Si parte da un dato: 10.525; è il numero di votanti alle primarie della coalizione civico progressista che hanno incoronato Americo Di Benedetto come candidato sindaco del centrosinistra alle amministrative di giugno. Stante gli aventi diritto, si tratta di un risultato impressionante, con pochi confronti possibili in Italia.
Restando a L'Aquila, alle primarie del 2012 e del 2014, per amministrative e regionali, avevano votato poco più di 5mila elettori; nel 2007 si era arrivati ad 8.747, ma era la prima volta che il candidato sindaco veniva scelto con le pre-consultazioni, il centrosinistra era reduce da 10 anni d'opposizione e in campo c'erano 7 candidati, e tra loro il futuro sindaco Massimo Cialente, oltre a Vittorio Sconci, Vito Albano, Gian Paolo De Rubeis, Franco Colonna, Pierluigi Pezzopane e Giulio Petrilli. Tra domenica e lunedì, hanno votato un terzo degli elettori che si presentarono al ballottaggio cinque anni fa, per scegliere tra Cialente e De Matteis; un quarto, poco più, di quanti espressero il voto al primo turno.
Un dato che non si può sottacere.
Parlare di primarie 'inquinate', o peggio 'falsate' ha poco senso: il voto dei ragazzi tra i 16 e i 18 anni, infatti, e così dei cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno e degli universitari fuori sede, ha influito in modo marginale sul dato finale che si sarebbe attestato, comunque, sui 10mila votanti. Per il resto, si sono presentati alle urne i cittadini che esprimeranno un voto anche l'11 giugno prossimo, con le stesse dinamiche di una elezione 'vera', piacciano o meno. "Hanno votato elettori storicamente di centrodestra", si vociferava ieri, con lo spoglio in corso: sul punto torneremo, ma non si tratta certo di una novità, e poi, primarie aperte significa dare diritto di preferenza a chiunque ne abbia diritto.
Piuttosto, andrebbe 'azzardata' un'analisi del voto espresso dai cittadini aquilani che hanno premiato Americo Di Benedetto col 49.4% delle preferenze; ci proviamo. S'intrecciano diversi livelli di riflessione, in realtà; concause di un risultato forse inatteso, alla vigilia, e non necessariamente d'uguale rilevanza, eppure determinanti al risultato finale.
Il primo, attiene al Partito Democratico aquilano: sebbene Pierpaolo Pietrucci abbia ottenuto più di 4mila e 500 preferenze, mantenendosi - in città - sui numeri delle elezioni regionali che lo incoronarono consigliere regionale, non è riuscito a strappare la candidatura a sindaco. Non è l'unico sconfitto, però: ha perso anche Giovanni Lolli, indicato a lungo come candidato unitario e che non ha mai fatto un passo di lato deciso, lasciando la coalizione sospesa fino all'ultimo; atteggiamento mal digerito in seno al PD, e percepito come 'ragionato' per lanciare la candidatura di Pietrucci, di sponda con la giovane segreteria del partito. Così, si sono prodotti anticorpi importanti alla discesa in campo del consigliere regionale, e in particolare tra la classe dirigente che ha governato la città in questi anni, si pensi ad alcuni consiglieri comunali uscenti, ad alcuni assessori che, temendo la rottamazione, hanno deciso di sostenere Di Benedetto. E dunque, Maurizio Capri ed Emanuela Iorio, Pietro Di Stefano sebbene defilato, Tonino De Paolis e Antonio Nardantonio tra gli altri, si sono spesi per la vittoria dell'ex sindaco di Acciano; e pure la senatrice Stefania Pezzopane - che se Lolli avesse fatto un passo indietro per tempo avrebbe certamente pensato alla possibilità di candidarsi - pur non avendo dichiarato esplicitamente l'intenzione di voto, non è un mistero abbia sostenuto il candidato uscito vincitore dalle urne.
Arriviamo, così, ad un altro livello di riflessione, che attiene, invece, al PD e alla sua natura. Non c'è dubbio che Americo Di Benedetto rappresenti, più e meglio di Pierpaolo Pietrucci, il volto che Matteo Renzi, in questi anni, ha inteso dare al partito. Al livello nazionale, come ai livelli locali, il Partito Democratico è divenuto, oramai, forza di governo centrista, contenitore delle istanze dei moderati, del mondo economico e produttivo; non è un caso che le sensibilità di sinistra siano state messe da parte, fino alla scissione. Dunque, il tentativo della giovane segreteria di ancorare il partito a sinistra - con risultati importanti se è vero che Pietrucci ha ottenuto, comunque, un numero di voti impressionante, e che il partito aquilano è tra i pochissimi, a livello delle città capoluogo di provincia, ad essersi schierato in maggioranza sulla mozione di Andrea Orlando - si è scontrato con una tendenza maggioritaria che spinge il Pd sempre più al centro, su posizioni chiare e definite, le stesse che hanno premiato Americo Di Benedetto e, stando in Abruzzo, Luciano D'Alfonso prima di lui.
Ed eccoci al voto espresso da cittadini che, tradizionalmente, sono stati elettori di centrodestra e che hanno partecipato alle primarie; ribadito che è già accaduto, persino nel 2014, e che celebrare primarie aperte significa dare voce a chiunque abbia diritto di esprimerla, non si può certo parlare di boicottaggio, o di inquinamento delle consultazioni. Può starci il tentativo, certo: innanzi a 10mila e 500 votanti, però, non può considerarsi determinante; messi da parte i voti dei vari Enzo Lombardi e Luigi Di Luzio, che sosterranno Giancarlo Silveri alle amministrative e che pure hanno votato tra domenica e lunedì, messi da parte i vari Corrado Ruggeri e Romano Ferrauto che, pare, abbiano mosso dei voti per Di Benedetto, è evidente che, per la maggior parte, il voto dei moderati di centrodestra in favore del presidente della GSA è convinto e ragionato, e si riproporrà l'11 di giugno.
Innanzi ad un centrodestra in forte difficoltà, con le forze moderate d'area incapaci di trovare sintesi e offrire una candidatura credibile, innanzi ad un voto che potrebbe polarizzarsi intorno alla candidatura di Pierluigi Biondi, esponente di una destra sociale e sovranista, la classe borghese della città, e così gli imprenditori, gli esponenti del mondo economico produttivo, e delle professioni, si sono raccolti intorno ad Americo Di Benedetto che, non è affatto un caso, ha vinto le primarie nei seggi dell'Aquila centro (all'Hotel Castello e, in particolare, all'Ance) pareggiando in sostanza con Pietrucci nelle frazioni (ha vinto di 2 voti nei 12 seggi sparsi sul territorio comunale, imponendosi in realtà anche a Pettino, che frazione non è).
Un voto strutturato, dunque, che si è intrecciato, tra l'altro, con un voto d'opinione - ed eccoci ad un altro livello di riflessione - che probabilmente ha percepito Pietrucci come in continuità con gli equilibri di potere (e non si tratta, necessariamente, di un brutto termine, non soltanto almeno) consolidati nei dieci anni d'amministrazione Cialente. La città ha inteso esprimere la sua voglia di cambiamento, rispetto ad una tradizione politica che viene da lontano, dal Pci e dal Pds fino ai Ds, e che ha governato a lungo, e l'ha fatto scegliendo un candidato che, chiaramente, è altro rispetto ad una cultura che è stata dominante. Così si spiega il voto dei moderati di centrodestra, e così si spiega il voto d'opinione espresso dai cittadini.
E' finita un'epoca, anche a L'Aquila che, fino a ieri, era tra le ultime città governate da una coalizione di stampo ulivista. E con questo dovrà fare i conti la segreteria locale del Partito Democratico, che ha provato a 'cambiare le cose da dentro' come si sente dire spesso, senza riuscirci, e che dovrà capire, ora, se il futuro è dentro un partito che ha assunto, oramai, una chiara connotazione che verrà rafforzata dalla vittoria di Renzi alle primarie del 30 aprile prossimo, o fuori, altrove.