“Ho avuto l’impressione che il Festival, in un momento di paura e incertezza, abbia rimesso al centro la partecipazione, dicendosi, però, di prenderla finalmente sul serio, altrimenti il paese scivolerà in una direzione che non vogliamo. Rispetto agli anni passati, ho visto un poco più di incazzatura”.
Fabrizio Barca prova a tirare un bilancio della terza edizione del Festival della Partecipazione che si è chiusa ieri, a L’Aquila; e lo fa ripercorrendo con la mente alcuni degli eventi che l’hanno caratterizzato, tra le decine che si sono susseguiti nel centro storico della città. “Ho avuto la sensazione di una presenza molto meditata, soprattutto lungo il filo di tre iniziative, diverse tra loro, che ho visto seguire con grande emozione”, ha spiegato in una lunga intervista concessa a newstown.
“L’evento iniziale, alla presenza del ministro Riccardo Fraccaro, in cui abbiamo discusso di possibili modifiche della Costituzione; la domanda, la voglia di partecipazione che si manifesta attraverso le idee messe sul tavolo dai cittadini troppo spesso non se la 'fila' nessuno, per usare un’espressione parigina; ci si è domandati, dunque: che cosa possiamo fare? Nel corso dell'incontro inaugurale ci siamo detti che, forse, è necessario rafforzare in questo senso i principi costituzionali. Poi, siamo andati subito nel concreto, parlando di sisma e confrontando, per esempio, i diversi modi in cui la partecipazione si è strutturata sui territori. Sappiamo che in Italia c’è un terremoto ogni sette anni: ebbene, vogliamo prepararci al prossimo stabilendo con certezza - a partire dalle esperienze maturate – le aspirazioni, i bisogni dei cittadini allorquando il sisma rompe le relazioni? Infine, l’evento con i lavoratori della ricostruzione – sul palco, 20 tra i 4mila operai che stanno nei cantieri, che incontriamo tra le strade della città – che hanno potuto parlare con franchezza, con messaggi d’apprezzamento nei confronti del sindacato ma anche di critica, con la richiesta d’attenzione ad un tema, tra gli altri, che è emerso fortissimo: svolgono lavorazioni importanti nei cantieri, la sensazione però è che non vengano riconosciute, né sul piano della retribuzione – talvolta sono contrattualizzati per mansioni inferiori rispetto a quelle che svolgono realmente – né sul piano dell’esperienza maturata. Avrebbero da insegnare ai lavoratori più giovani che, magari, lavoreranno alle prossime ricostruzioni e, comunque, in molti casi hanno davanti a sé ancora 10, 15 anni di lavoro. Rappresentano una risorsa di conoscenze e come tali dovremmo saperli trattare”.
Qui sta una delle ‘questioni’ che ha attraversato le decine di eventi proposti dal festival: le conoscenze acquisite nei diversi crateri, a L’Aquila come altrove, si fa ancora fatica a metterle a sistema per costruire un solido impianto pratico e teorico da mettere a disposizione per le prossime calamità naturali che il sistema paese si ritroverà ad affrontare. “E’ il tema che ponemmo tutti insieme già 5 o 6 anni fa – ricorda Fabrizio Barca - e che oggi torna fortissimo: l’assoluta necessità di dar seguito a quel rigo che insieme scrivemmo qui a L’Aquila, in piazza Duomo: sì - ci dicemmo allora - prendiamo il rischio di assumere 309 lavoratori col concorsone, 100 di loro, però, li destiniamo al Ministero delle Infrastrutture, saranno l’avanguardia del futuro ufficio nazionale per la ricostruzione. Loro lavorano - coloro che non hanno deciso di andare via, almeno - ma noi non abbiamo ancora costruito al Mit l’ufficio speciale che dovrebbe occuparsi di ricostruzione e sviluppo”.
Di qui, la richiesta che è rimbalzata di tavolo in tavolo: “facciamolo ora, prima del prossimo sisma, affinché il trasferimento di conoscenza non avvenga per la buona volontà di alcuni piuttosto che per il contatto occasione di altri, bensì in modo sistematico; dobbiamo assicurarci che le lezioni apprese, nel bene e nel male, divengano patrimonio comune, per non ricominciare ogni volta daccapo”. In questo senso, “la speranza è che il segno che lasciamo stavolta, col Festival, fissi degli impegni: ci siamo detti di rivederci tra qualche mese, per capire che ne è stato delle priorità messe nero su bianco. Stavolta, non aspetteremo la prossima edizione”.
Si è parlato anche di altro, ovviamente.
Il titolo-traccia della terza edizione appena conclusa è stato “Sogni, incubi, realtà: democrazia e partecipazione nell’era dell’incertezza”; un tema più che mai attuale, stante la sensazione di una chiusura, di una rabbia alimentata verso l’altro, il diverso. “Quando monta la rabbia ci sono solo due scenari possibili: o la trasformi in risentimento, in odio per gli altri, e dunque ti inventi dei nemici andando indietro nella storia, oppure la incanali verso un percorso di avanzamento sociale. Se a livello di sistema sembra che stiamo facendo pericolosi passi indietro, al livello micro, sui territori, si alimentano iniziative straordinarie; le persone trovano ancora la forza per cambiare: il problema è che la somma di queste mille iniziative positive non fa ancora sistema. Di nuovo, la sensazione è che vadano messe insieme: un segnale di questo bisogno sta nelle alleanze delle organizzazioni di cittadinanza attiva. La stessa alleanza su cui sto lavorando col Forum delle disuguaglianze e delle diversità, con 8 diverse organizzazioni, va in questa direzione: dalla Caritas ad ActionAid, da Cittadinanzattiva alla Cooperativa Dedalus di Napoli, condividono l'idea che valga la pena di dedicare il 5, 10% della loro energia, del loro tempo già così pieno, per lavorare insieme e far pesare di più la loro voce a livello di sistema, affinché arrivi più solida in Parlamento, nelle leadership, nei partiti esistenti o in quelli che stanno per nascere, così che non si allarghi il divario tra le esperienze virtuose che accadono luogo per luogo e la deriva che stiamo vivendo a livello generale”.
In questa direzione dovrebbe muoversi anche il PD, che sta vivendo una difficile fase congressuale: “spero non perdano l’occasione di trasformare i prossimi mesi in un confronto, vero, di idee. La domanda cui dovrebbe rispondere ogni candidato è la seguente: in che modo intendo rispondere alla rabbia, alle disuguaglianze? Debbo dire che ho visto qualche segnale positivo nel modo in cui una parte del PD sta sul tema del reddito di cittadinanza, parlando un linguaggio simile a quello dell’alleanza per la povertà; non rompe con i 5 Stelle, ma gli dice: attenti, cosa volete fare? Volete aumentare da 2.5 a 5 milioni la platea di beneficiari, raddoppiando le risorse: ha senso, ma non smantellate l’esperienza che abbiamo avviato giusto per il gusto di dire ‘ho cominciato io’. E' un modo serio di fare politica: purtroppo, non tutti vanno in questa direzione, e non lo vedo fare dagli altri partiti, e non lo vedo fare su altri temi. Il PD dovrà confrontarsi sulle proposte: il tema non è se si alleerà o meno con i 5 Stelle alle prossime elezioni, il tema è come si dialogherà in Parlamento domani. D’altra parte, possono aprirsi contraddizioni anche negli altri partiti, nella Lega per esempio: dico la verità, vedo contraddizioni tra un sovranismo nazionale becero e razzista e una presenza territoriale di una parte della Lega che, a volte, ho visto muoversi a livello di sindaci con competenza e capacità. Vuol dire che c’è ancora una possibilità, che c’è in tutti i partiti la possibilità di recuperare a patto che si torni sui temi, che si risponda alla domanda: che cosa voglio offrire per il futuro, un modo di stare meglio o soltanto l’odio per altri su cui scaricare la rabbia? Come rispondere alle persone che hanno paura, ansia, che si sentono abbandonate? E’ questo il punto: se il confronto fosse su questi temi, potremmo andare incontro ad una fase politica molto interessante”.