Giovedì, 23 Aprile 2020 22:18

Intervista al ministro per il Sud Giuseppe Provenzano: "Dobbiamo evitare che si allarghino le disuguaglianze sociali e territoriali"

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Un Piano operativo per la rinascita dell’Abruzzo: è stato introdotto ieri nel corso di un evento organizzato in diretta Facebook dal Partito Democratico abruzzese.

Sono intervenuti il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, il responsabile nazionale Economia del Pd Emanuele Felice, rappresentanti regionali delle imprese, delle forze sociali ed economiche. Il piano verrà integrato alla luce della discussione e presentato nel dettaglio nei prossimi giorni: verrà consegnato al governo e al partito nazionale.

In occasione della presentazione del Piano, newstown ha avuto modo di intervistare il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano. 

 

Ministro, in questi giorni si è parlato della possibilità che si arrivi ad una diversa ripartizione dei fondi di sviluppo e coesione destinati al mezzogiorno oltre alla sospensione del 34% degli investimenti al Sud. Dai parlamentari meridionali è arrivato un grido d’allarme, affinché non si pregiudichi il riequilibrio territoriale tra aree del paese. E’ una ipotesi effettivamente in campo?

Non è una possibilità. Sono stato il primo a dire che è inaccettabile. Si tratta peraltro di una bozza, non del mio Ministero ma del Dipartimento programmazione e coordinamento politica economica, mai discussa in sede politica, con un’impostazione vecchia che contrappone crescita e riequilibrio. Gli stessi responsabili politici del Dipe ne hanno preso le distanze. Chiudiamola qui. I cittadini del Mezzogiorno hanno il diritto a essere trattati come tutti gli altri italiani e ricevere investimenti in proporzione alla popolazione. Non sono cittadini di seconda categoria. Purtroppo in passato è avvenuto, ma questa crisi non la può pagare il Sud. Il vincolo territoriale del Fondo sviluppo e coesione e il 34% non si toccano.

Sebbene le regioni del meridione italiano abbiano sofferto meno la diffusione del contagio, potrebbero scontare drammaticamente la crisi economica determinata dalla pandemia: il rischio è che si allarghi ancora la forbice tra Nord e Sud. Da dove si può ripartire?

Si dice sempre che le tragedie uniscono, ma in realtà fanno emergere e mettono in risalto le fragilità e rischiano di allargare le disuguaglianze sociali e territoriali. Le due cose nel nostro Paese vanno spesso insieme. La preoccupazione di queste ore e di questi giorni è come evitiamo che si allarghino i divari, lo abbiamo fatto anche nei provvedimenti che abbiamo assunto nelle settimane scorse. Col “Cura Italia” per esempio abbiamo erogato risorse per fornire dispositivi digitali in comodato d’uso agli studenti meno abbienti, altrimenti esclusi dalla piena partecipazione alla didattica a distanza. La riprogrammazione dei fondi europei sull'emergenza che stiamo compiendo va nella direzione di rafforzare gli interventi sanitari e tutte le misure che possono colmare il digital divide, che in questo momento è un fattore potentissimo di disuguaglianza sociale e territoriale.

Il Piano per il Sud, presentato giusto pochi giorni prima l’inizio della pandemia, è uno strumento che considera ancora valido?

Il Piano Sud 2030 è stato presentato giusto una settimana prima che scoppiasse la fase più acuta dell’emergenza. Credo che, seppur elaborato in tutt’altro contesto, sia uno strumento tuttora valido per dare impulso alla ripartenza. Nella prospettiva, perché a un processo decennale di disinvestimento occorre rispondere con un orizzonte di investimenti di un decennio. Nel merito, sui fabbisogni e le missioni di investimento che sono stati individuati. Nel metodo, fondato sulla rigenerazione amministrativa, sulla vicinanza ai Comuni, su una nuova politica territoriale, di prossimità ai luoghi. Una volta garantita la liquidità alle imprese e alle famiglie per tenere vivo sia il tessuto produttivo che quello sociale, l’azione coordinata di rilancio degli investimenti pubblici e privati che era prevista dal piano, diventa ancora più urgente.

Inutile nascondere che in alcune zone del meridione una parte dell’economia è sommersa, con ciò che ne consegue in questo particolare momento. C’è il timore che la crisi possa determinare tensioni sociali? E’ plausibile immaginare interventi differenziati per affrontare le criticità specifiche dei diversi territori?

Storicamente sappiamo che nelle crisi le mafie hanno sempre utilizzato i vuoti lasciati dalla politica e dalle istituzioni per espandere la propria influenza, in primo luogo sul versante delle attività produttive offrendo alle imprese quella liquidità che magari scarseggiava nelle situazioni di crisi, ma anche nella riconquista di un consenso sociale offrendo aiuti a chi è sotto il ricatto del bisogno. L’Italia ha un armamentario antimafia all’avanguardia, ma non basta la repressione, serve sempre un’alta consapevolezza della minaccia. Io credo che ci sia stata in questa fase, sul versante del controllo ma anche delle risposte concrete. Nei giorni in cui le mafie avevano iniziato a fare propaganda con la distribuzione di aiuti alimentari alle famiglie in difficoltà in alcune realtà, non è mancata la risposta dello Stato con i buoni alimentari. Vorrei dire che spesso nelle aree più disagiate ci sono tante associazioni a rendere questo servizio, non bisogna lasciarle sole. Per questo sto lavorando a una misura per aiutare, anche con i fondi di coesione, il Terzo settore. Ora, nella fase di ripartenza, non bisogna abbassare la guardia. Dobbiamo semplificare gli investimenti, ma garantire il controllo di legalità. E farlo su tutto il territorio nazionale, perché conosciamo bene, grazie alle inchieste e alla Direzione Nazionale Antimafia, la diffusione in tutta Italia delle mafie.

L’estensione del reddito di cittadinanza è una ipotesi su cui si sta lavorando?

Credo che il lavoro buono si crei con gli investimenti, ma in attesa che questo avvenga, la società va accompagnata. Ho avuto modo di dire in tempi non sospetti che gli interventi per affrontare l’emergenza sociale, nella scorsa legislatura, sono stati tardivi e insufficienti. Il lavoro dell’Alleanza contro la Povertà in questi anni è stato importante. Ora prosegue. Ci sono proposte in campo, come quella dell’Asvis e del Forum disuguaglianze. Le condivido e le sto sostenendo nel governo. Nella crisi più grave della storia repubblicana, servono misure universali e immediate di sostegno al reddito. Non possiamo rischiare di perdere interi pezzi di società. Questa è la prospettiva che dobbiamo portare nel prossimo decreto, in cui abbiamo l’obiettivo di immettere nelle tasche degli italiani liquidità immediata e potenziare le misure per fare fronte alla condizione di povertà in cui rischiano di scivolare molte famiglie italiane.

Lei ha sottolineato come il ‘liberi tutti’, ora, potrebbe avere conseguenze gravi: come andrebbe affrontata secondo lei la così detta ‘fase 2’?

Prima di tutto, evitando di creare una sterile contrapposizione tra riapertura delle attività e diritto alla salute dei lavoratori, degli autonomi, dei piccoli imprenditori. Dobbiamo e possiamo coniugare entrambe le esigenze, operando in sicurezza. Entriamo in giornate che da questo punto di vista sono cruciali. Come Governo abbiamo chiesto a una task force, composta da personalità di alto livello e con sensibilità e orientamenti politici e culturali diversi, di aiutarci a definire dei criteri di riapertura. Così sta facendo anche il comitato tecnico scientifico. Il confronto con le parti sociali è continuo e costante.
Raccogliendo tutti questi pareri, il Governo assumerà le sue decisioni e lo farà nel confronto con le Regioni e gli Enti locali. In questo modo possiamo assumere decisioni che devono vincolare tutto il territorio nazionale. Ricordiamoci però che la fase 2 non riguarda soltanto la riapertura delle imprese, ma riguarda anche come rafforziamo il nostro sistema sanitario e sociale per impedire di trovarci impreparati davanti a una eventuale nuova ondata dell’epidemia, puntando sui presidi territoriali, non su un modello ospedalocentrico. L’impegno della Fase 1 sul recupero dei deficit del sistema sanitario meridionale, comunque, deve diventare strutturale, come previsto del resto nel Piano Sud.

E’ d’accordo con la proposta di regolarizzare 600mila cittadini immigrati, anche per consentire che abbiano accesso ai lavori in agricoltura?

Certamente! Sono da tempo fra i promotori di questa discussione, che abbiamo affrontato in Consiglio dei ministri e spero proprio che nel prossimo decreto saranno maturi i tempi per la regolarizzazione. Stiamo guardando ai lavoratori delle campagne, ma dico anche che sarà necessario affrontare un percorso analogo di regolarizzazione per le badanti, per i collaboratori domestici, e altri settori. Mi piacerebbe molto che non ci dimenticassimo, all'uscita da questa crisi, di chi ha consentito che il cibo arrivasse sulle nostre tavole e di chi si è preso cura dei nostri anziani nelle case. C’è un tema che riguarda i lavoratori della logistica e di altri servizi troppo spesso malpagati. Sono tutte queste categorie di lavoratori più fragili che hanno consentito di accorciare le distanze, garantendo servizi essenziali che hanno preservato la nostra vita sociale al tempo del cosiddetto “distanziamento sociale”. Sono persone in carne e ossa che lavorano in queste ore, hanno lavorato in questi giorni, nelle scorse settimane, negli scorsi mesi. È giusto e doveroso riconoscere diritti, tutele, e un salario dignitoso. Non perdiamo altro tempo.

 

Il Piano del Pd per l'Abruzzo

Il documento contiene un programma di misure per affrontare l’emergenza dal punto di vista sanitario, economico e sociale, e impostare la fase di ripartenza. Il segretario del Pd Abruzzo Michele Fina l'ha definito uno strumento “concreto e avanzato, che testimonia la nostra volontà di collaborare in una fase delicata. E’ il momento di mettere in campo le proposte e le idee migliori per aiutare l’Abruzzo, i suoi settori più vitali, le fasce più vulnerabili della popolazione. Ci auguriamo che il governo regionale raccolga questa opportunità”.

Tra le proposte del Piano - ferma restando la necessità ritenuta “essenziale” di concertare gli interventi con le parti sociali - la rimodulazione dei fondi strutturali e comunitari, che possono sommarsi alle risorse che l’Unione europea mette a disposizione per le spese sanitarie. Sul fronte sanitario si propone, invece, la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale e l’intensificazione dello screening per il personale sanitario, l’obbligo di indossare le mascherine e la distribuzione capillare di DPI per la popolazione, il potenziamento della capacità di screening diagnostico e il rafforzamento della rete territoriale sanitaria.

Tra le misure di sostegno in ambito sociale figurano, invece, contributi - che gestirebbero i Comuni - sull’affitto, sulle utenze, per le rate del mutuo sulla prima casa, per dotare tutti gli studenti non abbienti delle strumentazioni informatiche per la formazione a distanza, per caregiver familiari e per l’assistenza domiciliare, per le strutture accreditate o autorizzate inserite nel percorso dell’educazione della prima infanzia 0 - 6 anni, per i centri antiviolenza.

Per quanto riguarda le imprese e il lavoro si propone, tra le altre cose, l’integrazione degli strumenti di accesso al credito previsti dalle misure nazionali, la riattivazione del microcredito regionale e la costruzione di una riserva finanziaria regionale per co-finanziare gli investimenti (accordi di innovazione, contratti di sviluppo).

 

Ultima modifica il Venerdì, 24 Aprile 2020 12:53

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