“Il pieno e il vuoto, le cose fatte e quelle apprese della mia azione di governo per la “coesione territoriale” sono resi manifesti dai materiali raccolti nel sito www.coesioneterritoriale.gov.it e dal Rapporto di fine mandato. Questa stessa azione, ogni singola esperienza dei miei sedici mesi di lavoro, nel territorio e a Roma, suscita una secca conclusione politica: senza una “nuova forma partito” non si governa l’Italia”.
Si apre così il manifesto di Fabrizio Barca, “Un partito nuovo per un buon governo”, inviato a Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola. Il ministro tecnico, che soprattutto qui a L’Aquila ha giocato in questi mesi la sua partita politica, ha deciso di scendere in campo e di iscriversi al Pd. Con i delicati equilibri del centro sinistra che sembrano già risentirne.
L’idea è un “partito nuovo”, espressione molto cara al Ministro, in gran parte finanziato dagli iscritti, non composto necessariamente da militanti “a vita” e che preveda una rigida separazione tra incarichi di partito e di governo, con regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine degli enti pubblici.
«Un partito palestra – scrive Barca – che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti e simpatizzanti una parte determinante del proprio finanziamento, sia capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del pubblico denaro. Serve un partito che torni, come nei partiti di massa, a essere non solo strumento di selezione dei componenti degli organi costituzionali e di governo dello stato, ma anche “sfidante dello stato stesso” attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica».
Nelle intenzioni, insomma, il suo Pd rompe sia con l’idea di partito tradizionale di massa (il vecchio Pci, di cui il papà Luciano è stato dirigente storico) sia con quello “liquido” di veltroniana memoria. Scrive il Ministro: «Innanzitutto per assicurare un buon governo è necessario che i partiti si separino dallo stato, per divenire rete materiale e immateriale di mobilitazione di conoscenze e di confronto pubblico. Il metodo, ispirato alle esperienze di democrazia deliberativa, è quello dello sperimentalismo democratico». E cioè, «serve un partito saldamente radicato nel territorio, animato dalla partecipazione e dal volontariato di chi ha altrove il proprio lavoro e che trae da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti parte rilevante del proprio finanziamento». Il partito nuovo, quindi, «sarà rigorosamente separato dallo stato, sia in termini finanziari, riducendo ancora il finanziamento pubblico e soprattutto cambiandone i canali di alimentazione e assicurandone verificabilità, sia prevedendo l’assoluta separazione fra funzionari e quadri del partito ed eletti o nominati in organi di governo, sia stabilendo regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente».
L’obiettivo è ambizioso, insomma. Difficile credere che il documento sia solo “un contributo al dibattito”, come racconta Barca, che precisa di non pensare “che bastino alcuni anni di militanza giovanile in un partito e poi i lavori di tecnico, amministratore pubblico e ministro e neppure – anche se conta più del resto – la vicinanza profonda con un protagonista della migliore politica – mi riferisco a mio padre – per proporre in modo solitario il programma politico di un partito nuovo”.
Il manifesto pare, in realtà, qualcosa di più. E non sembra affatto una coincidenza che, nei giorni della discesa in campo del Ministro, Nichi Vendola, leader di Sel, chieda l’adesione al partito socialista europeo. C’è molta sinistra nella memoria del Ministro, un disegno per alcuni del tentativo di fusione tra le forze della coalizione che la scelta di Vendola pare confermare.
Se fosse proprio Fabrizio Barca il futuro segretario del “partito allargato”? Chissà. Bisognerà capire quali reazioni produrrà il documento del Ministro nell’ala centrista del Pd, guidata dall’altro vero leader in pectore, Matteo Renzi, che ha sempre escluso l’interesse per la segreteria del partito. Il desiderio, oramai svelato, del sindaco di Firenze è la guida di un Governo di larghe intese. Con il benestare di Massimo D’Alema, ancora molto influente in seno al partito, che ha sottolineato nelle scorse ore come sia un errore escludere il “giovane rottamatore”.
Per ora, pare difficile ipotizzare un ticket Barca-Renzi, il primo segretario e l’altro presidente del Consiglio dei ministri, in un sottile gioco di equilibri politici capace di tenere insieme l’ala cattolica e centrista della coalizione con quella di sinistra. La strada, seppur stretta, per salvare la coalizione potrebbe essere, però, proprio questa. A meno di non voler immaginare una clamorosa rottura in seno al partito guidato, senza più grande sostegno, da Pier Luigi Bersani.
Con lo stallo nella formazione del nuovo governo e l’avvicinarsi dell’elezione del presidente della Repubblica, le tensioni interne si fanno sempre più forti. Tanto da spingere Dario Franceschini a denunciare il ritorno di “rigurgiti identitari”.
E se la soluzione fosse Bersani successore di Napolitano, al Quirinale? Stando alle indiscrezioni, dopo Silvio Berlusconi anche la Lega avrebbe aperto all’ipotesi. Non si sarebbe trattato di una proposta esplicita, ma nel delineare l’identikit del candidato il segretario non è stato escluso. Un'idea che pare non spiacere neanche ad alcune aree del Pd, che ricordano quanto il ruolo del Presidente sarà importante nei prossimi sette anni.
Pier Luigi Bersani al Quirinale, Matteo Renzi presidente di un Governo di larghe intese Pd-Pdl, e Fabrizio Barca segretario del partito allargato, salvando la coalizione di centro sinistra con Sel: fantapolitica, oggi 12 di aprile. Non si sa mai, però.
Molte questioni restano, comunque, ancora aperte. Ospite di Lucia Annunziata, a In mezz’ora, Barca ha detto di non ambire alla segreteria ma di aspirare “a far parte del gruppo dirigente del partito”. Cosa significhi, difficile capirlo: non è ancora chiaro se il ministro voglia entrare in punta di piedi per conquistare dall’interno la leadership o se vuole, al contrario, rompere gli equilibri e conquistare la guida di una corrente maggioritaria.