Venerdì, 03 Maggio 2013 00:20

Costituente dei beni comuni a L'Aquila: intervista ad Ugo Mattei

di 

Diritto all’abitare, diritto alla città. Sabato 4 maggio, alle ore 16 in piazza Palazzo, arriva la Costituente dei beni comuni. Un evento organizzato da Appello per L’Aquila e il comitato 3e32, la prima tappa di un viaggio in giro per l’Italia promosso da Stefano Rodotà e Ugo Mattei.

Dopo l’incontro inaugurale al Teatro Valle di Roma, si ritroveranno a L’Aquila illustri giuristi, tra gli altri Alberto Lucarelli, docente di diritto Pubblico all’Università di Napoli, assessore nella giunta De Magistris.

Parteciperanno al convegno anche Tomaso Montanari, docente di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Napoli, autore di vari saggi e giornalista, Maria Rosaria Marella, dell’Università di Perugia, Gregorio Arena, dell’Università di Torino, Edoardo Reviglio, dell’Università di Reggio Calabria e Alessandra Quarta, avvocato. Non mancheranno, naturalmente, movimenti provenienti da varie città italiane, da Venezia a Messina. 

Per raccontarvi ancora qualcosa di più dell’appuntamento di sabato, NewsTown ha incontrato Ugo Mattei, docente di Diritto Civile all’università di Torino e di diritto internazionale comparato all’università di San Francisco. La sua attività scientifica è multidisciplinare. Ha pubblicato vari libri e oltre un centinaio di pubblicazioni in inglese, italiano, francese, portoghese, russo e cinese. Negli ultimi anni, l’attività del giurista si è orientata allo studio dei beni comuni. Dirige insieme a Filippo Valguarnera (Università di Örebro) e Saki Bailey (International University College of Turin) un progetto di ricerca in tema di "Access to commons" nel contesto del Common Core of European Private Law. Nel 2011 ha pubblicato per Laterza il saggio "Beni Comuni, un manifesto" che, nel 2012, ha ricevuto il premio Benedetto Croce per la saggistica. Nel 2009, ha redatto con altri giuristi i quesiti referendari contro la privatizzazione dell'acqua e come Avvocato ha difeso con successo la vittoriosa campagna culminata col voto del 12 e 13 giugno 2011. Ricopre la carica di Presidente facente funzioni di ARIN SPA, l'Azienda Servizi Idrici Napoletani trasformata in Acqua Bene Comune Napoli a seguito del referendum. E’, inoltre, fra i consulenti giuridici del Teatro Valle occupato a Roma, del movimento NO TAV in Val di Susa, e di molte altre iniziative del movimento che si oppone al neoliberismo. Oltre che ispiratore della Costituente dei beni comuni, con il professor Rodotà.

La costituente dei beni comuni, riprende, in una nuova modalità il lavoro che lei, Stefano Rodotà e altri giuristi avete portato avanti nel 2007, in seno alla commissione ministeriale che doveva studiare e proporre una riforma del libro 3 della proprietà del codice civile. Da quei mesi di studi è nata la battaglia che ha portato alla vittoria dei referendum sull’acqua, è da quei mesi di studi che sta nascendo ora questa strana alleanza tra giuristi e movimenti.
Assolutamente si. La commissione Rodotà era nata per volontà del ministero della Giustizia dopo un periodo di studio intenso, condotto con altri giuristi in seno all’Accademia dei Lincei, che si era svolto tra il 2004 e il 2007. Avevamo analizzato i limiti delle privatizzazioni, che dovevano essere studiate perché da 15 anni in Italia c’era la tendenza a privatizzare. I lavori di quello studio vennero discussi in un convegno e pubblicati nel libro "Invertire la rotta", del 2007. Quelle pagine raccolsero le riflessioni che portarono all’istituzione della commissione. L’osservazione era che le privatizzazioni, in Italia, erano avvenute al di fuori di qualsiasi quadro normativo e, quindi, invece di vendere la proprietà pubblica lo Stato l’aveva svenduta. Il diritto, in altre parole, non era in grado di svolgere il suo ruolo di controllo. Le dismissioni non erano coerenti con il fraseggio costituzionale. Non ci stavamo ponendo, in alcun modo, il problema del legame tra patrimonio pubblico e diritti delle persone: se lo Stato si impoverisce e vende tutto quello che ha, infatti, non ha più soldi per finanziare le istituzioni dello stato sociale.

La commissione ha lavorato tra il giugno del 2007 e il febbraio del 2008, ed era piuttosto ampia e varia.
C’erano una quindicina di giuristi, di varia estrazione politica visto che era stata messa in piedi da Mastella, uomo fortemente ecumenico. C’erano uomini di destra, di sinistra, altri tecnocratici. La commissione, con la regia di Rodotà che era riuscito a mediare e far procedere insieme persone che partivano da posizioni molto diverse, riuscì ad arrivare ad un progetto di legge delega che forniva la prima definizione di beni comuni, in un quadro giuridico e normativo, in un paese occidentale. La definizione, “i beni comuni sono quei beni le cui utilità sono funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona e che vanno governati anche nell’interesse delle generazioni future”, metteva in relazione i beni comuni con i diritti costituzionalmente garantiti e introduceva un’idea di lungo periodo. Una necessità del diritto dei beni di farsi carico, in altre parole, oltre che del “qui e adesso”, anche delle future generazioni.

Il disegno di legge, però, in Senato non è mai stato discusso.
Quando abbiamo finito i lavori, il governo era caduto e così il progetto di legge delega. Fu ripreso nella legislazione scorsa dal consiglio Regionale del Piemonte che fece una proposta di legge di iniziativa regionale in cui, all’unanimità, si chiedeva che il nostro progetto di legge fosse messo in discussione. Era la prima volta che una Regione si faceva portatrice di un’istanza di questo tipo. Nel novembre 2009, il progetto fu finalmente incardinato al Senato. Il problema è che lo stesso giorno, alla Camera, fu posta la fiducia sul decreto Ronchi, che sbugiardava il nostro lavoro. Noi stavamo presentando un’importante legge volta a dare nuovo spazio e responsabilità al settore pubblico, volta a ripensare i rapporti tra pubblico e privato in un modo partecipato e democratico, volta ad introdurre un’idea di beni comuni che aveva l’acqua come primo punto dell’esemplificazione di questi beni. Alla Camera, invece, con la fiducia, il governo Berlusconi andava verso la privatizzazione.

Lì parti la battaglia che portò alla vittoria del referendum del 2011. Da quella vittoria, da quel lavoro, è iniziato il nuovo percorso della costituente che vuole riconoscere giuridicamente i beni comuni. Che è prospettiva di cambiamento radicale del sistema economico, sociale e politico.
La vittoria referendaria ha comportato un vero salto di qualità della nozione di bene comune: se prima era una categoria tecnica e formale, con il referendum è divenuta categoria del politico, fortemente evocativa, capace di produrre una vera inversione di senso nella cittadinanza italiana in senso diffuso. Ha avuto un successo straordinario: io stesso ho scritto il Manifesto poco dopo il referendum. In questi due anni, le lotte che si sono intrecciate a questa nozione sono state davvero tantissime. Nel frattempo il governo, nonostante il lavoro della regione Piemonte, non ha mai discusso il lavoro della commissione Rodotà. Non abbiamo mai avuto davvero una delega parlamentare per poter andar avanti a lavorare sull’articolato, su di una codificazione dei beni comuni che non fosse solo una definizione o un principio ma una vera e propria normazione capace di riflettere il mutato senso del concetto di bene comune. Con il Parlamento che non ci aveva dato una delega, con la trasformazione politica in corso, con la vergognosa reazione del potere che ha fatto di tutto per ribaltare il risultato referendario, con la sospensione della democrazia che c’è stata in Italia, dal governo tecnico fino ad oggi compreso, abbiamo deciso che la delega non la chiedevamo più. Abbiamo deciso di costruirci una delega con il lavoro di queste vere e proprie assemblee parlamentari itineranti. La Costituente dei beni comuni la interpretiamo così: una sorta di parlamento informale che dà a noi giuristi la delega che non abbiamo mai avuto dal Parlamento. La chiediamo al popolo sovrano, sotto forma di assemblee itineranti. Speriamo partecipate come quella al Teatro Valle. Vogliamo dimostrare che non abbiamo bisogno della delega della democrazia rappresentativa, vogliamo trovare la fonte della nostra legittimazione nella democrazia partecipativa.

Nascerà così una produzione di diritto davvero dal basso.
Si, in queste tappe itineranti con alcuni dei giuristi reduci dalla commissione Rodotà, che negli anni si è ampliata, intendiamo mettere in bella copia le pratiche sociali, le istanze che vengono dal popolo sovrano nella sua dimensione più diffusa, quella movimentista. Attraverseremo i luoghi del conflitto, dove ci sono i problemi, così da prendere il diritto e portarlo sul territorio, aprirlo ad una interlocuzione che esca dalle stanze di un palazzo oramai corrotto e non legittimo per farlo tornare nelle mani della gente che ogni giorno pratica forme di autogoverno.

Come mai avete voluto organizzare a L’Aquila, con Appello per L’Aquila e il 3e32, il secondo incontro della costituente?
Perché la città è bene comune, spazio comune per eccellenza. E’ luogo di incontro, generativo, in cui gli umani nella nostra fase di sviluppo storico stanno insieme. Viene dalle generazioni passate: penso alla storia del centro storico dell’Aquila, che deve essere preservato anche nell’interesse delle generazioni future. Deve essere reso fruibile, aperto, generativo per tutti. Dopo il terremoto c’è stata una violenza spaventosa: si è detto “costruiamo delle newtown, facciamo altro, rinunciamo all’obbligo che abbiamo verso le generazioni future di consegnar loro L’Aquila come archeologia cittadina, come tramandarsi di saperi, di modi di stare insieme, di bellezza, da una generazione all’altra". Tutto questo è stato brutalmente interrotto per la logica neoliberale del profitto di breve periodo: L’Aquila per questo è fondamentale per noi, perché la popolazione ha sofferto sulla propria pelle il significato dell’ essere mutilata dell’accesso alla città. L’accesso è l’idea, il concetto intorno al quale articoliamo la nozione di bene comune. L’accesso è l’opposto dell’esclusione: la proprietà privata si basa sull’esclusione come idea, i beni comuni sull’accesso. L’Aquila è l’emblema dell’accesso negato, di come questo significhi impoverire, danneggiare, rovinare i beni comuni per sempre. Sabato lavoreremo sull’idea dell’accesso, sull’idea di spazio urbano: a piazza Palazzo saranno con me sei o forse più giuristi della commissione per raccogliere le richieste e le istanze di chi verrà. Elaboreremo poi quanto imparato a L’Aquila in una nuova riunione, a Roma, il 9 di maggio. Metteremo in bella copia quello che ci diremo sabato. Speriamo di incrociare sei, sette luoghi nei quali portare avanti questo lavoro sui territori così da produrre il codice dei beni comuni in tempi ragionevoli.

Ci vediamo sabato, allora
Certo. Un’ultima cosa: oggi i beni comuni non possono più essere visti come una categoria tecnico-giuridica, sono una vera e propria visione di una società diversa, sono un programma profondamente politico. Nel portare avanti la costituente stiamo tracciando un’azione politica di un’Italia diversa, più bella, dove si possa stare insieme. Un’idea che vogliamo contrapporre in modo forte alla non visione politica delle larghe intese.

In attesa del convegno di domani, alle 16, in piazza Palazzo, pubblichiamo materiali di preparazione all'incontro. 

Ultima modifica il Venerdì, 03 Maggio 2013 13:01

Articoli correlati (da tag)

Chiudi