“Coalizione Ursula”.
La crisi di ferragosto, o balneare utilizzando un linguaggio da prima repubblica, si arricchisce ogni giorno di scenari possibili e suggestioni; l’ultima, ha il sapore di un’operazione militare da seconda guerra mondiale. Eppure, in un qualche modo potrebbe segnare la rotta dei prossimi giorni: per “Coalizione Ursula”, infatti, s'intende la possibile alleanza parlamentare tra le forze politiche che hanno votato a favore della nomina di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea, e cioè M5S, PD e Forza Italia, per evitare il ritorno alle urne alla fine di ottobre.
Possibile? Non siamo così distanti dalla realtà, in effetti.
Sia chiaro: la “Coalizione Ursula” ha già perso un pezzo, e cioè Forza Italia, per decisione di Matteo Salvini che, mettendo una pietra sopra alle incomprensioni dei mesi scorsi con Silvio Berlusconi – la politica, si sa, ha la memoria davvero corta – ha restituito senso alla coalizione di centrodestra con Forza Italia e Fratelli d’Italia per evitare, appunto, che pezzi forzisti potessero staccarsi dando sostanza ad una possibile maggioranza alternativa. In queste ore, si è parlato addirittura di un accordo davanti al notaio: non è arrivata alcuna smentita. Tuttavia, i numeri darebbero ragione ad una eventuale alleanza tra M5S e PD, col sostegno dei parlamentari di LeU e del gruppo misto.
Ieri se ne è avuta la prima conferma: in commissione dei capigruppo al Senato, il centrodestra è andato sotto sulla proposta di calendarizzare le comunicazioni del premier Giuseppe Conte il 14 agosto; oggi, se ne avrà un'altra: a meno di sorprese, l’Aula di Palazzo Madama approverà a maggioranza la proposta di fissare l’intervento del Presidente del Consiglio al prossimo 20 agosto, evitando, d’altra parte, che si arrivi ad un voto di sfiducia. A quanto si apprende, Conte farà le sue comunicazioni e, subito dopo, salirà al Quirinale per dare le dimissioni, ‘affidando’ la gestione della crisi al Presidente della Repubblica che, a quel punto, avvierà le consultazioni.
Qui sta il nodo, però.
La via è impervia. Di fatto, il Movimento 5 Stelle ha aperto all’ipotesi di una maggioranza alternativa ponendo sul tavolo, però, una condizione, anzi due: la prima, il voto sulla riduzione del numero dei parlamentari. “Abbiamo appena inviato al Presidente della Camera la nostra richiesta per calendarizzare urgentemente in Aula il taglio di 345 parlamentari, in base all’articolo 62 della Costituzione. Sono veramente orgoglioso, questa richiesta porta la firma di tutti e 220 i nostri deputati”, ha scritto poco fa su Facebook il vice premier Luigi Di Maio. “Vediamo cosa succede oggi alle 18 in conferenza dei capigruppo alla Camera – si riunirà subito dopo il voto del Senato, ndr - e in quanti saranno pronti a sostenere la nostra proposta sul taglio dei parlamentari. Con la Lega abbiamo portato avanti questa proposta per 14 mesi. L’abbiamo votata insieme al Senato il 7 febbraio 2019, poi alla Camera il 9 maggio 2019, poi di nuovo al Senato l’11 luglio 2019 (un mese fa) e ora mancano due ore di lavoro ed è legge. Accetterà di portarla in aula? Oppure tradirà di nuovo gli italiani?”. E’ evidente che la Lega tenterà di evitare l’approvazione del provvedimento che, di fatto, rinvierebbe la data del voto di un anno almeno. Piuttosto, la sfida è al Partito Democratico che, fino ad oggi, si è sempre opposta al provvedimento.
C’è poi la seconda condizione dettata dai pentastellati: Luigi Di Maio, e così il fondatore del Movimento Beppe Grillo – tornato per indicare la linea politica – hanno chiarito che non intendono sedersi al tavolo con Matteo Renzi, aprendo, di fatto, ad una possibile trattativa col segretario dem Nicola Zingaretti.
E così entra in gioco il Partito Democratico. Fiutando il momento giusto, una capacità che non è mai mancata all’ex Presidente del Consiglio, il senatore semplice Matteo Renzi, che semplice non è, controllando, di fatto, i gruppi parlamentari dei democratici, dimenticando i trascorsi col Movimento 5 Stelle – la politica, si sa, ha la memoria davvero corta, e ve l’avevamo già detto – ha aperto ad un governo della Repubblica, spiazzando Zingaretti e lasciando intendere di essere pronto a rompere con i dem (l’avrebbe fatta in autunno alla Leopolda, se non fosse scoppiata la crisi di ferragosto) facendo confluire i ‘suoi’ parlamentari sotto un’altra sigla, stante le titubanze mostrate dal segretario dem che, sull’incisività dei tempi, non può in alcun modo competere.
In realtà la posizione di Zingaretti sta emergendo, seppur faticosamente: in sostanza, il segretario dem sarebbe disponibile a ragionare di un governo del presidente a patto che non si limiti ad approvare la legge di bilancio per accompagnare il paese alle urne in primavera ma si fondi, piuttosto, su un patto di legislatura, su un mandato chiaro su alcuni punti programmatici per arrivare al 2023.
A far da pontiere, in queste ore, è Dario Franceschini che ha avviato una interlocuzione col presidente della Camera, Roberto Fico. E non è un caso: anche i dem pongono delle condizioni e, oltre ad indicare la strada di un governo di lungo respiro, hanno chiarito che non voteranno la fiducia ad un Governo fatto di ministri che abbiano condiviso le politiche della Lega di Salvini.
Un bel problema, se si considera che Luigi Di Maio, leader politico del Movimento fino a prova contraria, è vice presidente del Consiglio. E poi, sulla ‘trattativa’ si sta consumando l’ennesimo, forse l’ultimo, braccio di ferro tra Renzi e Zingaretti: la “Coalizione Ursula”, però, non può fondarsi sull’esclusione, bensì sulla maggiore inclusione possibile; in sostanza, Renzi e Zingaretti debbono starci, e così Di Maio.
Ecco il motivo per cui la strada di un governo tecnico è davvero strettissima.
Al momento, nessun vuol fare davvero il primo passo: è chiaro che se la proposta di alleanza fosse arrivata da Zingaretti, e se i gruppi parlamentari dem fossero in mano al segretario, le cose sarebbero più semplici; Renzi l’ha capito prima degli altri, e così si è rimesso al centro della vita politica. Le mazze sono in mano a Franceschini e Fico: se sapranno ricomporre, trovare una quadra, allora si potrebbe davvero andare ad un governo del presidente, o della repubblica se vi piace di più. Il tempo è tiranno, però: stasera, sul tabellone del Senato si manifesterà, per la prima volta, una alternativa possibile al governo gialloverde che, tuttavia, dovrà farsi maggioranza in pochi giorni. In questo senso, molto dirà il voto della conferenza dei capigruppo della Camera sulla proposta di calendarizzare immediatamente la quarta lettura della legge sul taglio dei parlamentari.
Tra i fedelissimi di Di Maio si respira pessimismo: “si vota il 27 ottobre”, hanno sussurrato alcuni esponenti pentastellati ai giornalisti appostati da giorni sotto i palazzi romani.