Una vicenda giudiziaria "lontana" dall'Abruzzo sta interessando, in queste ore, la campagna elettorale in vista delle Regionali del prossimo 10 febbraio.
La notizia: l'ex sostituto procuratore di Trani, Antonio Savasta, attualmente giudice presso il tribunale di Roma, e l'ex gip di Trani Michele Nardi, pm nella Capitale, sono stati arrestati ieri dai Carabinieri su ordine del Tribunale di Lecce. E' finito in manette anche l'ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro, in servizio al Commissariato di Corato. Sono stati inoltre interdetti dalla professione, per un anno, gli avvocati Simona Cuomo, del foro di Bari, e Ruggiero Sfrecola del foro di Trani. Con l'imprenditore Flavio d'Introno, sono stati iscritti sul registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata ad una serie di delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione in atti giudiziari, falso ideologico e materiale. In sostanza, i magistrati avrebbero insabbiato indagini e pilotato sentenze giudiziarie e tributarie in favore di alcuni facoltosi imprenditori.
Altri 14 indagati sono accusati, a vario titolo, di millantato credito, calunnia e corruzione.
E' coinvolto anche l'imprenditore fiorentino Luigi Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi, papà di Matteo, per cui i pm avevano chiesto gli arresti domiciliari e che, al contrario, è stato interdetto dall'esercizio dell'attività. E' proprio l'agenda di Dagostino, la maniacale abitudine dell'imprenditore di annotare il pagamento di presunte tangenti e ogni appuntamento, a permettere ai magistrati di Lecce di chiudere il cerchio sulle indagini. "Annotazioni puntuali e metodiche" scrive il gip nelle 862 pagine dell'ordinanza, sui contatti e rapporti con il pm Savasta, con l'avvocato tranese Sfrecola, con l'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, con Tiziano Renzi e anche con l'allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, candidato alla presidenza di Regione Abruzzo.
E così la vicenda ha fatto irruzione nella campagna elettorale.
In realtà, la questione era stata affrontata dall'ex vice presidente del Csm in tempi non sospetti, con una intervista rilasciata alla giornalista Ilaria Proietti il 29 giugno scorso per La Verità, sette mesi fa, a candidatura ancora lontanissima. In sostanza, Legnini avrebbe incontrato Savasta - già sottoposto a diversi procedimenti disciplinari dal Consiglio superiore della magistratura - ad una cena organizzata a Roma da un giornalista, ex collaboratore di Legnini, cui parteciparono una trentina di persone tra giornalisti, parlamentari e membri del Csm. I testimoni ascoltati dalla Procura avrebbero ribadito che l'ex sostituto procuratore di Trani si sarebbe pressoché imbucato alla festa, presentandosi con l'imprenditore Dagostino.
"Sono molto arrabbiato per questa vicenda", aveva spiegato Legnini a giugno; "non solo per la mia onorabilità, ma soprattutto per il rispetto che si deve al Consiglio, la cui immagine di garanzia ed imparzialità in alcun modo può essere appannata. Ho evitato accuratamente in questi 4 anni qualunque incontro conviviale con magistrati sottoposti a procedimenti disciplinari o interessati a decisioni del Consiglio riguardanti la loro carriera. Ciò era un mio dovere perché del corretto funzionamento del Csm sono responsabile. Non permetterò a nessuno di mettere in dubbio tali principi e valori, per me imprescindibili, tanto più per una vicenda che non esito a definire kafkiana perché non saprei proprio cosa rimproverarmi. Si trattò di una cena in piedi a casa di un giornalista mio ex collaboratore, alla quale parteciparono una trentina di persone. In alcun modo sapevo della presenza né di Dagostino né del dottor Savasta. Non li conoscevo e nessuno mi aveva informato della loro presenza, altrimenti di sicuro non sarei andato. Non parlai con loro, se non per i convenevoli di presentazione. Lo stesso Savasta ha dichiarato al vostro giornale che lo salutai con freddezza".
In effetti, a La Verità, Savasta aveva spiegato che Legnini lo aveva salutato freddamente e che non sapeva della sua presenza.
Questi i fatti, per come li conosciamo al momento.
E' chiaro che la vicenda ha assunto ben altro 'contorno' per il coinvolgimento dell'ex sottosegretario Luca Lotti e di Tiziano Renzi.
Savasta - avendo procedimenti disciplinari e penali a suo carico - voleva trasferirsi a Roma e, per questo, chiese all'imprenditore Dagostino di fissargli un incontro con Lotti assicurando, in cambio, di non approfondire le indagini su una vicenda di false fatturazioni per 5-6 milioni che vedeva coinvolto proprio l'imprenditore. E Dagostino - stando ai giudici - approfittando dell'amicizia con Tiziano Renzi riuscì, in effetti, a prendere un appuntamento con Lotti per il 17 giugno 2015. L'incontro si sarebbe tenuto a Palazzo Chigi. A confermarlo è proprio Dagostino, interrogato nell'aprile 2018: riferì di aver chiesto a Tiziano Renzi di incontrare Lotti perché il pm Savasta aveva in mente un disegno di legge sui rifiuti a Roma; in realtà, secondo quanto emerso dall'inchiesta della procura di Lecce che ha portato agli arresti di ieri, Savasta chiese a Dagostino quell'incontro per ben altri motivi.
Sul punto, Lotti è stato sentito due volte dai giudici, ad aprile e a maggio 2018: "le sue risposte sono state viziate da almeno cinque 'non ricordo'", scrive Il Fatto Quotidiano.
Spiega il gip Giovanni Galli nell'ordinanza che ha portato alle misure cautelari: "Savasta, consapevole della pendenza a suo carico sia di procedimenti disciplinari che penali, aveva urgente necessità di allontanarsi al più presto da Trani e ottenere un incarico a Roma, incarico rispetto al quale l'incontro con Lotti aveva una specifica connessione strumentale". E ancora: "Risulta evidente che Dagostino fissò l'appuntamento a Savasta su richiesta di quest'ultimo, così procurandogli un'indebita utilità". Nel frattempo, sottolinea ancora il giudice nell'ordinanza, "Savasta gestiva le indagini sulle fatture false in cui l'imprenditore Dagostino emergeva quale figura principale nell'organizzazione della illecita condotta e che neppure venne mai indagato da Savasta, grazie ad un continuo susseguirsi di omissioni e di iniziative volte a sviare l'attività di indagine con il precipuo scopo di favorire Dagostino".
È questo - in sostanza - l'impianto dell'accusa di corruzione in atti giudiziari che i pm di Lecce muovono a Dagostino, Savasta e all'avvocato Ruggiero Sfrecola, emerso come intermediario tra le due figure. Tra l'altro, sostengono i giudici, Savasta avrebbe ricevuto tangenti dall'imprenditore in almeno 4 occasioni: in data 8 maggio 2015 la prima da 20mila euro; altri 25mila il 21 dello stesso mese. Da ultimi, altri 8mila euro in due tranche consegnati a inizio 2016. Ma appunto, non c'erano solo i soldi. Savasta, secondo i pm, voleva sfruttare le conoscenze politiche dell'imprenditore Dagostino per ottenere il trasferimento a Roma.
E Dagostino - come detto - riuscì a fargli incontrare Luca Lotti a Palazzo Chigi e lo portò con sé alla cena romana alla quale era invitato, tra gli altri, anche Giovanni Legnini e altri membri del Csm. Tuttavia, non risulta agli atti che Savasta e Legnini parlarono, quella sera, e soprattutto che l'ex vice presidente del Csm fosse stato in qualche modo informato della presenza a cena dell'allora sostituto procuratore di Trani.
"L'attacco che mi viene rivolto dalla Lega abruzzese e dal Movimento 5 Stelle è chiaramente strumentale", la replica alle polemiche di queste ore del candidato presidente della coalizione progressista. "Non c'è alcuna grana che mi riguardi e a scriverlo è lo stesso Giudice delle indagini preliminari nell'ordinanza di arresto di due magistrati pugliesi". Legnini, annota il Gip nell'ordinanza pubblicata oggi dall'Ansa, 'non era previamente informato o comunque a conoscenza' della presenza di uno dei due Giudici indagati e del suo amico imprenditore alla cena alla quale era stato invitato. "E se avessi saputo della loro presenza - ha ribadito l'ex vice presidente del Csm - certamente non sarei andato a quella cena privata con 30 persone a casa di un mio ex collaboratore. Peraltro, come risulta dagli atti di indagine, trattai con molta freddezza il magistrato in questione, nei cui confronti pendeva un procedimento disciplinare, proprio perché irritato dal suo tentativo di avvicinarmi. Ciò riferii quale testimone alla Procura di Firenze che stava svolgendo le indagini. La vicenda, per quel che mi riguarda, si è chiusa lì. Si tratta di una notizia vecchia, già nota e chiarita sette mesi fa ed ora la Lega intende cavalcarla e strumentalizzarla solo per ragioni elettorali, non avendo altro cui aggrapparsi, logicamente anche il Movimento 5 Stelle si è accodato e questo si commenta da sé".
Marcozzi: "Le smentite e le prese di distanza di facciata non bastano a nessuno"
"Apprendo dagli organi di stampa che il nome del candidato presidente dell'Abruzzo del centrosinistra Giovanni Legnini è finito sull'agenda dell'imprenditore Luigi Dagostino, accusato di corruzione in atti giudiziari. Accusa che ha portato gli inquirenti di Lecce a procedere all'arresto dei magistrati del Tribunale di Roma Antonio Savasta e Michele Nardi. Le smentite e le prese di distanza di facciata che leggiamo sui canali social di Legnini non bastano più a nessuno. Ascoltare da un ex vicepresidente del CSM una serie continua di 'Io non sapevo', 'Se avessi saputo non sarei andato', 'Sono stato freddo nei loro confronti', sono scuse frettolose e maldestre".
L'affondo è di Sara Marcozzi, candidata governatore del Movimento 5 Stelle.
"La difficoltà evidente di Legnini si palesa quando tenta affannosamente di sminuire una notizia rilanciata da tutte le agenzie di stampa spacciandola per un attacco dei suoi avversari politici. A questa vicenda grottesca si aggiunge quanto riferito da Alessandro Lanci, suo candidato, che ha attribuito a Legnini un emendamento alla finanziaria del 2016 sul limite delle 12 miglia per le trivellazione petrolifere, nonostante in quel momento Legnini fosse già al CSM. Tutte questioni che lascerebbero intendere una commistione tra politica e istituzioni gravissima: il superamento disinvolto e sistematico del principio di separazione tra i poteri, uno dei principi fondamentali dello stato di diritto e della democrazia liberale. Il tutto mentre il candidato di centrosinistra continua a recitare, come una nenia, gli slogan sul cambiamento, sulla novità o l'aria nuova. La realtà è che ha ricandidato con se tutta la giunta regionale D'Alfonso, nel segno della più totale continuità nei modi e nelle persone. Legnini rappresenta in tutto e per tutto l'ancien règime che si nasconde dietro a liste civiche che col civismo non hanno niente a che fare. Gli abruzzesi meritano di più di questa continua pantomima e sono sicura che il 10 febbraio lo dimostreranno nelle urne".