I giudici della sezione feriale della Suprema Corte di Cassazione si riuniranno a mezzogiorno. E’ il giorno della sentenza sul processo Mediaset che vede tra gli imputati Silvio Berlusconi, condannato in appello a 4 anni di reclusione per frode fiscale e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.
Dopo la requisitoria del sostituto procuratore Antonello Mura, che ha chiesto la conferma delle condanne seppur con una riduzione dell’interdizione da 5 a 3 anni, nella giornata di ieri la parola è passata alle difese. "Manca nel tessuto della sentenza un elemento probatorio che Berlusconi possa aver partecipato al reato proprio", ha detto Niccolò Ghedini nella sua arringa. "Il procuratore generale ha detto che per Berlusconi ci sarebbero state attività ulteriori, oltre alla fatturazione. Quindi mi sarei aspettato dal Procuratore generale delle integrazioni rispetto alle motivazioni della Corte di Appello, in cui non c'è nulla a riguardo. Integrazioni che non ci sono state perché non ci sono attività ulteriori".
Mancherebbero le prove. La sentenza, insomma, sarebbe figlia di un pregiudizio. "Nessuna prova è stata raccolta su ingerenze di Berlusconi nella gestione di Mediaset dal '95 ad oggi", ha detto l’altro legale dell’ex premier, il professor Franco Coppi. "Il pregiudizio - ha spiegato - è che ci sia un meccanismo truffaldino ideato negli anni '80, che sia stato ideato da Berlusconi. Ecco perché - ha concluso - non sono state ammesse le prove con cui la difesa avrebbe potuto ribaltare quel pregiudizio".
Ovvia la richiesta di annullamento della sentenza, perché il fatto sarebbe penalmente irrilevante. Staremo a vedere. L’atmosfera, in seno al Popolo delle Libertà, è tesissima: Daniela Santanché, su Twitter, aveva annunciato per il pomeriggio una manifestazione in sostegno di Berlusconi davanti a palazzo Grazioli. Qualche minuto dopo, la smentita. L’indicazione è chiara: nulla deve avvenire in un momento tanto delicato.
I possibili scenari.
- Alla luce della requisitoria della procura generale, la Cassazione potrebbe ridurre “motu proprio” l’interdizione dai pubblici uffici che scatterebbe, quindi, subito dopo il via libera parlamentare. L'ultima parola spetta, infatti, alla Giunta per le elezioni e per l'immunità e poi all'Aula di Palazzo Madama. Applicazione immediata, invece, della pena di 4 anni (3 anni coperti dall'indulto, un anno con le opzioni degli arresti domiciliari o dei servizi sociali).
- Nel caso in cui la Suprema Corte dovesse decidere di accogliere la richiesta del Procuratore generale sulla rideterminazione dell'interdizione, affidando però il compito all'appello di Milano, allora i tempi si allungherebbero e Berlusconi potrebbe continuare a svolgere il suo ruolo da parlamentare fino alla nuova decisione. Non cambierebbe la situazione per quanto riguarda la pena dei 4 anni.
- I giudici della sezione feriale, naturalmente, potrebbero inoltre confermare o annullare in toto la condanna d'appello.
- Ulteriore decisione possibile, infine, è quella di un appello bis, nel caso la Suprema Corte dovesse accogliere qualche rilievo tecnico, tra i 47 sollevati dagli avvocati di difesa.
Una cosa è certa: anche in caso di conferma della condanna d’appello, Berlusconi non andrebbe in galera. A tutelarlo, la legge firmata dall’allora ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per cui chi deve scontare un anno di pena va ai domiciliari. Inoltre, c'è la legge Simeoni-Saraceni: niente carcere sotto i tre anni e affidamento ai servizi sociali.
La condanna, però, rappresenterebbe comunque un evento storico nella vita repubblicana italiana, per l'indiscutibile rilievo politico del personaggio. Domiciliari o servizi sociali, senza una preventiva autorizzazione dei magistrati di sorveglianza, sarebbe impossibile per Berlusconi svolgere liberamente l'attività politica, tenere un comizio o una manifestazione pubblica, fare telefonate, rilasciare interviste, incontrare qualcuno senza il permesso del magistrato di sorveglianza, uscire di casa. A meno che la sua posizione di Senatore non venga “salvata” dai colleghi, a palazzo Madama, che potrebbero respingere la richiesta di interdizione a maggioranza grazie al voto segreto. Nell’eventualità, l’ex premier potrebbe almeno andare al Senato e lì sarebbe "libero" di svolgere il suo lavoro di parlamentare.
La sua vita, comunque, almeno per un anno cambierebbe radicalmente. Le conseguenze sulla tenuta dell’esecutivo delle larghe intese, guidato da Enrico Letta e dal fedelissimo Angelino Alfano, saranno tutte da valutare.