Oggi alle 16 verrà formalizzata, di fatto, la crisi di Governo; si riuniscono, infatti, i sette capigruppo di M5S, Lega, PD, Forza Italia, gruppo Misto e Autonomie: dovranno decidere la data della discussione in Aula della mozione di sfiducia al premier Giuseppe Conte presentata dalla Lega. Di certo, il Senato si convocherà dopo ferragosto, tra il 19 e il 21 agosto; d'altra parte, M5S con PD e gruppo Misto hanno i numeri per imporre la loro data. Si giocherà anche un'altra partita, più complicata però: il PD proverà a calendarizzare, prima della sfiducia a Conte, quella a Matteo Salvini che era già stata presentata dai dem.
Domani a mezzogiorno, invece, si riuniranno i sette capigruppo della Camera; all'ordine del giorno c'è la richiesta di comunicazioni del Presidente del Consiglio: in sostanza, bisognerà decidere la data nella quale interverrà. Probabilmente, nella stessa giornata che vedrà Conte salire in Senato: tuttavia, se il premier dovesse essere sfiduciato il passaggio sarebbe superfluo. Il Movimento 5 Stelle chiederà, in sede di capigruppo, che venga anticipata la discussione per l'atto finale della legge che prevede il taglio dei parlamentari, fissata per il 9 settembre.
E qui sta uno dei nodi della crisi.
Al momento, in campo ci sono due possibilità. La prima: Conte verrà sfiduciato in Senato; a quel punto, il Capo dello Stato aprirà le consultazioni per capire se le Camere siano in grado di esprimere un'altra maggioranza parlamentare possibile. Se così non dovesse essere, Mattarella potrebbe affidare un mandato esplorativo ad una personalità di sua indicazione; se anche questa strada si dimostrasse impercorribile, il Presidente della Repubblica potrebbe sciogliere immediatamente le Camere. La Costituzione prevede che le elezioni politiche debbano essere fissate dopo 45 giorni ed entro un massimo di 70; stante la necessità di organizzare il voto all'estero, però, serviranno almeno 60 giorni. A far di conto si può cerchiare di rosso sul calendario la data del 27 ottobre, con le Camere che verrebbero sciolte il 26 agosto.
Fino a qualche ora fa, era l'ipotesi più plausibile.
Tuttavia, c'è una seconda possibilità che si fa, di ora in ora, più concreta. E cioé, un accordo tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, o meglio, tra Luigi Di Maio e Matteo Renzi, col sostegno di parlamentari di altri gruppi, per dare sostanza ad un governo del presidente, 'tecnico' o, come si vorrebbe definire, della 'Repubblica'.
I motivi sono di ordine istituzionale e politico.
Dal punto di vista istituzionale, Mattarella è assai preoccupato da una crisi al buio: come noto, il governo è chiamato a presentare la nota di aggiornamento del DEF entro il 27 settembre; deve mandare alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio entro il 15 ottobre; deve portare la legge di bilancio in Parlamento entro il 20 ottobre; deve far approvare la legge di bilancio dal Parlamento entro il 31 dicembre. Ora, si dovesse votare il 27 ottobre, il nuovo Parlamento non si insedierebbe prima della metà di novembre (devono passare circa 20 giorni); poi, le Camere dovrebbero eleggere i presidenti e, solo allora, si aprirebbero le consultazioni del Capo dello Stato per formare il nuovo esecutivo. Veloci che si voglia andare, si arriverebbe a dicembre. Di fatto, sarebbe quasi impossibile per il governo entrante riuscire ad approvare la legge di bilancio entro la fine dell'anno e, dunque, si andrebbe in esercizio provvisorio, si governerebbe in 'dodicesimi' per un massimo di 4 mesi, con ripercussioni piuttosto gravi: scatterebbe, infatti, l'aumento dell'Iva, dal 22 al 25.2% per l'aliquota ordinaria e dal 10 al 13% per quella agevolata, stante le clausole di salvaguardia fissate dal governo Conte.
Un disastro.
Non solo. Le reazioni dei mercati, di certo, non sarebbero positive, col timore, concreto, di speculazioni finanziarie sul nostro paese.
C'è un'altra preoccupazione, però, che tormenta i sonni di Mattarella. Stante i sondaggi, a vincere le elezioni potrebbe essere la Lega: ora, se pure l'eventuale esecutivo del Carroccio riuscisse ad approvare la legge di bilancio, si tratterebbe, senza dubbio, di una manovra invisa all'Europa, se non di aperta contrapposizione con Bruxelles, e si aprirebbero, così, scenari difficili da immaginare al momento.
Ecco i motivi per cui Mattarella non si risparmierà nella ricerca di un'altra maggioranza possibile.
Arriviamo alle ragioni politiche che lasciano intendere si possa arrivare davvero alla formazione di un 'governo della Repubblica'. In questo momento, il M5S ha bisogno di tempo per riorganizzarsi e, letti i sondaggi, potrebbe subire un tracollo alle elezioni: non è un caso che il fondatore del movimento, Beppe Grillo, abbia aperto, di fatto, ad un governo tecnico, impensabile fino a qualche mese fa. Aggiungete che, stante la regola del 'secondo mandato', non ancora modificata, i grillini si troverebbero 'decapitati' dei loro leader che non potrebbero candidarsi di nuovo alle elezioni. D'altra parte, Matteo Renzi - e anche lui si è espresso con chiarezza - avrebbe soltanto da perdere da un ritorno alle urne: l'ex premier era pronto, alla prossima Leopolda, a rompere con i dem dando vita ad un nuovo partito. L'accelerazione della crisi lo ha colto di sorpresa. Se Renzi è ancora fortemente in campo, è perché mantiene il controllo dei gruppi parlamentari di Camera e Senato; l'inversione ad 'u' rispetto alla politica dei pop corn di un anno fa si spiega proprio così: si tornasse alle urne, il segretario dem Nicola Zingaretti, di certo, lascerebbe poco spazio ai renziani, prendendo in mano i gruppi e, così, definitivamente il partito.
C'è poi un motivo più 'alto' che tiene su questa posizione anche Liberi e Uguale, un certo numero di parlamentari forzisti e altri del gruppo Misto.
Tornare alle urne alla fine di ottobre significherebbe lasciare campo libero a Matteo Salvini che potrebbe 'capitalizzare' l'attuale consenso: di fatto, si correrebbe il rischio di un governo, sostanzialmente, monocolore che, per questo, resterebbe in carica 5 anni lasciando la possibilità al Carroccio di eleggersi il prossimo Presidente della Repubblica. Una prospettiva che preoccupa, e non poco. D'altra parte, in questo momento Salvini è, paradossalmente, debolissimo: infatti, i numeri della Lega, in Parlamento, sono risibili (alle politiche del 4 marzo 2018, la Lega ottenne il 17% dei voti). In altre parole, il ministro dell'Interno si è giocato una partita assolutamente rischiosa. Si dovesse manifestare la fiducia ad un governo tecnico, Salvini rischierebbe di restare all'opposizione a lungo, e un anno, o peggio due, in politica possono cambiare completamente le cose. Per non parlare delle inchieste che incombono sulla Lega e che potrebbero affossare il partito.
Ecco perché l'ipotesi di un 'governo della Repubblica' non è affatto da scartare, anzi.
E torniamo al punto di partenza: se i renziani dovessero votare l'atto finale della legge sul taglio dei parlamentari che, fino ad ora, hanno contrastato, significherebbe che la strana alleanza è nei fatti; con l'approvazione della riforma, infatti, le elezioni slitterebbero almeno di un anno: il provvedimento verrebbe promulgato dopo tre mesi, durante i quali sarebbe possibile chiedere un referendum, da tenersi nell'estate 2020. E poi, andrebbe modificata la legge elettorale.
E' l'incubo di Salvini.