Uno spettro si aggira sul prossimo consiglio comunale dell'Aquila, quello dell’ingovernabilità.
E’ chiamato anche effetto “anatra zoppa” e si innesca quando un sindaco eletto si trova a convivere con un consiglio comunale la cui maggioranza è rappresentata da liste che avevano sostenuto un diverso candidato.
Con l'attuale legge elettorale per i comuni, questo si verifica qualora un gruppo di liste collegate al primo turno ottenga almeno il 50% +1 dei voti validi mentre al ballottaggio la maggioranza dei voti per il candidato sindaco vada ad un sindaco sostenuto da un altro gruppo di liste.
In questo caso non scatta il "premio di maggioranza" a favore delle liste che sostengono il candidato sindaco effettivamente eletto. Si veda, a tal proposito, il comma 10 dell’articolo 73 del Tuel, il testo unico degli enti locali.
Stando proprio a ciò che recita tale articolo, all’Aquila l’effetto anatra zoppa scatterebbe quasi sicuramente se, al ballottaggio del 25 giugno, dovesser vincere il candidato del centrodestra, Pierluigi Biondi.
Se eletto sindaco, infatti, Biondi, non potrebbe godere del premio di maggioranza giacché al primo turno le sue liste si sono fermate poco sopra il 30% mentre quelle della coalizione di centrosinistra che appoggiano Americo Di Benedetto hanno ottenuto il 52% dei voti validi. Come avverrebbe, a quel punto, la ripartizione dei seggi? Secondo un sistema proporzionale puro, in base cioè ai voti presi dalle singole liste. E poiché le liste del centrosinistra hanno preso più voti, Biondi si ritroverebbe con un consiglio a maggioranza Pd-centrosinistra.
Il candidato del centrodestra, tuttavia, in una conferenza stampa tenuta ieri, ha escluso che questo scenario possa inverarsi e ha citato una recente sentenza del Consiglio di Stato riguardante il comune di San Benedetto del Tronto. I giudici di Palazzo Spada, considerando preminente il principio di governabilità, hanno rigettato il ricorso presentato dal centrosinistra contro il premio di maggioranza assegnato al sindaco Pasqualino Piunti, vittorioso al ballottaggio nonostante al primo turno le liste collegate al candidato sindaco del centrosinistra Paolo Perazzoli avessero ottenuto il 50,88% dei voti. [La sentenza si può leggere qui].
Un secondo precedente che darebbe ragione a Biondi riguarda Cagliari e le elezioni comunali del 2011, quando venne eletto sindaco, per la prima volta, Massimo Zedda.
In quell’occasione, le liste di centrodestra, al primo turno, ottennero il 53,44% dei voti. Ciononostante Zedda, vittorioso al ballottaggio, ebbe comunque il premio di maggioranza. Come? Sulla base di un’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa all’espressione “voti validi” presente nell’articolo 73 comma 10 del Tuel.
Secondo tale accezione, per “voti validi” devono intendersi tutti i voti, non solo quelli alle liste ma anche quelli espressi in favore del candidato sindaco. Interpretando in tal modo la norma, il 53,44% conseguito dal centrodestra scendeva al 48%.
Se si applicasse lo stesso criterio di calcolo anche all’Aquila, il 52% dei voti ottenuti dalle liste del centrosinistra al primo turno diventerebbe il 49%, percentuale che non impedirebbe l'assegnazione del premio di maggioranza in caso di vittoria di Biondi [la vicenda è spiegata bene qui].
Tutto pacifico allora? Non proprio, perché esistono sentenze della giustizia amministrativa che dicono l’esatto contrario rispetto a quanto affermato dai due verdetti appena ricordati, dando torto a Biondi.
Nel 2015, ad esempio, il Consiglio di Stato si pronunciò sull’elezione al ballottaggio del sindaco di Potenza perché non si era proceduto all'assegnazione del premio di maggioranza alle liste collegate con il candidato sindaco risultato eletto, essendosi, invece, proceduto alla proclamazione alla carica di consigliere comunale di candidati in liste non collegate al Sindaco eletto [la sentenza è consultabile qui].
La sentenza, molto lunga, dice in sostanza che il principio di governabilità, garantito dal premio di maggioranza, non deve essere prevaricante su quello di rappresentatività: In definitiva – si legge - la governabilità non si pone quale esigenza assoluta del sistema e ciò secondo la citata pronuncia del giudice delle leggi è dimostrato «dall'ipotesi, che può verificarsi e della cui legittimità non si dubita, della maggioranza assoluta conseguita (al primo turno) dalla lista contrapposta, o comunque non collegata, al candidato eletto sindaco. In questo caso (in cui il rischio della c.d. "ingovernabilità" è massimo) il sindaco, salva la facoltà di dimettersi così provocando lo scioglimento del consiglio, deve convivere con una maggioranza a sé contrapposta; ma ciò è conseguenza della divaricazione del consenso espresso dall'elettorato con il voto disgiunto, divaricazione, che il legislatore intende rispettare per non premiare (se non proprio penalizzare...) il sindaco che si è collegato alla lista che non riscuote sufficienti consensi».
La questione, come si vede, è piuttosto spinosa. Dato che la legge non è chiara, almeno non al punto da permettere interpretazioni univoche, a meno che, nel frattempo, non siano state emanate chiarificatrici circolari ministeriali, la soluzione del problema passerebbe necessariamente per via giudiziaria. In altre parole, in caso di vittoria di Pierluigi Biondi al ballottaggio del 25 giugno, l’ufficio elettorale, “costretto” ad applicare alla lettera la norma del Tuel, potrebbe dichiarare il candidato del centrodestra sindaco senza assegnargli però il premio di maggioranza, aprendo la strada così a un ricorso dello stesso Biondi alla giustizia amministrativa. Oppure, sulla scorta delle sentenze come quella sul caso di San Benedetto del Tronto, potrebbe far scattare per Biondi il premio. Ma a quel punto a fare ricorso sarebbe quasi sicuramente il centrosinistra. In ogni caso si aprirebbe una fase di stallo che potrebbe durare anche alcuni mesi.