“Crescendo mi sono reso conto che quando si liberano degli spazi è bene andare ad occuparli, andare a portare la propria visione, il proprio punto di vista. Ci siamo un po’ tutti ridimensionati, no? Se non puoi fare la rivoluzione, però, fai qualcosa. Comunque”.
A parlare è Manuel Agnelli, leader degli Afterhours, tra le più importanti band indie rock italiane. Torniamo indietro di qualche anno; è la risposta ad una domanda sulle polemiche scatenate dalla partecipazione del gruppo al Festival di Sanremo del 2009, una decisione che aveva fatto storcere il naso ai fans storici della band.
Che c’entra Agnelli, vi starete chiedendo? Poco, evidentemente, se si esclude la passione di chi scrive per gli Afterhours: tuttavia, le sue parole – che trovo illuminanti, in questo passaggio – mi sono tornate in mente in queste ore, provando ad impostare una riflessione su quanto sta accadendo nell’asfittico mondo politico cittadino.
Di fatto, mancano due anni alle prossime elezioni comunali: un tempo lunghissimo, considerata la fase di incertezza che viviamo, eppure brevissimo in politica; tant’è vero che sono iniziati, e non da ieri, i riposizionamenti alla ricerca di nuovi equilibri possibili.
A far discutere è la presa di posizione del consigliere regionale Pierpaolo Pietrucci che, prima, ha deciso di rompere col Partito Democratico chiedendo di aderire al gruppo Misto in Consiglio regionale e, qualche ora dopo, ha fatto un passo indietro, annunciando la volontà di restare nel partito pur manifestando l'intenzione di fondare una associazione “per andare oltre le stanze di un partito”. Pietrucci ha sottolineato la necessità di “riavvicinarsi alla gente, alla vita reale, ai temi della quotidianità, ai problemi diffusi”; per questo, ha ribadito la volontà di far nascere un’associazione “che contenga anime plurali, mondi che non si riconoscono in una tessera di partito, che sono vicini alle idee progressiste e ai quali voglio dare la voce che meritano anche con un nuovo progetto editoriale, di comunicazione, informazione e orientamento democratico”.
Non intendiamo entrare nel merito di scelte che attengono anche ad una sfera personale, evidentemente.
Sta di fatto che la vicenda – condita, a valle, da riflessioni e prese di posizione oramai stantie, questo ci sia concesso, sui motivi della sconfitta elettorale del centrosinistra nel 2017, da richiami a consensi squisitamente personali, a ‘triadi’ e ‘biadi’ – non ha fatto altro che mettere in luce, di nuovo, i problemi antichi del vasto mondo progressista aquilano che, di fatto, fatica a trovare una rappresentanza capace di sintesi tra le diverse “anime plurali”, come le ha definite Pietrucci.
E qui riecheggiano le parole di Manuel Agnelli. Provo a spiegarmi, prendendola un poco alla larga.
Se è vero che il centrosinistra, nel 2017, si è sfaldato per spaccature interne mai sanate, è vero anche che Pierluigi Biondi, al ballottaggio, ha vinto con una proposta chiara, coerente ad una storia politica e capace di riattivare energie che sembravano sopite intorno ad un progetto fortemente identitario, oltre i limiti partitici. Si erano liberati degli spazi e Biondi è stato capace di occuparli, costringendo, di fatto, le forze del centrodestra a convergere sulla sua proposta. I risultati li valuteremo a fine legislatura: tuttavia, piaccia o no, il centrodestra alla guida della città, pur litigioso e attraversato da antichi rancori, pur proiettato ad accaparrarsi poltrone più che a dare risposte alle esigenze della città, mantiene un profilo identitario chiaro. All’Aquila, la destra non si nasconde, non si mimetizza: è destra, sovranista e nazionalista e su questi principi governa.
Altrettanto chiaro è il progetto politico che sta coltivando Americo Di Benedetto, una ‘terza via’ liberale e democratica, centrista: così l’ex presidente della Gsa, già sindaco di Acciano per 11 anni, ha ‘costruito’ la sua proposta a valle di una sconfitta che avrebbe potuto ‘cancellarlo’ dalla scena politica cittadina e che invece gli ha restituito la forza di raccogliere, e strutturare, una partecipazione attiva capace di attirare anche mondi liberali tradizionalmente di centrodestra. C’era uno spazio: Di Benedetto lo ha occupato, costruendo, così, la sua elezione a consigliere regionale e una prospettiva politica che avrà un peso importante, per alcuni decisivo, allorquando si tratterà di prepararsi alle comunali. Un terzo polo, che va già prefigurandosi se si presta la giusta attenzione alla mutevole scena politica cittadina, con cui bisognerà necessariamente fare i conti e che potrebbe trovare sponde insospettabili, al momento.
Al contrario, il mondo progressista – di sinistra, sebbene la parola suoni persino fuori moda – non è riuscito a delineare una proposta chiara, coerente, intorno a cui riscrivere un progetto capace di tenere insieme un campo storicamente variegato. Sarebbe inutile elencare le responsabilità, che sono diffuse.
C’è da ricostruire: lo spazio è ampio, va occupato portando “la propria visione, il proprio punto di vista” per tornare a Manuel Agnelli.
Non è questione di ‘contenitore’ ma di ‘contenuto’, non è questione di forma ma di sostanza. Che si tratti di partiti o di associazioni, lo spazio si occupa con le proposte, con una visione chiara e coerente, con un’agenda radicale che riattivi le energie intorno a principi valoriali riconoscibili, non dichiarata ma esercitata attraverso l’azione. E’ così che si può andare davvero “oltre le stanze di un partito” che non è altro che uno spazio, come altri, che vanno occupati: non ci sono scappatoie, non ci si può nascondere dietro presunte chiusure, le porte bisogna aprirle, pure forzandole, con la capacità di esprimere una proposta forte, incisiva. E lo ribadiamo, coerente con un universo valoriale che sia riconoscibile.
Sta qui la sfida.
Gli spazi non si costruiscono, si occupano. E lo si fa con lo scontro e col confronto. Non si può pensare che lo spazio sia dovuto, per un consenso personale che, tuttavia, resta tale se non è capace di esprimere progettualità condivisa; tantomeno si può pensare che vada ottenuto semplicemente reclamandolo, chiedendo un passo indietro a chi, evidentemente, uno spazio continua ad occuparlo con una capacità di proposta che, condivisa o meno, è praticata.
“Ci siamo un po’ tutti ridimensionati, no? Se non puoi fare la rivoluzione, però, fai qualcosa. Comunque”, dice Manuel Agnelli: ecco si inizi “a fare qualcosa”, a costruire, portando ciascuno il proprio punto di vista, la propria visione, senza paura di contaminarsi, abbandonando quei preconcetti che tengono chiusi in nicchie soffocanti, che possono anche dare il senso rassicurante del riconoscimento reciproco ma non contribuiscono alla costruzione di una proposta ampia, accogliente, plurale.
Ora o mai più, per usare uno slogan piuttosto abusato.