Percorrevo nel tardo pomeriggio di un paio di anni fa una mulattiera che dalla montagna mi ripotava a casa. Improvvisamente il cavallo spaventò e scartò, guardai in direzione opposta a quella di fuga del cavallo e vidi tre volpi, la madre e due cuccioli, adagiati uno dietro l’altro, uccisi con colpi di fucile all’altezza dello stomaco. Riconobbi immediatamente la famigliola sterminata e lasciata in “bella vista”, macabro esempio di esibizionismo. Tutte le sere al tramonto si aggiravano trotterellando sul limitar del bosco, procedendo verso il prato nel quale stazionava il mio cavallo. Si era aperta la caccia e da mesi la famigliola aveva il suo sicario ad osservarla, in attesa che arrivasse il fatidico giorno che avrebbe soddisfatto il suo bisogno di uccidere.
In questi giorni osservo un’altra volpe, sempre al tramonto, uscire dalla fitta boscaglia, attraversare un crinale ricoperto di ginepri e scendere il pendio verso alcuni ovili, per raccattare qualche osso. La guardo e penso che potrebbe avere le ore contate, i fucili si stanno lustrando.
Nella nostra cultura esiste il fenomeno di “uccidere per divertimento”. Braccare, inseguire, sparare, scuoiare e infine festeggiare per aver ucciso dà al cacciatore una scarica di adrenalina che soddisfa le più arcaiche ed ancestrali pulsioni di morte che erano, nella Notte dei Tempi, indispensabili per sopravvivere. Gunter Anders, nel suo immortale saggio “L’uomo è antiquato”, mostra come a fianco ai progressi, eccessivi, della Tecnica, l’uomo sia rimasto, biologicamente e psichicamente, arretrato, antiquato; inoltre come accade nell’età del capitalismo avanzato, ogni nostra pulsione viene sfruttata a fini commerciali e dunque di profitto.
Al di là di ogni manipolazione è chiaro a tutti che la caccia non risponde ad un bisogno alimentare (con i soldi dell’attrezzatura supertecnica, dei mezzi fuoristrada, dei cani e delle licenze, il cacciatore si sfamerebbe per decenni) né tantomeno svolge una funzione di regolazione dell’ecosistema e su questo ci torneremo dopo.
In molte culture animiste la cattura della preda era vista come il dono di un dio, la cattura era lecita soltanto se era seguita dall’utilizzazione completa di tutte le parti del dono, a scopo prevalentemente alimentare e comunque di sopravvivenza. La specie più cacciata era considerata sacra. L’eventuale uccisione fatta per divertimento o senza scopo era un’offesa al dio e il responsabile veniva punito. Le culture animiste non portavano all’estinzione di nessuna specie né alla distruzione degli ecosistemi: per molte migliaia di anni i nativi d’America, sterminati come i bisonti, sono vissuti in simbiosi con milioni di bisonti e con tutte le altre specie in armonico equilibrio; sono bastati due o tre secoli di cultura fondata sull’accumulazione e la proprietà per distruggere tutto.
Risulta del tutto evidente che la moderna caccia è un’attività “per divertimento” che ha costi ambientali altissimi. Sostenere che l’importanza della caccia è nel suo ruolo di regolatore degli ecosistemi è un’atra grande manipolazione. Gli ecosistemi incontaminati, per quanto possibile, ricchi, armonici e dinamici sono quelli delle aree protette dove la caccia è vietata. Dove le specie hanno la possibilità di vivere senza l’alterazione dell’attività venatoria che per alcuni mesi l’anno rappresenta un uragano che modifica le abitudini della fauna e la vita dell’ecosistema interessato.
Due esempi:
- il sovrappopolamento oggettivo dei cinghiali è dovuto ad una scelta, capriccio, venatorio e allevatoriale. Dopo la quasi estinzione del cinghiale autoctono, presente soprattutto in Maremma, Lazio e Sardegna, su richiesta anche del mondo venatorio fu introdotto negli anni del dopoguerra il cinghiale che attualmente popola le nostre terre. Quello autoctono era di piccole dimensioni e di capacità riproduttiva contenuta, quello introdotto, originario della Transilvania e dell’Est Europa, ha dimensioni notevoli, grande capacità riproduttiva ed è molto vorace. Contemporaneamente a questa scelta scellerata, voluta anche dai cacciatori per poter “sparare a qualcosa”, si è registrata la quasi estinzione di alcuni predatori naturali come il lupo, legata all’espansione delle aree urbane ed edilizie ma anche all’attività di caccia (ora che il lupo è fuori pericolo e che è tornato ad essere l’elemento regolativo principale per contenere la diffusione di alcune specie, assistiamo quotidianamente a proposte di abbattimento chiamate spudoratamente “piani di conservazione del lupo”. Le Regioni del Nord e le province del lombardo-veneto e anche piemontesi chiedono insistentemente di poter aprire la caccia al lupo, il Ministro dell’Ambiente, generale forestale Costa, lodevolmente ha chiuso ogni possibilità che tale richiesta venisse accolta);
- il cacciatore che partiva all’alba con la doppietta sulle spalle e il cane al suo fianco, percorrendo giornate intere di cammino, è un’immagine romantica consegnata alla storia. Le battute di caccia odierna si svolgono con decine di mezzi fuoristrada che solcano valli e crinali, con cani da migliaia di euro, carabine da guerra, droni, radioline e altre attrezzature che fanno pensare ad una scena di guerra in Afghanistan. Il risultato è uno sconvolgimento totale dell’ecosistema.
Si osserverà che il fenomeno venatorio interessa una minoranza sempre più esigua e anziana ed è vero, però l’attività di caccia è gravemente invadente e fastidiosa per tanti. Se da un lato “uccidere per divertimento” eccita e appaga pulsioni ancestrali, da un altro soddisfa esigenze economiche e commerciali. Le industrie delle armi, fiore all’occhiello della produzione industriale italiana (siamo tra i primi esportatori al Mondo) da anni cercano di allargare il loro bacino; Salvini, frequentatore delle fiere di armi, in tutti i modi ha cercato di spingere questo mercato, attraverso leggi sulla legittima difesa e campagne di terrore. Nonostante questi tentativi il mondo venatorio rappresenta ancora uno dei principali acquirenti di armi.
Parimenti a quello economico, l’aspetto elettorale non va sottovalutato. Nei piccoli centri montani dove la presenza dei cacciatori è ancora viva (in alcune zone si trasforma in bracconaggio) microlobby di cacciatori rappresentano un bacino elettorale; dietro le tante proposte di riduzione delle aree protette sovente c’è la pressione di queste microlobby. Negli ultimi anni è accaduto che parte significativa del mondo venatorio abbia fiancheggiato interessi e pressioni di varia natura, spesso speculativa, contro Parchi e aree protette.
“Uccidere per divertimento”, soltanto questo è la caccia oggi, “divertimento” che muove denari e voti. In conclusione è opportuno ricordare che nel 1990 si svolse un referendum per l’abolizione della caccia. Il referendum promosso da Verdi, Partito Radicale e Partito Comunista (meno lineare la posizione di quest’ultimo che raccolse le firme ma poi, sotto la pressione di Arcicaccia e sezione toscane, diede libertà di voto) non raggiunse il quorum. Votarono 20 milioni di italiani, raggiungendo il 43% degli elettori, i favorevoli all’abrogazione furono 18 milioni, pari al 92% dei votanti.