"E' un termine - Gerussia - codificato dal Centro Studi di Geopolica della Duma, il Parlamento russo, nei primi anni '90, subito dopo la caduta del Muro di Berlino. Sono stati proprio i russi a codificare, in qualche modo, la possibilità di guardare alla relazione con la Germania superando la logica conflittuale delle due guerre mondiali".
A spiegarlo è Salvatore Santangelo, giornalista, autore 'Gerussia - L'orizzonte infranto della geopolitica europea', in libreria per Castelvecchi editore. L'analisi risale alle radici e alle ferite storiche della relazione tra le due potenze, per arrivare agli sviluppi degli ultimi anni, nel nuovo quadro emerso dalla crisi dell'equilibrio unipolare e dall'affermazione di due forti leadership politiche, quelle di Angela Merkel e di Vladimir Putin. Dalle immagini drammatiche degli stermini e delle macerie fumanti di Stalingrado e di Berlino fino agli odierni intrecci politici, economici e culturali tra russi e tedeschi, Gerussia disegna una scacchiera viva, fatta di calcoli, interessi e strategie, da cui dipenderà in larga misura il futuro dell'Europa.
"E' stato un percorso, quello di Gerussia, che ha avuto una traiettoria molto positiva a partire dalla caduta del Muro e fino all'attacco a Maidan, nel 2014, che ha rimesso in discussione i rapporti tra i due poli, con le sanzioni che ne sono seguite e il processo di demonizzazione della Russia e della sua leadership attuale, quella di Putin", sottolinea Santangelo ai nostri microfoni.
Oltre le dichiarazioni ufficiali però, oltre il raffreddamento dei rapporti tra l'Europa e la Russia, "scopriamo che i tedeschi - alfieri tra i più duri dell'isolamento internazionale di Mosca, almeno pubblicamente, con le posizioni assunte dalla cancelliera Merkel - non hanno mai smesso di lavorare, con il ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier, al raddoppio strategico di Nord Stream, infrastruttura energetica nel mare del Nord pensata appositamente per bypassare i paesi della così detta nuova Europa (Repubbliche Baltiche, Polonia e Ucraina) che venivano attraversate dai vecchi gasdotti e oleodotti del '900. Parliamo di uno degli assi fondamentali nel tra Germania e Russia", chiarisce Santangelo. E oggi, sullo scenario della quarta ricandidatura della Cancelliera, proprio Steinmeier "è indicato come possibile presidente della Repubblica federale e potenziale garante, dunque, della relazione speciale con la Russia".
Ma perché è così importante Nord Stream? "Con il raddoppio dell'infrastruttura energetica, la Germania diventa l'hub logistico del gas e del petrolio russo che, poi, vengono distribuiti nel resto d'Europa. Tanto è vero - aggiunge il giornalista aquilano - che alcune importanti società tedesche hanno messo in campo quello che tecnicamente si chiama un asset swap con Gazprom, il braccio militare del potere di Putin, rendendo ancora più solido il rapporto tra Mosca e Berlino".
Che può significare, Gerussia, per i destini europei? "Oggi, la Germania ha in mano i destini dell'Europa, esercitando un ruolo che molti osservatori definiscono però di egemonia riluttante; a dire che non è disponibile a caricarsi fino in fondo le responsabilità che da questa egemonia derivano. Una perfetta integrazione europea, d'altra parte, in caso di fallimento dei così detti Piigs - Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna - significherebbe per il contribuente tedesco un trasferimento secco di 80 miliardi di euro, circa l'1% del Pil, a sostegno delle economie sofferenti. Sta qui il punto debole della costruzione europea. Negli Stati Uniti d'America, se uno degli Stati federali fallisse, non sarebbe un problema trasferire ricchezze dalle aree più sviluppate del Paese a quelle che hanno maggiori difficoltà: il bilancio federale serve proprio a questo. In Europa, invece, vediamo ancora forti - e li misuriamo violentemente - gli egoismi della dimensione nazionale. Anzi, possiamo dire di aver vissuto il punto massimo d'integrazione europea e, oggi, assistiamo al suo reflusso. In questo scenario, si può immaginare un nocciolo duro dell'Europa sempre più legato alla Germania, proiettata però verso l'asse Nord-Est".
Sarebbe un problema per l'Italia e per le altre economie deboli del Sud dell'Europa. "Significherebbe ritrovarsi da soli a gestire un Mediterraneo sempre più instabile, in un mondo sempre più chiuso, che alza muri: ecco, l'Italia deve temere sia i muri fisici che quelli commerciali. La nostra, infatti, è un'economia trainata dalle esportazioni: pensiamo all'Abruzzo che, stando all'ultimo rapporto di Banca d'Italia, regge sul modello Sevel, con le imprese che riescono a conquistare mercati esteri. Si aggiunga un'analisi di quanto accaduto con la Brexit: dati recentissimi di Coldiretti dipingono lo scenario di una perdita secca pari a 270 milioni per il made in Italy alimentare. E la proiezione del comparto, nel 2017, si attesta oltre i 2 miliardi e mezzo di euro di perdite. Una politica protezionista di Trump non farebbe altro che amplificare questi problemi, in modo esponenziale". E non si pensi che la risposta possa essere rappresentata dall'uscita dell'Italia dall'Euro. "Il ritorno alla Lira è un problema di tempi, soprattutto. Alcuni Paesi che sono concorrenziali con noi, hanno già occupato una serie di nicchie di mercato. Non solo. Anche solo paventare l'uscita dall'Euro significherebbe innescare un'onda di paura e incertezza che potrebbe portare ad una serie di fallimenti a catena delle più importanti banche italiane, alcune delle quali sono particolarmente esposte e si pensi a Mps. Così, ci sarebbe una svalutazione complessiva dei nostri asset che verrebbero aggrediti da altre economie, e torniamo alla Germania che oggi è particolarmente liquida nei suoi bilanci commerciali e potrebbe - ad esempio - comprare le nostre imprese per chiuderle, come accaduto con la Thyssen Krupp, oppure rilevare i gioielli del made in Italy considerati complementari rispetto alla filiera produttiva tedesca. Insomma: il Paese vivrebbe un momento di grandissima fragilità e, dunque, i paventati vantaggi in termini di competività potrebbero essere spazzati via".
Rispetto agli scenari che stiamo descrivendo, l'Italia si trova in una posizione di grave incertezza "con un problema di classe dirigente", aggiunge Santangelo. "In vista del referendum, Renzi fa la voce grossa con l'Europa per cercare di recuperare un consenso che, oggi, viene intercettato da Grillo, Salvini e, più in generale, dagli euroscettici". Ma è una scelta che sottende a ragionamenti soltanto elettoralistici. "Il paradosso è che siamo passati da un atteggiamento totalmente filo europeista alla cancellazione della bandiera dell'Unione dalla comunicazione ufficiale di Palazzo Chigi". Un atteggiamento schizofrenico. "E' vero che l'Europa ha gravi responsabilità ma è vero pure che gli italiani hanno la memoria corta: la ricostruzione del dopoguerra e il boom economico sono stati fondamentalmente legati alla costruzione europea, il mercato comune ci ha dato straordinarie opportunità che abbiamo avuto la capacità di cogliere, tanto è vero che il nostro export è diretto per lo più ai mercati europei. I problemi sono arrivati dopo, con il debito pubblico italiano diventato insostenibile e con la chiusura delle istituzioni comunitarie su argomenti distanti dai problemi della quotidianità: si ragiona della circonferenza del cetriolo, e questo rende il linguaggio della burocrazia europea incomprensibile ai popoli che hanno ben altre priorità. Non possiamo dimenticare, però, che le istituzioni comunitarie ci hanno regalato 70 anni di pace, cosa mai accaduta prima: i due conflitti mondiali - e ce l'ha detto uno storico come Ernst Nolte - sostanzialmente sono due guerre civili europee. Se è vero che i cinesi hanno avuto un altissimo numero di morti, di cui non abbiamo la chiara percezione e forse non ce l'ha neanche il resto del mondo, la maggior parte delle perdite si sono verificate sul territorio europeo, e ci sono persino storici che azzardano a leggere le due guerre come un unico conflitto, una seconda guerra dei trent'anni; d'altra parte, se si guarda a quanto accaduto dal 1914 al 1945 capiamo bene che non c'è soluzione di conflittualità, anzi tra le due guerre c'è una moltiplicazione di micro-conflitti che avevano già in sé il senso della deflagrazione della seconda guerra mondiale (il conflitto russo polacca '19-'21, la guerra civile spagnola, le guerre di confine intorno alla Germania, la stessa vicenda dei confini orientali italiani con la presa di Fiume). Conflitti che fanno da ponte tra la prima e la seconda guerra e preparano il passaggio dalla guerra tra nazioni e imperi alla grande guerra ideologica tra fascismi e comunismo, perché di questo si è trattato, anche in Italia; la resistenza è stata, per lo più, espressione del Partito Comunista, vero vincitore militare sulle spoglie della caduta del secondo conflitto mondiale seppure non ne abbia raccolto i frutti. D'altra parte, nella spartizione di Yalta, l'Italia doveva stare dalla parte azzurra della cartina politica dell'Europa".
Da Yalta ai giorni nostri, in questo excursus che racconta l'orizzone infranto della geopolitica europea. E si perché "oggi il vecchio Continente rischia tantissimo", sottolinea ancora Santangelo. "D'altra parte, non ha avuto la capacità di costruire una classe dirigente credibile; per dire, apriamo una vertenza fiscale in Irlanda dove Apple paga 5 dollari di tasse ogni milione fatturato, contro ogni criterio di equità e giustizia. Ovviamente, la 'tigre celtica' non è disponibile a cedere perché intorno alla Apple e alla Ict che si è venuta a creare con le agevolazioni fiscali previste ha costruito un modello economico che le ha permesso di essere uno dei primi paesi ad uscire dalla crisi. Chiaro poi che se è Juncker ad aprire la vertenza, lui che è stato primo ministro di un paese - il Lussemburgo - che è un vero e proprio paradiso fiscale nel cuore dell'Europa, si svela l'ipocrisia delle istituzioni comunitarie, la loro estrema debolezza".
E dunque, ce la farà o non ce la farà l'Europa, per come la conosciamo oggi, almeno? "Abbiamo vissuto la stagione del neoliberismo, sta arrivando quella del neonazionalismo: in questo quadro, nazioni con un'identità fragile, come l'Italia, rischiano tantissimo. Dunque, Gerussia - la possibilità che ci sia pace e prosperità tra due paesi che si sono combattuti in maniera spietata - è un messaggio di speranza, seppure sottenda un pizzico di cinismo tedesco, ma allo stesso tempo rischia di lasciare indietro i paesi più deboli che faticano a trovare la strada per mediare le esigenze di carattere europeo con la giusta difesa degli interessi nazionali".