Lunedì, 14 Aprile 2014 21:41

Inverardi: "Il futuro dell'Università è nel vivo dei processi produttivi"

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Ottobre 2013. Dopo nove anni di gestione Di Orio, per l'Università degli studi dell'Aquila è iniziata l'era Paola Inverardi, già preside della facoltà di Scienze, direttrice del Dipartimento di Ingegneria e Scienze dell’Informazione e Matematica (DISIM), ricercatrice e membro del Senato Accademico.

Sei mesi dopo, NewsTown ha incontrato la Rettrice nel nuovo ufficio in via Di Vincenzo, per un primo bilancio.

Quali inattese criticità si è trovata ad affrontare, in questi mesi di insediamento?

Devo dire che sta andando abbastanza bene. Abbiamo fatto tante cose che prima non si facevano e, dunque, abbiamo dovuto reinventare alcuni processi. Ad esempio, per la prima volta abbiamo stilato una programmazione strategica che fosse per grandi linee e obiettivi. Sulla base delle linee programmatiche, abbiamo poi costruito il bilancio. Come ricordavi, mi sono insediata ad ottobre. Di solito, il bilancio siistruisce entro dicembre: abbiamo dunque dovuto decidere se approvare un bilancio che riproducesse quello degli anni passati o se assumere il rischio di stilare prima la programmazione per poi istruire il bilancio. Come detto, abbiamo preferito programmare e, quindi, siamo andati in esercizio provvisorio. Così, abbiamo potuto fare delle scelte, seppur nell'ambito di limitate possibilità di intervento: il bilancio, infatti, è ingessato sulle spese fisse per almeno 80milioni. Il margine di manovra è strettissimo: ci sono più o meno 4milioni da poter programmare. Inoltre, abbiamo colto l'occasione per ristrutturare il bilancio in un'ottica nuova, soltanto abbozzata l'anno passato: per la prima volta, si è cercato di ricongiungere il bilancio dell'amministrazione centrale con i bilanci dei dipartimenti. E' stato abbastanza faticoso. Gli Atenei hanno sempre sofferto della dicotomia tra amministrazione centrale e gestione dipartimentale: con la nuova contabilità unica, però, siamo costretti a superarla almeno dal punto di vista contabile. Pur preservando l'autonomia dei dipartimenti. E arriviamo così ad un'altra criticità che ho riscontrato in questi mesi: è stato ed è ancora difficile abituarsi ad una logica programmatoria che l'Ateneo non aveva mai avuto. Ad inizio dell'anno, bisognerebbe dire come si intendono investire i fondi a disposizione: quanto si spende su un certo capitolo di spesa, quanto su di un altro. Non eravamo abituati a farlo. E ancora oggi, spaventa moltissimo l'idea di dover programmare le spese. In generale, molti processi - anche decisionali - erano stati impostati negli anni in un determinato modo e così si erano codificati, seppur non se ne comprendeva perfettamente la logica. In questi mesi, abbiamo tentato di semplificare alcuni processi per tornare ad una logica di essenzialità. Subito dopo l'insediamento, per esempio, ho abolito tutte le commissioni: una scelta che è stata interpretata come un tentativo di azzerare la democrazia, invece era tutto il contrario. L'idea è ricominciare dalla centralità che lo Statuto riconosce agli Organi d'Ateneo, i luoghi deputati alle decisioni, per poi - eventualmente - introdurre dei gruppi aggiuntivi su determiante questioni. Al contrario, eravamo abituati ad un proliferare di commissioni che lasciavano agli Organi la sola ratifica di scelte già prese in commissione. C'è ancora molta paura. E' un processo un pò lento: d'altra parte, stiamo costruendo un nuovo modello.

Rapporti dentro l'università e rapporti con la città. La sensazione è che - sin dai primi momenti - abbia provato ad aprire le porte dell'Ateneo. Penso alla pubblicazione, sul portale dell'Univaq, delle Linee Strategiche 2014-2019, con l'invito a proporre suggerimenti e critiche. Penso alla volontà di progettare un'offerta didattica in stretta consultazione con la comunità imprenditoriale, le organizzazioni sociali e le istituzioni. Ha trovato terreno fertile?

Si. Penso che in linea di principio non ci siano difficoltà: le volontà sono aperte ed esplicite. Anzi, ci hanno preso molto sul serio. Siamo stati sollecitati da tanti soggetti diversi per collaborazioni più o meno puntuali. Con alcuni di loro, abbiamo messo in campo delle iniziative concrete: penso alla Biblioteca Provinciale, al Conservatorio, all'Accademia delle Belle Arti con la quale stiamo costruendo un'iniziativa formativa, al Comune dell'Aquila, alle associazioni imprenditoriali, a Confindustria, agli ordini professionali - nei prossimi giorni incontrerò il nuovo presidente dell'Ordine degli ingegneri -, alle associazioni di volontariato e di categoria. Dunque, c'è una grandissima apertura: ora, è importante capire quali sono gli strumenti convenzionali con cui costruire - magari anche a partire da cose relativamente piccole - un rapporto che vada nella direzione che ci siamo dati. Vorrebbe dire riuscire - attraverso le competenze dei docenti e il protagonismo degli studenti - ad entrare nel vivo dei processi produttivi del territorio: in questo momento, ovviamente, significa entrare nel vivo anche e soprattutto del processo di ricostruzione.

In un contesto in cui i limiti di contaminazione tra didattica e ricerca sembrano aumentare, la ricostruzione - materiale e non - può rappresentare - un ottimo terreno sul quale sperimentare attività di formazione teorico-pratica. Per il bene della città e per il bene dell'università che potrebbe trasformarsi in un vero e proprio laboratorio.

Esattamente. E' questo, infatti, il titolo che abbiamo scelto per la presentazione delle Linee Strategiche: 'Ateneo Laboratorio'. In molti auspicano che l'Università sia terza parte nel dibattito, che ne alzi il livello. E' il piano istituzionale: l'Ateneo si fa garante che una discussione possa in effetti esserci e che rappresenti un passo ulteriore verso la conoscenza e la consapevolezza della città rispetto ai processi di ricostruzione. Poi, c'è l'esigenza dell'Ateneo di immaginarsi oggi e per i prossimi dieci anni: ci immaginiamo una università capace di essere parte attiva dei processi produttivi, stando dentro ai processi. Non solo con i docenti, con gli studenti soprattutto. Per offrire ai giovani un messaggio chiaro: venite a studiare da noi, perché qui avrete la possibilità di imparare e di crescere come cittadini, creando un rapporto nuovo e diverso tra Università e città. In molti dicono che sono ragionamenti utopici, non credo: il destino ci ha dato il ruolo di rifondatori e ricostruttori. Ci è toccato e, dunque, dobbiamo prendercelo.

Nei giorni delle commemorazioni per il quinto anniversario del terremoto, NewsTown ha intervistato Fabrizio Barca. L'ex ministro del governo Monti ha sottolineato che dall'università dovrà arrivare il contributo più grande al rilancio della città. Ha detto di aspettarsi idee semplici, non troppo complicate. Indicandole un modello: l'università di Camerino, che anni fa seppe avere il coraggio di istituire un elevato numero di corsi in lingua inglese. Grazie a questa intuizione, Camerino in pochi anni ha attratto dall'estero più di 1200 studenti. Che tipo di proposte ha in mente? Intende perseguire la via della specializzazione dell'offerta?

In realtà, ho letto la vostra intervista e ho scritto a Fabrizio Barca inviandogli le linee strategiche e spiegandogli che lì ci sono già molte idee. Per dire, l'internazionalizzazione era già un percorso sul quale eravamo. Certo non in maniera trasversale per tutte le discipline, c'erano delle sacche di specializzazione. Invece, riteniamo che l'internazionalizzazione sia una carta da giocare perché abbiamo già una esperienza consolidata. Tra l'altro, permettetemelo e l'ho scritto anche a Fabrizio, rispetto all'Università di Camerino abbiamo un maggior numero di titoli multipli e di corsi d'inglese, oltre ad una discreta attrattività rispetto agli studenti stranieri. Certamente l'internazionalizzazione è importante per noi, per i nostri studenti, per la capacità di attirare qui persone dall'estero. E' una strada che intendiamo perseguire. In termini di specializzazione, a mio parere la vera specializzazione è l'idea del laboratorio, del mettere le mani in pasta, dell'offrire agli studenti la possibilità di seguire percorsi formativi capaci di renderli protagonisti dei processi produttivi, materiali e immateriali. Un'idea relativamente semplice, seppur molto forte, che risponde anche ad un bisogno nazionale: gli atenei medi cosa possono contrapporre ai corsi massivi online che porteranno più o meno a tutti un livello di formazione puramente teorica di altissimo livello? Possiamo contrapporre soltanto l'offerta di una formazione diversa, legata al fatto che lo studente vive nel posto dove si fa anche formazione teorica. Un'idea che potrà realizzarsi soltanto se riusciremo a proporre una formazione pratica, laboratoriale, in alcun modo fruibile in modo telematico.

C'è bisogno, però, che anche la città venga incontro all'università. Per esempio, con un sistema di trasporti adeguato e una residenzialità attraente.

Certamente, non solo però dal punto di vista dell'accoglienza e dei trasporti che è condizione di minimalità. Se vuoi, la diamo per scontata: anche se c'è molto da lavorare. Ancora più ambiziosamente, se vogliamo che le attività di produzione diventino un laboratorio è importante che i vari soggetti territoriali costruiscano con noi dei percorsi virtuosi.

In altre parole, che diano un senso alle promesse di apertura.

Continuo a pensare che sia possibile, che sia possibile costruire un contesto economico sostenibile per questo tipo di iniziative. Non immagino che gli studenti debbano entrare nei processi produttivi gratuitamente: immagino che vengano pagati. Banalmente, si diventa cittadini quando il contesto nel quale vivi ti riconosce un valore di produzione e, normalmente, si riconosce un valore di produzione quando questo viene retribuito. Non è uno sfizio pensare alla retribuzione di stage o tirocini extracurriculari: vorremmo che uno studente che viene a L'Aquila possa coniugare allo studio l'esperienza di un lavoro vero e proprio che non sia solo in funzione del raggiungimento dei crediti formativi. L'Ocse, e così Fabrizio Barca, hanno sottolineato che dall'università dovrà arrivare il contributo più grande al rilancio della città: non se saremo in grado di portare in città 15mila o 20mila consumatori, soltanto se saremo in grado di offrire 15mila o 20mila produttori di conoscenze, creatività, voglia di fare. Solo così potrà rifondarsi il rapporto tra università e città.

Un percorso difficile, che passa anche per la 'costruzione' di nuovi spazi. Avete deciso di portare qui, in via Di Vincenzo, la sede del rettorato perché, al di là dell'evidente risparmio economico, fosse vicina e aperta alla città. Il polo di Ingegneria sta tornando a Roio, il polo umanistico è alle porte del centro storico. Ecco: che idea avete per l'area dell'ex ospedale San Salvatore che è stata acquistata nel settembre scorso? Se non sbaglio, l'ultimo atto del rettore uscente.

La possibilità di acquisizione dell'ex San Salvatore esisteva già prima del terremoto: c'era uno stanziamento del Cipe di 8 milioni di euro. Nel post sisma, siamo riusciti a recuperare il finanziamento. Già esisteva anche un progetto di riqualificazione dell'area, sancito da un accordo tra un certo numero di soggetti e il Comune dell'Aquila. Originariamente, nel vecchio San Salvatore si immaginava di trasferire l'Archivio di Stato e la Soprintendenza. Oggi, stiamo cercando di riprendere le fila del discorso: l'idea è che nel vecchio ospedale trovino ospitalità la Biblioteca d'Ateneo e la Biblioteca provinciale, per dar vita ad un unico polo bibliotecario così da rendere l'area un sito di fruizione documentale e bibliotecaria. C'è poi il discorso avviato con l'Archivio di Stato, così come si stanno facendo dei ragionamenti per concentrare lì tutte le iniziative di tipo documentale che sono nate dopo il sisma o nasceranno in futuro. Stiamo lavorando all'idea di un grande polo documentale aperto alla città, con possibilità di fruizione - in varie modalità - di tutti i beni del comprensorio. Allo stato attuale, inoltre, potremmo pensare di spostare alle porte del centro storico anche l'area economico-giuridico. E' una questione di buon senso: il polo di Coppito, oramai, è consolidato come polo scientifico, medico, biotecnologico e psicologico mentre il polo di Roio, con la ristrutturazione del Convento, potrebbe ospitare i dipartimenti di Ingegneria. Dunque, il polo del San Salvatore potrebbe divenire un centro di scienze umanistiche, economiche e giuridiche.

Un'ultima domanda. A breve, si torneranno a pagare le tasse universitarie e la città vive il momento con molta preoccupazione. In molti, sono convinti che significherà la drastica riduzione del numero degli studenti iscritti. E' preoccupata?

No. E' giusto tornare a pagare le tasse perché, prima o poi, dobbiamo tornare alla normalità. La politica di abbattimento delle tasse è stata misura emergenziale giustamente adottata nei primi tre anni: già la proroga di ulteriori tre anni non l'ho trovata utilissima. Potevamo già cominciare un'uscita dolce, per così dire, nei passati tre anni. Ora, non immaginiamo certo di aumentare le tasse rispetto a quelle che avevamo e che, nel panorama nazionale, sono tra le più basse d'Italia. Immaginiamo piuttosto delle misure che tendano ad abbassare le tasse, legate al reddito così come è sempre stato e anche al merito. Dunque, per un percorso di studi virtuoso, la somma di reddito più merito consentirà di abbattere le tasse in modo significativo. Stiamo studiando i meccanismi in queste settimane. Inoltre, visto l'obiettivo di garantire agli studenti un percorso che sia di qualità ma temporalmente contenuto, il più possibile vicino ai tempi normalmente richiesti, immaginiamo di garantire anche agli studenti virtuosi che possono permettersi di pagare le tasse dei particolari benefit, legati magari ai servizi. Altra cosa a cui dobbiamo stare attenti: con l'abbattimento delle tasse, abbiamo avuto molti studenti iscritti poco produttivi. Chi è fuori corso pagherà qualcosa di più, così come chi sta prendendo una seconda laurea. E' possibile anche, però, che ci sia una fetta di studenti che hanno scelto L'Aquila proprio per la politica delle tasse zero, studenti che non avrebbero scelto noi come destinazione naturale. Per questi ragazzi, evidentemente, era significativo risparmiare 800 euro. Dunque, gli studenti che hanno scelto la nostra università per motivi di reddito seri e che ora hanno la volontà di restare, dovranno rientrare in quei percorsi che permetteranno di mantenere le tasse molto basse. Insomma, intendiamo mettere in campo misure capaci di venire incontro alle esigenze degli studenti e di migliorare l'attuale media di rendimento dell'Ateneo".

Ultima modifica il Martedì, 15 Aprile 2014 18:49

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