Che le elezioni amministrative a Teramo avrebbero potuto offrire spunti di riflessione interessanti, in vista delle Regionali, era piuttosto facile da prevedere; il turno di ballottaggio, però, rischia di aver 'rotto' equilibri da alcuni considerati consolidati. A destra come a sinistra.
Evidente come la delusione alberghi in seno al centrodestra che, come era accaduto al centrosinistra un anno fa a L'Aquila, due settimane fa, ad urne chiuse, sentiva la vittoria in tasca; tuttavia, le spaccature che avevano portato alla traumatica fine dell'esperienza di governo della giunta guidata da Maurizio Brucchi si sono manifestate al momento di trainare il candidato Giandonato Morra alla vittoria nel 'corpo a corpo' con Gianguido D'Alberto. Chiarendo, d'altra parte, se fosse ancora necessario, che per le forze partitiche e civiche d'area non sarà affatto semplice trovare una quadra all'appuntamento delle Regionali.
In un quadro così frammentato, Forza Italia pare chiusa in un angolo: nei mesi scorsi, i vertici degli azzurri non avevano mancato di sottolineare come spettasse ai 'forzisti' esprimere il candidato governatore, stante gli equilibri maturati a valle delle elezioni politiche del 4 marzo che avevano visto il partito confermarsi, seppure d'un soffio, la prima forza del centrodestra. Nel frattempo, però, la Lega di Matteo Salvini ha continuato a macinare consenso e le amministrative non hanno fatto altro che confermare come, in realtà, il Carroccio stia erodendo l'elettorato forzista. E guarda caso, il centrodestra a traino Lega ha vinto il ballottaggio a Silvi, la prima città d'Abruzzo espugnata dai salviniani.
E dunque, sebbene il segretario regionale di Forza Italia Nazario Pagano abbia inteso sottolineare come a Teramo gli azzurri e la lista di Futuro In, espressione del consigliere regionale Paolo Gatti, "abbiano intercettato un voto ogni cinque, con un significativo 20% di preferenze", è chiaro che l'atteggiamento dei forzisti, e di Gatti in particolare, 'colpevole' di aver fatto deflagrare la crisi della giunta Brucchi, ha creato spaccature che, al momento di garantire il massimo sforzo per l'elezione di Morra, sono emerse in modo prepotente; d'altra parte, la candidatura civica di Mauro Di Dalmazio, già consigliere regionale all'epoca dell'esecutivo guidato da Gianni Chiodi, è nata in contrapposizione al sistema di potere consolidato che ruota intorno all'ex collega di Giunta e sono in molti a ritenere che, al ballottaggio, i voti di Di Dalmazio - che non ha preso una posizione ufficiale - siano finiti a D'Alberto.
E poi, non sono servite a rassenare gli animi le parole del deputato Antonio Martino, oramai 'uomo forte' di Forza Italia in Regione, che, a qualche giorno dal ballottaggio, ha lanciato un messaggio piuttosto chiaro a Fabrizio Di Stefano e al mondo civico che con l'ex senatore sta ragionando in vista delle Regionali. “Forza Italia che, secondo i risultati delle politiche del 4 marzo scorso in Abruzzo è il primo partito del centrodestra e il secondo assoluto in regione dietro il Movimento cinque stelle, sente l'obbligo e l'onere di assumersi la responsabilità di fare sintesi e attivare una strategia precisa per individuare il programma migliore e il candidato migliore per vincere le elezioni regionali – le parole del coordinatore regionale e deputato, a qualche ora dall'apertura delle urne a Teramo - In questo momento, oltre alle ipotesi dei dirigenti in carica come Mauro Febbo, Lorenzo Sospiri, Umberto Di Primio, Paolo Gatti, Emilio Iampieri e Guido Liris, spine dorsali del partito nella nostra regione, non ci sono altre candidature altrettanto all'altezza: in particolare, le iniziative dell'ex deputato Fabrizio Di Stefano, già consigliere regionale di An, sono da intendere a titolo personale, quindi, nulla hanno a che fare con Forza Italia e con una investitura da parte del centrodestra. Pur consapevole dell'ottimo lavoro svolto negli ultimi venti anni dallo stesso Di Stefano, non credo che sia lui la persona di sintesi in un progetto di rilancio del centrodestra in Abruzzo".
Tant'è vero che, ieri, era convocata una riunione del direttivo azzurro cui Di Stefano non è stato invitato. "Dispiace vedere perdere Teramo e sacrificare un ottimo candidato e, per me anche un caro amico, in questa maniera", le parole dell'ex deputato. "Dobbiamo riflettere e fare tesoro di questa sconfitta perché il centrodestra deve imparare a capire come il nostro elettorato non apprezzi l’arroganza, non apprezzi l’incoerenza, non apprezzi i cambi di casacca, non apprezzi chi divide e non unisce e non apprezzi chi antepone i personalismi a quelli che sono i valori fondanti della coalizione", ha aggiunto; "e come i nostri elettori, anche i nostri Sindaci e i nostri amministratori locali, bravi e capaci, che quotidianamente, a petto in fuori e mettendoci la faccia, portano avanti sui territori le nostre battaglie, sempre e comunque, sia quando si perdeva sia adesso che si vince (anche se non dappertutto)".
Di Stefano ha colto l'occasione per ribadire che "non si costruiscono le vittorie con l’arroganza del mettersi in cattedra, del vergare su una lavagna i 'buoni' e i 'cattivi' o dell’escludere, come è stato fatto in occasione della riunione del coordinamento regionale di FI, chi come il sottoscritto evidentemente non è amato dal nuovo leader azzurro, l’onorevole Martino. Credo si debba lavorare per ricostruire l’armonia del centrodestra, per includere e non escludere aprendo anche ai soggetti civici, premiando, però, la coerenza di chi da questa parte c’è sempre stato e non di coloro che, dopo essere stati fianco a fianco con il Presidente D’Alfonso, condividendone quindi anche le responsabilità dei disastri amministrativi, adesso saltano sul carro dei vincitori".
Un messaggio piuttosto chiaro, ribadito da Gianluca Zelli, leader di Azione Politica che, alle amministrative di Teramo ha sostenuto Di Dalmazio e che, verso le Regionali, sta costruendo il cartello di liste 'L'Altro Abruzzo', con Daniele Toto e Gianni Di Pangrazio. "L’esito del ballottaggio a Teramo ha confermato quel che da sempre affermiamo: le civiche sono quelle che fanno pendere l’ago della bilancia, sono decisive", ha dichiarato; "abbiamo provato in tutti i modi a costruire la collaborazione con il preciso intento di rinnovare il metodo sui programmi, nell’interesse dei cittadini – ha aggiunto Zelli – L’applicazione del nostro modo nuovo di intendere la politica, a servizio e in ascolto della collettività, ci è stata impedita. La causa principale sono stati i personalismi di alcuni che non hanno saputo cogliere l’opportunità del cambiamento. Anche nella fase di ballottaggio abbiamo speso le nostre energie per ritrovare una convergenza su un progetto condiviso per Teramo, sostenuti dall’unico partito che aveva intuito la necessità di lavorare sulla coesione, ovvero la Lega. Per la seconda volta ci è stata chiusa la porta in faccia".
Zelli non ha mancato di sottolineare come a Silvi, "dove il sindaco Scordella – a cui vanno i nostri migliori auguri di buon lavoro – è stato appoggiato anche da noi", il centrodestra abbia "vinto in maniera netta"; sicché, "l’accaduto postula un fatto inequivocabile, valido anche in un quadro più ampio, regionale: chi lavora secondo vecchie logiche e personalismi è destinato a perdere sistematicamente, chi unisce le proprie energie guadagna il sostegno dei cittadini".
E' evidente come, in questo quadro, la Lega sia considerata un riferimento sicuro, per la coalizione, e chissà se Forza Italia accetterà di non 'dare le carte' al tavolo delle candidature; a gettare acqua sul fuoco ha provato il senatore Gaetano Quagliariello che ha lanciato una proposta piuttosto chiara: basta fughe in avanti, si discuta tra forze partitiche e con le liste civiche per trovare un accordo unitario, senza porre veti e senza la presunzione di dettare candidature. Difficile dire se avrà successo, considerato pure che in seno a Forza Italia, come non bastasse, i rapporti non sono affatto sereni, a valle della gestione autoritaria delle elezioni politiche assunta dal segretario regionale Pagano.
Non che le cose vadano meglio nel centrosinistra.
E' vero, la vittoria - assolutamente inattesa, in controtendenza rispetto al livello nazionale - rappresenta una boccata d'ossigeno per le forze progressiste, una spinta d'entusiasmo importante. Tuttavia, il successo di D'Alberto è maturato oltre il Partito democratico regionale, potremmo aggiungere 'nonostante' il Pd d'alfonsiano. Non è un mistero che i dem si siano spaccati, a Teramo, tanto da costringere il commissario Sandro Mariani al referendum tra gli iscritti per scegliere il candidato ed a chiedere scusa agli elettori "per lo spettacolo indecente" offerto dal partito; non è un mistero che D'Alberto abbia 'forzato' la sua candidatura, e l'ha sottolineato: "Io e gli altri ragazzi del progetto civico appoggiato dal Pd siamo usciti dal partito un anno fa - ha chiarito in un'intervista all'Ansa - perché si stava perdendo in una lotta di potere e di correnti. Abbiamo voluto dire 'no' a questa autodistruzione e riconnettere la politica con i cittadini".
D’Alberto è stato percepito come l’uomo del rinnovamento dopo anni di fallimentare amministrazione di centrodestra, certo, ma ha rappresentato, altresì, il punto di riferimento di una 'atipica' coalizione di centrosinistra che ha costretto i dem ad un passo di lato. A Teramo “ha vinto il progetto civico” fuori dal Pd - ha ribadito il sindaco eletto - in grado di trainare il partito "che ha avuto la volontà e la consapevolezza di appoggiare questo progetto"; dunque, l'affondo: "Al segretario Maurizio Martina non lancio messaggi perché il Pd non è più il mio partito ma dico di prendere atto dei risultati negativi e guardare a questi risultati miracolosi".
D'altra parte, i coordinatori regionali di Articolo 1 - in rotta di collisione con D'Alfonso a livello regionale, sebbene non abbia staccato la spina alla maggioranza di centrosinistra in Emiciclo - non hanno perso l'occasione per sottolineare come il partito abbia "creduto e sostenuto da subito e senza tentennamenti la candidatura di Gianguido D'Alberto. La sua vittoria è la vittoria dell'impegno profuso in anni di opposizione, della competenza e dell'amore per la propria città, ma anche della coerenza, della nettezza e chiarezza delle scelte, della radicalità senza compromessi nel voler proporre il proprio progetto di cambiamento e rinascita ad una città umiliata dal centrodestra e dal suo sistema di potere", hanno ribadito Tommaso Di Febo e Fabio Ranieri. Che hanno aggiunto: "D'Alberto sarà un grande sindaco e la sua vittoria deve essere un insegnamento per le forze del centrosinistra abruzzese ad uscire dalla tattica asfissiante, senza coraggio e perdente con cui si ragiona del futuro della regione Abruzzo".
Come a voler tracciare una 'strada': se si riuscirà a costruire una coalizione di centrosinistra larga e radicale nel progetto di rilancio della Regione, aperta alle migliori forze civiche e progressiste, con una forte e netta discontinuità rispetto al governo D'Alfonso, sui temi delle politiche attive del lavoro e della disoccupazione giovanile, in particolare, della sanità e dei fondi per il sociale, dei trasporti, dell'attenzione alle aree interne e, soprattutto, delle zone terremotate, schierandosi senza ambiguità e sostenendo con forza le battaglie che le popolazioni abruzzesi hanno messo in campo, dalla Valle Peligna al Lago di Bomba, allora si potrà tentare di sconfessare i sondaggi, come accaduto a Teramo.
Altrimenti, se il Partito Democratico regionale non avrà la capacità di mettersi a disposizione di un progetto, piuttosto che 'dettarlo', di chiudere una pagina di governo regionale scritta con una gestione amministrativa che ha mancato di collegialità, autorefenziale, incapace di autocritica, anzi arrogante e supponente, con atteggiamenti verticistici e personalistici, gli abruzzesi alle urne non faranno altro che manifestare, come accaduto alle elezioni politiche prima e alle amministrative poi, la loro voglia di cambiamento.