Ospitiamo su newstown una riflessione in tre puntate di Stefano Palumbo, capogruppo del PD in Consiglio comunale, che ragiona sulla città di domani attraverso tre concetti chiave: cambiamento, consapevolezza e sviluppo. Domani l'ultimo appuntamento, buona lettura.
Ho parlato nella prima parte del cambiamento invocato, promesso e finora disatteso; di come il cambiamento a prescindere non sia necessariamente un bene e di come l’unico cambiamento auspicabile sia quello finalizzato al miglioramento.
Ebbene, una nuova e migliore azione politica è oggi necessaria anche rispetto a quella della precedente amministrazione che, presa da altre cruciali questioni, non è riuscita o non ha avuto la capacità di cogliere alcuni aspetti altrettanto determinanti. Compito di questa consiliatura era dunque quello di colmare queste carenze, portando a conclusione i processi già avviati positivamente e affrontando con determinazione i nodi ancora irrisolti; diventa invece ogni giorno più evidente come si stenti a perseguire sia il primo che il secondo obiettivo, con il rischio di bloccare la città nella pericolosa palude dello status quo vanificando ogni prospettiva reale di cambiamento.
Il primo passo per il miglioramento è infatti la consapevolezza, la presa d’atto della situazione in cui ci troviamo. La conoscenza di questi fattori è la base di partenza per poter indirizzare con chiarezza le azioni future conoscendone l’impatto e l’effetto su tutta l’organizzazione cittadina, una conoscenza senza la quale diventa impossibile orientare, stimolare e sostenere le scelte dei cittadini con l’obiettivo di migliorare l’intera città in ogni suo ambito: lavoro, economia, socialità, servizi pubblici.
Sorvolare invece, come l'attuale amministrazione sta facendo, su questioni senza dubbio complicate ma dirimenti per le sorti della città, alimentando l’illusione collettiva che la soluzione di tutti i problemi sia rappresentata dal completamento della ricostruzione, non fa altro che complicare ulteriormente la situazione. Purtroppo non è così: ci sono effetti dovuti al post sisma che oggi sono ancora latenti, ma che se non affrontati con serietà ed urgenza rischiano di trascinare la città verso un inesorabile declino, vanificando ogni possibile speranza di cambiamento positivo.
Su tutte ci sono almeno tre questioni preliminari rispetto a qualsiasi ragionamento di prospettiva:
- FINE DELL’ECONOMIA DELLA RICOSTRUZIONE: Quella legata alla ricostruzione è un’economia temporanea. Ci troviamo oggi oltre la metà della strada segnata per il ripristino degli immobili danneggiati dal sisma 2009 e, nel mezzo di questo lungo e faticoso percorso, indicazioni inequivocabili sono quelle che emergono dal bilancio comunale: una previsione di risorse destinate alla ricostruzione pubblica e privata pari a 350 mln per l’anno in corso, che scende a 299 mln nel 2019 e a soli 155 mln nel 2020. Il famoso “tiraggio” da 1 miliardo di euro l’anno è insomma ormai solo un ricordo. Nell’imminenza, dunque, della fine del grande circo della ricostruzione è fondamentale prendere atto che è mancata, fino ad oggi, soprattutto da parte degli operatori economici, la capacità di mettere a fattor comune le eccezionali competenze maturate in questi anni. È mancata la lungimiranza di fare di questo now-how un brand (vedi filiera del legno-casaclima in Trentino), di costituire consorzi capaci di esportare il saper fare riedificatorio sperimentato nei nostri centri storici, in tutto il nostro fragile Paese sempre soggetto a catastrofi ambientali, con un mercato da ampliare oltre i confini regionali. Come al solito, invece, a prevalere sono state le divisioni e la miopia. Ora il tempo che ci separa dalla chiusura degli ultimi cantieri deve essere impiegato per costruire in questo ambito un modello di sviluppo migliore facendo leva sull’importante tessuto tecnologico che si sta stabilendo in città, sfruttando ad esempio il 5G che nel settore dell’edilizia, con la sperimentazione del monitoraggio strutturale degli edifici, rappresenta un vantaggio competitivo per L’Aquila unico nel panorama europeo.
- GESTIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE: Allo stesso modo un’amministrazione consapevole dovrebbe affrontare con la massima determinazione la problematica rappresentata dal surplus abitativo ereditato dal post sisma ed in particolare dal rapporto completamente sbilanciato tra il patrimonio immobiliare privato e quello pubblico, quest’ultimo arrivato a contare oggi tra Progetto CASE, MAP, abitazioni equivalenti ed edilizia popolare, circa 8.000 appartamenti. Se non si interverrà subito con politiche incisive arriveremo ad una svalutazione senza precedenti del nostro patrimonio immobiliare, con il paradosso che un’abitazione arrivi a valere meno della metà rispetto al 2009, nonostante lo Stato abbia stanziato per la riparazione o ricostruzione degli immobili danneggiati contributi superiori al loro valore pre sisma. E’ indispensabile quindi una strategia complessiva, coraggiosa, fatta di riduzione, demolizione, razionalizzazione, housing sociale e valorizzazione del patrimonio abitativovolta al contempo ad un aumento della popolazione, attraendo giovani coppie in città, facendo si che un patrimonio rinnovato e a prezzi bassi rappresenti, insieme ad una buona qualità della vita e una chiara strategia di sviluppo, una leva di attrazione per chi possa decidere di trasferirsi all’Aquila e costruire qui un progetto di vita.
- RILANCIO DEI CENTRI STORICI: Anche la piena rivitalizzazione del centro storico, perché diventi migliore di com’era, non può essere affidata, come sta accadendo, ad un processo spontaneo né demandata alla buona volontà di residenti e commercianti che, abbandonati alla loro sorte, provano ad organizzarsi autonomamente. Occorre invece incanalare queste energie e la forte spinta emotiva di tutta una comunità di riappropriarsi di quegli spazi nella sfida di superare il paradigma del com’era - dov’era, immaginando qualcosa di più ambizioso di una riproduzione il più fedele possibile di quel che era il centro storico nel 2009. Spesso trascuriamo il fatto che in questi 9 anni è cambiata, in tutto il paese, la società e le sue abitudini e questi cambiamenti hanno prodotto in questo lasso di tempo un effetto di desertificazione dei centri storici di tutte le città medie italiane con un crollo della presenza dei negozi tradizionali superiore al 20%. Pensare quindi che la piena ripresa del centro storico sia legata esclusivamente al rientro degli uffici comunali e al commercio al dettaglio è sbagliato; ci vuole di più, ci vuole la capacità di saper leggere i cambiamenti in atto e costruire un progetto che faccia del nostro centro storico un contesto unico. Lo stesso ragionamento va calato sui centri storici delle frazioni destinati diversamente ad essere splendidamente recuperati e gradualmente abbandonati.
Quello che tutti vogliamo è una città migliore; per realizzarla però occorre consapevolezza e una visione chiara del nostro futuro.
Qui, la prima puntata: Il cambiamento