Lunedì, 09 Aprile 2018 00:58

Elezioni regionali: i difetti della legge elettorale, tra scarsa rappresentatività e ricerca della governabilità

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Era stata una delle promesse di D’Alfonso nel 2014. Ma la riforma della legge elettorale regionale rimane una delle grandi incompiute della consiliatura che si sta avviando alla conclusione.

D’Alfonso era tornato a parlarne anche a fine 2016, dopo la vittoria del No al referendum costituzionale. Ma  anche in quell'occasione non è mai passato dalle parole ai fatti.

Qualche giorno fa, all’indomani della batosta elettorale rimediata dal Pd il 4 marzo, era stato l’assessore regionale alla Sanità e al Bilancio Silvio Poalucci a rilanciare un’altra volta la proposta.

Il tentativo di Paolucci di rimettere in agenda la riforma elettorale è sembrato a molti, Cinque Stelle in testa, un gesto, oltre che tardivo, del tutto pretestuoso, motivato solo dalla volontà di evitare al Partito democratico e al centrosinistra un’altra debacle quando si tornerà a rieleggere presidente e consiglio regionale.

"Ci daremo un itinerario” ha detto Paolucci.

Guardando, però, al panorama politico regionale - con membri della giunta (Di Matteo e Gerosolimo) dimissionari, una maggioranza che non ha ancora assorbito il colpo del 4 marzo e una stasi decisionale dovuta all’elezione di D’Alfonso al parlamento - è altamente improbabile che si possa trovare un accordo per scrivere una nuova legge.

Al momento non sembrano esserci le condizioni politiche né i tempiper mettersi al lavoro su un nuovo testo, anche perché tutti i partiti di opposizione, dal M5S alla Lega a Forza Italia, stanno spingendo perché si torni alle urne il prima possibile, senza tergiversare.

Eppure una riforma o quantomeno delle modifiche mirate sarebbero auspicabili.

Vediamo perché, analizzando la legge attuale, la numero 9 del 2013, sulla scorta del saggio La legge elettorale della Regione Abruzzo, scritto dall’avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico all’Università dell’Aquila Sabrina Altamura. Il testo è reperibile sul volume La rappresentanza in questione, edito da Esi (Edizioni scientifiche italiane).

Il regionellum ora in vigore prevede “un sistema misto, proporzionale con premio di maggioranza garantito attraverso la previsione dell’assegnazione dei seggi del Consiglio alle liste collegate al candidato proclamato eletto dalla carica di presidente nella misura pari almeno al 60 e non superiore al 65%”.

E’ la principale novità introdotta dalla nuova legge rispetto al sistema precedente: l’abolizione del listino, composto da candidati consiglieri scelti direttamente dal candidato presidente. Il listino altro non era che un premio maggioranza di tipo maggioritario, che prevedeva l’ingresso in consiglio di sette persone non votate dagli elettori ma indicate dal presidente.

“L’attuale disciplina” invece “dispone che il premio di maggioranza venga attribuito alla coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti”. A questa “vengono assegnati ulteriori seggi in misura proporzionale”.

Oltre all’eliminazione del listino, la legge numero 9 ha introdotto anche l’abolizione del voto disgiunto, due soglie di sbarramento - “pari al 2% o al 4% a seconda che le liste si presentino, rispettivamente, all’interno o meno di una coalizione” - e il principio della rappresentanza di genere, “garantita attraverso la previsione secondo la quale il 40% dei candidati presenti nelle liste deve essere di genere diverso”.

Norma, quest’ultima, che è servita a ben poco, visto che le donne elette in consiglio sono state solo due (Sara Marcozzi e Marinella Sclocco). Quando la legge venne votata, venne presentato un emendamento per introdurre la doppia preferenza di genere ma fu bocciato (con voto segreto).

Per quanto riguarda la ripartizione dei seggi, posto che, per effetto di una legge nazionale, il numero di consiglieri regionali è stato portato dai 45 previsti dal precedente sistema a 31 (escluso il presidente), essa avviene "in base alla percentuale di popolazione presente nelle circoscrizioni su base provinciale". Per cui 8 consiglieri vengono assegnati alla provincia di Chieti e 7 a tutte le altre province.

L’intero impianto della legge, a cominciare dall’abolizione del listino, avrebbe dovuto garantire una maggiore rappresentatività della volontà popolare senza compromettere la governabilità, in quella eterna ricerca di equilibrio tra questi due principi cui ogni legge elettorale, sia essa locale o nazionale, ambisce.

Invece non è riuscita a ottenere né l’uno né l’altro.

Il combinato disposto rappresentato dalle soglie di sbarramento al 2% per le liste coalizzate, dalla ripartizione dei seggi su base provinciale e dalla riduzione del numero dei consiglieri – in virtù della quale oggi la maggioranza può contare solo su cinque consiglieri in più dell’opposizione - ha dato ai piccoli, alle liste, cioè, che hanno preso meno voti, un potere e una capacità di condizionamento, quando non di ricatto, della maggioranza e della giunta abnormi, sproporzionati.

Scrive infatti Altamura che “l’esigua maggioranza numerica” può “non essere sufficiente a garantire nel medio periodo la governabilità soprattutto se si tiene conto del fatto che la legge non solo ha eliminato l’incompatibilità tra lo status di consigliere e quello di membro della giunta, ma ha previsto inoltre che, salvo la nomina di un membro esterno, tutti i componenti della giunta debbano essere scelti all’interno del consiglio regionale. Ciò comporta che i membri della giunta debbano dividersi con evidenti ricadute negative in termini di efficacia e di sviluppo dell’azione amministrativa e dell’azione dello stesso Consiglio regionale”.

E’ esattamente quel che è avvenuto in questi anni. Basti pensare ai rimpasti di giunta ai quali D’Alfonso è dovuto ricorrere per accontentare ora questo ora quel consigliere “ribelle” che minacciava di uscire dalla maggioranza.

Quanto all’abolizione del listino e alla rappresentanza di genere, continua Altamura, “sono risultate vanificate dalla contestuale mancata possibilità del voto disgiunto, dalla presenza della soglia di sbarramento e dalla macchinosa ripartizione dei seggi su base provinciale, unita all’attribuzione del premio di maggioranza. Queste ultime circostanze consentono infatti a una minoranza organizzata, a volte composta soltanto da due consiglieri, all’interno della maggioranza di governo, di avere un potere di incidenza ben maggiore rispetto a quello riconosciuto dal dato numerico effettivo e ciò a scapito sia della rappresentatività che della governabilità”.

A conti fatti, conclude Altamura, “l’analisi della vigente normativa elettorale della regione Abruzzo rende assolutamente evidente come gli iniziali propositi di migliorare la rappresentatività popolare e la governabilità siano stato completamente disattesi”.

Ultima modifica il Lunedì, 09 Aprile 2018 19:32

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