Si stanno ultimando in questi giorni le riprese dell’ultimo film di Stefano Odoardi, “Mancanza inferno”, ambientato nel centro storico dell’Aquila e che, tra i protagonisti, oltre alla nota attrice Angelique Cavallari, vede giovani attori non professionisti misurarsi con un’improvvisazione introspettiva e originale.
Il film che sarà montato da Gianluca Stuard, con le musiche di Andrea Manzoli, è prodotto dalla “O film e Strike fp” nell’ambito del progetto "Verso una città a dimensione studente", finanziato dall’ Anci e dal Dipartimento della gioventù, ed è realizzato grazie al contributo della Hatha Ciudad Onlus e del Comune dell’Aquila.
News-Town ha incontrato il regista, Stefano Odoardi, nella cornice di Piazza San Marciano che, dopo le riprese, è sprofondata di nuovo nel silenzio. Si è parlato della città e del difficile momento che vive il paese, con le parole dell’artista che, dopo aver girato a L’Aquila nel 2007 “Una ballata bianca”, è tornato a ripercorrere le stesse strade toccando con mano la situazione paradossale e fuori dal tempo della nostra città.
Di cosa parla “Mancanza Inferno”?
Quello che sto cercando di fare non è girare un film sull’Aquila o sul terremoto (gli attori nelle improvvisazioni non sono autorizzati a menzionare la città o il terremoto, ndr) ma raccontare un inferno contemporaneo e purtroppo la città, in questo momento, è il luogo nel mondo in cui questo inferno può essere meglio ambientato, non soltanto per lo stato di abbandono e di silenzio ma per il vissuto della persone.
Come mai la scelta di attori aquilani non professionisti?
Appunto perché sono essere umani che hanno vissuto un trauma profondo in prima persona e volevo, attraverso i loro volti, raccontare delle macerie interne, della dannazione intima. Tutto questo è, secondo me, un’elevazione all’estrema potenza di uno stato che appartiene molto all’uomo contemporaneo.
“Una ballata bianca”, che ha ricevuto il plauso di migliaia di spettatori non solo In Olanda ma in tutto il mondo, è stato girato nel pre-terremoto. Nel film si vede il Castello cinquecentesco, i portici del Corso, la basilica di San Berardino, in uno scenario completamente diverso da quello attuale.
Cosa l’ha spinta a tornare a L’Aquila dopo 6 anni?
Quando sono venuto per girare “Una ballata bianca” ho conosciuto Pier Cesare Stagni ed altri dell’Accademia dell’Immagine e con loro ho sempre immaginato di fare un lavoro qui a L’Aquila, dopo il terremoto. Il fatto è che non sono un documentarista, per cui per me sarebbe stato difficile girare qui senza far emergere l’aspetto politico e sociale. Due anni fa, però, ho iniziato questo progetto dal titolo “Mancanza”, una trilogia che vuole raccontare il paradiso, l’inferno ed il purgatorio. Venendo a L’Aquila ho visto con i miei occhi una realtà terrificante che poteva essere raccontata solo paragonandola ad un inferno. E’ per questo che sono tornato. La gente dell’Aquila vive uno stato d’animo particolare e penso che il trauma più profondo sia questa presunta normalità che si mantiene: non è civile, è infernale. Credo e spero che un film come questo serva a far riflettere su una situazione umana che ritengo ingiusta.
Potrebbe essere un modo per riportare l’attenzione, anche internazionale, sull’Aquila.
Certo, questo film ha un impianto produttivo low-budget e lo stiamo realizzando grazie all’associazione Hatha Ciudad ma speriamo che abbia una rilevanza internazionale, come tutti i miei film, e che si riescano a trovare altri aiuti economici per dargli l’importanza che merita. Andrà sicuramente nei festival internazionali ma sarebbe bello che uscisse anche nelle sale.
Come è strutturato il film?
Il lavoro si compone di una parte interpretata dall’attrice Angelique Cavallari, girata in pellicola, e di una parte interpretata da attori non professionisti, realizzata invece in digitale. Angelique interpreta un angelo ispirato alle elegie diunesi di Rainer Maria Rilke, è un angelo molto umano, che a volte consola e a volte è crudele. E’ un angelo consapevole che non ha nulla di poetico, a parte i testi che usa. Questo personaggio ci aiuta ad avere una visione diversa e porta un nuovo sguardo perché questo film vuole sì raccontare il trauma ma anche le possibilità di una nuova visione attraverso la consapevolezza.
La parola “Mancanza”, presente nel titolo, fa pensare immediatamente a L’Aquila. Da cosa deriva?
“Mancanza” è tutto quello che non abbiamo, tutto quello che non c’è, tutto quello che non si può vedere, non si può sentire, che non si dice. E’ un film legato alla ricerca e, proprio per l’assenza di una sceneggiatura e di una struttura, al momento: tutte le azioni dei non professionisti non si ripetono, tutto quello che accade, accade all’istante.
Qual è stata la sua impressione nel tornare a L’Aquila dopo tanti anni?
All’inizio, nei giorni delle prime passeggiate in il centro, non mi rendevo conto. Ora che sto vivendo qui da circa venti giorni, ciò che provo è una sensazione disumana: i silenzi, l’odore del marcio, i luoghi che ricordavo essere pieni di cultura, di fermento, di emozioni, vederli in questo stato… è incivile quello che è successo qui. Eppure basterebbe conoscere meglio il popolo aquilano, vedere la loro continua ricerca dell’incontro, della vita sociale, della cultura e della bellezza.
Cosa ha ritrovato nelle persone?
Nelle persone di mezz’età ho ritrovato molta tristezza, malinconia, frustrazione, impossibilità. Nei ragazzi dai 16 ai 20 anni con cui sto lavorando, invece, ho notato una grande voglia di costruire qualcosa di nuovo e di diverso. Penso che le voci dei giovani in questo momento vadano ascoltate, affiderei a loro la città per farla rinascere.
E il cinema potrebbe essere una via per la rinascita?
Sì, potrebbe essere il cinema come ogni cosa legata all’anima, alle emozioni, agli stimoli che possano essere diversi da quelli che porta la politica. Può essere un buon momento per rinnovarsi, un’opportunità. Lavoro in Olanda, ad Amsterdam, e lì in una situazione del genere avrebbero creato un team di ventenni per proporre idee per la ricostruzione.
Cosa c’è qui in Italia di diverso che non fa scattare questi meccanismi?
In Italia i giovani non sono considerati e, purtroppo, L’Aquila è l’immagine di un paese che sta andando a rotoli. Sto sperimentando che i giovani hanno delle idee brillanti, si ha paura di loro però perché cambiano lo stato delle cose. L’Aquila da questo disastro potrebbe diventare un luogo di sperimentazione in tutti i sensi, dall’architettura, all’arte, alla sociologia, all’antropologia, potrebbe diventare un laboratorio per un nuovo mondo.
I giovani dovrebbero però avere la possibilità di essere ascoltati.
Bisognerebbe creare dei centri operativi in cui fare incontri per dare la possibilità di esprimere le proprie idee, da discutere e attuare. Questo è un piccolo film ma già il fatto che dia la possibilità a 18 attori di discutere su alcuni temi come l’infanzia, il trauma del terremoto o il futuro, fa emergere confronti interessanti e costruttivi.
Cosa consiglierebbe a chi vuole diventare regista oggi?
Sicuramente di seguire sempre la propria visione, di rimanere integro ed andare via dall’Italia. Se l’Italia riuscisse a diventare un luogo come quello di cui le parlavo, sarei il primo a tornare: se lo stato delle cose non cambia però è meglio andare via subito. Fare cinema, secondo me, è un mestiere che non si impara. Non ho mai studiato cinema, vengo dall’Accademia delle Belle Arti e mi sono trovato a fare questo lavoro grazie all’Olanda che mi ha chiamato per un master legato all’ arte contemporanea. Sono stati gli olandesi a stimolarmi: se si crede nei giovani, alla fine i giovani trovano la loro strada. L’Olanda è capace di credere nei giovani: in Italia mi avrebbero messo a fare l’assistente.