivano confinati i neri. Gli Afrikaner avevano un approccio molto simile a quello che in Italia ha la Lega Nord: non è razzismo tout-court, ma l'asserzione di una ideologia politica basata sull'esclusione.
In quel periodo Nelson Mandela era un giovane avvocato...
Gli oppositori neri, di cui Madiba faceva parte, all'inizio utilizzavano il metodo della legalità, attraverso il potere giuridico, laddove la politica falliva. Speravano di seguire un percorso di tipo esclusivamente giudiziario e legale. Mandela, all'inizio, pensava di utilizzare il metodo non violento che stava attuando in India Gandhi. Ma la non violenza è applicabile solo nei confronti di poteri che utilizzano lo stesso metodo. Quando Gandhi e i suoi si stendevano sui binari dei treni per bloccare il passaggio dei convogli britannici, questi ultimi si arrestavano. Invece, durante le manifestazioni dei neri in Sudafrica, gli Afrikaner sparavano sulla folla. Successivamente, dunque, Mandela cambiò approccio: si diede alla macchia e iniziò un'attività che alcuni hanno definito terroristica, stipulando inoltre l'accordo tra l'African National Congress (Anc) e i partiti comunisti sudafricani, composti prevalentemente da bianchi. I liberali, invece, si rifiutarono di partecipare a questo tipo di lotta.
Nel 1956 Mandela fu arrestato, e nel successivo processo fece un discorso durante il quale disse che non voleva il predominio dei bianchi sui neri, e viceversa. E' in quel periodo che elaborò il suo assioma politico fondamentale: la cooperazione tra le etnie. Successivamente, fu condannato all'ergastolo. Durante la sua prigionia la situazione economica e sociale del Paese andò verso il disastro. Gli offrirono di uscire di prigione in cambio della rinuncia alla lotta, ma rifiutò. Alla fine degli anni '80 l'evento decisivo: la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, durante la quale l'Unione Sovietica si era schierata a favore della lotta di liberazione, mentre gli Stati Uniti appoggiavano l'apartheid. In quegli anni il regime di apartheid fu allentato, lui fu scarcerato nel 1990 e quattro anni più tardi vinse le elezioni presidenziali.
Come cambiò, da allora, il Sudafrica?
Una volta diventato presidente, Mandela provò ad attuare una politica economica che intrecciasse l'economia di mercato e lo stato sociale, su un modello simile a quello svedese. A molti neri indigenti vennero assegnate case con viveri e acqua potabile. La sua politica si basava molto sull'educazione, con l'obiettivo di una rifondazione culturale del Paese. Ad ogni modo, cercava di combinare elementi europei - che comprendevano aspetti di cosiddetta economia di mercato - sia elementi africani di forte identità e solidarietà comunitaria. L'elemento europeo era rappresentato dalle istituzioni, che permettevano un corretto funzionamento dello Stato. L'impronta africana è ben espressa attraverso il concetto di ubuntu, condivisione. L'idea comunitaria che tu non puoi vivere la tua vita, se non attraverso la vita degli altri. Dunque, un mix di istituzioni europee e cultura africana. Questo ha reso grande il pensiero di Mandela. Tutti mantengono le loro caratteristiche, ma collaborano. E' diverso dalle politiche di integrazione, che non condivido, perché integrare significa farti diventare come me.
Lei come incontra il Sudafrica?
Sono arrivato a Cape Town poco dopo la fine dell'apartheid, nel 1997. Ho vissuto e insegnato per 17 anni a Cambridge, in Inghilterra. Tra i miei studenti, c'erano una ragazza afrikan e un ragazzo scozzese, moglie e marito. Mi invitarono più volte in Sudafrica, ma non volli mai andare durante il periodo dell'apartheid. Dopo la fine di quest'ultimo, andai per la prima volta. Nel frattempo avevo iniziato ad insegnare all'Università dell'Aquila, e così proposi un accordo tra l'ateneo aquilano e l'Università di Cape Town. Da anni insegno 3-4 mesi all'anno a Città del Capo e, grazie all'università, ho avuto la fortuna di conoscere tutte le etnie che abitano il Paese.
In questi sedici anni, come ha visto cambiare il Paese?
Il cambiamento più grande che ho notato è stata la creazione di una classe media nera, che prima era vietata. Essa si è stabilizzata soprattutto a Johannesburg, non a Città del Capo, città tradizionalmente considerata più liberale. L'economia fiorì moltissimo nei primi periodi dopo la fine dell'apartheid, ed era disponibilre per tutti, non solo per i bianchi, sempre calcolando comunque un grado di povertà che non poteva sparire immediatamente, e che esiste in una misura piuttosto consistente anche adesso. Prima i neri dovevano essere completamente isolati, non potevano lavorare. Naturalmente, non si può pensare che - chi non ha mai avuto un diritto e ora è libero - si comporti come un cittadino modello. E infatti i problemi si sono successivamente esplicitati. Esiste, ad esempio, il problema della corruzione di quelli che vengono definiti nuovi ricchi. Dal punto di vista politico, L'Anc è diventato una sorta di baraccone, abbracciando destra, sinistra e centro, come certi grandi partiti italiani. E' il partito che ha sempre avuto la maggioranza alle elezioni dalla fine dell'apartheid, perché è l'organizzazione di Mandela. Ora, però, non è più un partito etnico, come era naturale che fosse prima, durante la resistenza. Come in molti stati africani, anche in Sudafrica si sono create delle élite interne al Paese, le quali fungono da intermediari tra i poteri economici occidentali e il territorio. L'Africa è purtroppo debole dal punto di vista politico.
Dal suo punto di vista, qual è il rapporto attuale tra le varie etnie?
Curiosamente, il rapporto migliore è tra gli Afrikaner e i neri, rispetto a quello tra i britannici e i neri. Molti Afrikaner hanno accettato la situazione, perché si sentono africani, sono la tribù bianca dell'Africa. I britannici hanno una possibilità: tutti i coloniali possono avere il passaporto britannico, e quindi molto spesso vanno a lavorare in Inghilterra, Canada o Australia. Per fare un esempio, il Sudafrica ha una delle tradizioni migliori del mondo nel campo della medicina: i dottori sono preparatissimi e ora ce ne sono anche tanti neri. I dentisti, per esempio, sono bravissimi, molto più bravi dei loro colleghi inglesi. Con la legge sulle equal opportunities molti neri stanno avanzando nelle carriere, ma alcuni di loro non hanno ancora fatto in tempo a sviluppare capacità tecniche che sono state culturalmente negate negli scorsi decenni. Questo fa sì che molti bianchi britannici, che hanno l'opportunità di andare in Inghilterra perché possiedono il passaporto, emigrino. Se da un lato è un danno per il Paese, dall'altro favorisce la creazione della middle class nera di cui parlavo prima. Certo, c'è notevole povertà diffusa, e ci sono molte armi in giro, e quindi un alto livello di crimine. Soprattutto nelle aree urbane metropolitane.
A volte, quando muoiono grandi personaggi, l'approccio dei media è orientato alla santificazione, alla mitizzazione, all'aura ecumenica che quella persona si porta dietro. Si tende a sminuire la forte impronta politica di Mandela, presentandolo semplicemente come un il 'buon padre di famiglia che voleva la pace tra bianchi e neri'. E' così?
Anche in Sudafrica Madiba viene santificato, è il padre della patria. Ma lui non era un santo, ha avuto una impostazione politica ben precisa. A mio avviso, Mandela è stato il politico più importante del XX secolo, assieme a Gandhi e Roosvelt. Egli ha suggerito all'umanità come si fa politica, insegnando la cooperazione delle diversità. Gandhi, per esempio, non è arrivato a quel punto, perché rifiutò in qualche modo la diversità. Madiba deve essere necessariamente considerato un politico. Quando muoiono persone del genere, tendono ad essere santificate e mitizzate. Lui è stato molto radicale, soprattutto nei primi anni della sua attività politica, durante la lotta di liberazione. Ha avuto un progetto politico, in questo modo è diventato un punto di riferimento per il resto del mondo. Dobbiamo imparare dal suo metodo, per capire come rapportarci, per esempio, con i migranti che arrivano anche nel nostro Paese. Capire che non dobbiamo né respingere, né integrare, perché vorrebbe dire farli diventare come noi. Dobbiamo cooperare e convivere con loro, e imparare vicendevolmente. Questo è l'insegnamento che ci lascia l'uomo politico più importante del XX secolo.