"Raccontare, andare in profondità, porre degli interrogativi che vadano oltre gli eventi e siano applicabili a realtà più vaste, che riguardano il vivere quotidiano". Sono questi gli ingredienti della vita e della fotografia di Massimo Mastrorillo, fotografo documentarista da quasi venti anni, che ha sposato da tempo la causa della città dell'Aquila. Mastrorillo, prima con il progetto Temporary? Landscapes ed ora con Aliqual - che sarà presentato nel capoluogo abruzzese il prossimo 14 ottobre - sta girando l'Italia per mostrare le foto della città martoriata dal sisma.
"Degli eventi tragici - spiega Mastrorillo a NewsTown - mi interessano più gli effetti nel lungo periodo e individuare, se possibile, le cause che li hanno prodotti. Amo le sfide e sfidarmi, stupire. Ho visto tante situazioni eccezionali, a volte anche emotivamente forti e coinvolgenti ma da diversi anni ho deciso di raccontare l'eccezionalità che si nasconde dietro il banale quotidiano, quello che sfugge a molti di noi".
Ed è proprio questo amore per la curiosità che ha permesso al fotografo di aggiudicarsi, nel 2006, il World Press Photo per la sezione Natura, con uno scatto in bianco e nero realizzato su una spiaggia indonesiana, poco dopo lo tsunami.
Cos'è Aliqual?
Aliqual non è solo un racconto fotografico. E' una metafora in cui L'Aquila e la sua condizione di abbandono lasciano spazio a riflessioni più profonde, non necessariamente legate a quello che viene descritto.
Perché questo titolo? E' molto simile al nome della città ma appare quasi come un non sense.
Quando si ripete una parola all'infinito, questa parola assume un altro significato. Aliqual è la storpiatura del nome 'L'Aquila' ma è anche il nome di una città parallela a quella che tutti conoscevano. Una città dove il caos è talmente radicato da trasformarsi in ordine, dove sembrano esistere tentativi di misurazione di questo caos e dove si delineano forme geometriche inaspettate. E' la realtà che nessuno vuole più vedere ma che rappresenta l’anima ferita di una città sospesa e di persone che vivono in uno stato di sospensione.
Quanto tempo ha lavorato su L'Aquila?
Ho lavorato a L'Aquila per circa sei anni: dalla settimana successiva al terremoto, fino all'anno in corso.
Che luoghi ha visitato?
Tutte le aree colpite dal terremoto. Inizialmente, lontano dal delirio mediatico, ho lavorato alla prima parte del progetto intitolato Temporary? Landscapes. In questa fase mi sono concentrato sui mutamenti/non mutamenti del paesaggio aquilano, consapevole del forte legame con gli abitanti e di quanto questo aspetto fosse stato dimenticato dai politici.
Ci parli del progetto Temporary? Landscapes.
Temporary è un lavoro sul paesaggio ferito dalla natura e dai politici: il paesaggio che sembra mutare per non mutare mai. Ha avuto il suo culmine nel 2011, in occasione del secondo anniversario del terremoto, quando L'Aquila si è trasformata in un grande spazio espositivo a cielo aperto. Gli aquilani mi hanno aiutato ad affiggere circa duecento manifesti con le immagini del progetto per le vie della città. È stato il mio modo per renderli partecipi, per far parlare di fotografia i non addetti ai lavori, per consentire agli abitanti di rivedere luoghi che all’epoca si trovavano in zone interdette al pubblico e per restituire un po' di quello che avevo portato via come fotografo. In seguito ho aggiunto altri capitoli e ho cercato di capire quando era il caso di mettere un punto. Proprio quando sembrava essere arrivato il momento di considerare il progetto concluso, ho raggiunto la consapevolezza che il racconto sarebbe stato davvero efficace solo entrando nelle case abbandonate con un approccio stilistico completamene diverso. In effetti, questo momento ha determinato la fine di Temporary? Landscapes, al punto di non poter più considerare possibile la sua utilizzazione nel libro. Del resto, se non ci fosse stata questa parte del progetto, Aliqual non avrebbe mai visto la luce.
Quanto si discosta Temporary? Landscapes da Aliqual?
Si distanzia molto da questo progetto, ma ne è anche una diretta conseguenza.
Quali sono stati i posti che ha amato di più, quelli che le hanno trasmesso sensazioni più forti?
Ogni posto mi ha lasciato qualcosa ma le scuole abbandonate mi hanno dato sicuramente sensazioni molto forti. L'educazione è la base di una società civile e vederla abbandonata, ferisce. E poi l'odore dei luoghi ti entra dentro e non ti lascia più. E' un odore di muffa, di morte delle radici, dei legami.
Che legame ha con L'Aquila?
Forte oramai, di grande rispetto per la storia e per la dignità con cui gli aquilani vivono l'assurda condizione in cui si trovano.
"Per raccontare la gente devi fotografare la gente ma anche l'ambiente", ha detto in un'intervista. Perché?
Come nella letteratura, le fotografie possono essere usate come parole. Il potere dell'immaginazione è insito nelle parole ma può esserlo anche nelle fotografie. L'equivoco di fondo, però, nasce dal pensare che la fotografia sia un mezzo per rappresentare la realtà, mentre con le immagini si rappresenta sempre e solo la propria realtà. Gli oggetti, le cose, gli ambienti sono espressione delle vite che hanno incontrato. Non esiste mai una separazione tra uomo e ambiente, tra materie e spirito. Solo noi occidentali siamo abituati a creare questa scissione. Gli ambienti raccontano a sufficienza, ci spingono a immaginare le persone che li abitano o li hanno abitati. Ci aiutano a rendere la fotografia evocativa come la scrittura.
L'uso che fa degli still life (natura morta, ndr) per descrivere il movimento appare quasi un ossimoro. Come mai questa scelta stilistica?
Oggi ci stiamo liberando di una certa ortodossia propria del linguaggio fotogiornalistico più classico e si preferisce parlare di 'fotografia documentaria'. Dunque le differenze tra gli stili sono meno delineate: c'è più spazio per le contaminazioni, per adattare forme diverse a contenuti diversi. Per esempio, la fotografia fine art o le immagini realizzate da altri o trovate online possono diventare documentarie. In questo senso, lo still life può essere un linguaggio usato per raccontare. A maggior ragione, se si sceglie di raccontare le persone attraverso gli ambienti in cui hanno vissuto.
La fotografia per raccontare l'eccezionalità della vita. Ma a cosa è legata l'eccezionalità?
È legata a eventi tragici, a malattie, conflitti, atti criminosi o semplicemente all’atto di vivere, un atto di per sé già impegnativo e meraviglioso.