Di Marco Signori - Sembra persino essere normale, a sentire i costituzionalisti, quel che sta avvenendo in Abruzzo. E allora di anormale, ma non è ormai una novità, c’è l’indifferenza dell’elettorato, ormai una incoscienza collettiva di quel che accade nei palazzi. E forse neanche a torto, data l’inconsistenza delle scelte del potere.
Tra un paio di settimane di cinque anni fa - era il 14 dicembre - gli abruzzesi si recarono per l’ultima volta alle urne per il rinnovo del Consiglio regionale. A ridosso della scadenza naturale della legislatura gli elettori ancora non conoscono la data nella quale saranno nuovamente chiamati alle urne. C’è di peggio: superate alcune superficiali schermaglie di qualche mese fa, le forze politiche hanno smesso di parlarne. Distratte come sono con le proprie dinamiche interne. Con congresso e primarie il Pd, con scissioni il Pdl.
Eppure i margini per un ricorso costituzionale ci sarebbero. Almeno a sentire il professor Fabrizio Politi, ordinario di diritto costituzionale all’Università dell’Aquila: la legge di stabilità che andrà all’approvazione del Parlamento entro dicembre, per una questione di risparmio, prevede tra le altre cose l’election day con le europee a giugno. Una scelta definita “discutibile” da Politi, ma che sarà comunque approvata.
C’è però poi un secondo piano: il rapporto tra fonti, secondo il quale una legge nazionale non può contraddire uno Statuto regionale. E quello dell’Abruzzo prevede che le elezioni siano indette entro tre mesi dalla scadenza naturale della legislatura: “una norma singolare - dice Politi - ma che nessuno contestò al momento dell’approvazione, neanche il governo”.
Secondo il costituzionalista, insomma, è legittimo l’attendismo di Gianni Chiodi, ma nello stesso tempo è discutibile il fatto che una legge nazionale - in questo caso quella di stabilità - in qualche modo derogando allo Statuto abruzzese trascini la regione alle urne a giugno con le europee, dunque ben oltre i tre mesi dopo la scadenza naturale della legislatura.
E qualcuno, a quel punto, potrebbe impugnare la legge di stabilità: “Diventa una questione costituzionale”. Ma non prima della sua approvazione. E nessuno, al momento, può formalmente sollecitare i soggetti deputati alla fissazione della data: presidenti di Giunta e Consiglio e presidente della Corte d’Appello.
Ma è sulla costituzionalità dell’articolo 86 dello Statuto regionale che il professor Politi nutre i maggiori dubbi. “Il quadro normativo è questo - dice - seppur discutibile”.Le agende dei partiti, intanto, sembrano “distratte” da tutt’altro. Se il centrodestra un candidato naturale ce l’ha, e non sembra insidiato da nulla e da nessuno - anche se non v’è alcuna discussione in merito - il centrosinistra naviga a vista.
Forse non a torto, in casa Pd, c’è chi teme che alla fine, visto l’accorciarsi dei tempi, il candidato sarà scelto dalla solita oligarchia di potere. Senza dibattiti, senza primarie. “Luciano D’Alfonso? Alla fine uno dei processi ancora aperti si riproporrà e il suo nome sarà scartato. La partita rischia di giocarsi tra Giovanni Legnini e Stefania Pezzopane, con un vantaggio di quest’ultima” è il ragionamento.
A sinistra dei democratici neanche si muove paglia. L’estate scorsa sembrava “matura” - per ricordare uno slogan che gli portò fortuna - l’ipotesi che Maurizio Acerbo corresse in solitaria per Rifondazione. Poi il nulla.
Intanto l’8 dicembre si vota per il nuovo segretario del Pd, “e non per il candidato premier“, come ha ricordato a Chieti Massimo D’Alema. Difficile dargli torto, peccato che solo un ingenuo non capirebbe che ad un candidato segretario sconfitto non sarebbe consentito mai di candidarsi poi a presidente del Consiglio. Sono le regole che il Pd si è dato - il segretario è candidato premier - nonostante molti oggi accarezzino l’idea che un Renzi segretario si sottoponga poi, ancora, a nuove primarie.