Lunedì, 10 Agosto 2020 14:01

Referendum sul taglio dei parlamentari: le ragioni per dire NO

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“Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore”.

Pericle, nel suo discorso agli ateniesi, già nel 431 a.C. ci insegnava che il cittadino non deve solo esercitare la sovranità popolare partecipando alle elezioni ma deve poi chiedere conto ai suoi 'delegati' di ciò che fanno nell'interesse comune, partecipando al dibattito pubblico. E' il senso stesso della cittadinanza attiva, su cui è basata la nostra Carta Costituzionale.

Parecchi anni dopo, il 4 luglio 1981, ad 11 mesi dalla strage della stazione di Bologna che arrivò al culmine della così detta strategia della tensione che era stata avviata il 12 dicembre 1969, a Piazza Fontana, viene rinvenuto il Piano di Rinascita Democratica, parte sostanziale del programma della loggia massonica P2 che, si scoprirà poi, aveva alimentato e persino finanziato lo stragismo come strumento di destabilizzazione delle istituzioni. Redatto da Francesco Cosentino, consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana dentro le spire di un autoritarismo legale. Così, s'intendeva soffocare la cittadinanza attiva.

Al punto 10 del Piano di Rinascita Democratica, si prevedeva la riduzione del numero dei parlamentari; leggiamo: "...nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco), riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato (…) diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale...".

L'abbiamo presa alla larga, ci rendiamo conto: tuttavia, la lunga premessa - da Pericle a Licio Gelli - ci serve per introdurre l'argomento, il referendum sul taglio dei parlamentari del 20 e 21 settembre, e per spiegarvi le ragioni del NO ad una misura populista che intende ridurre il numero di deputati e senatori senza che la riforma sia accompagnata da un ridisegno complessivo, e motivato, del bicameralismo. 

Un altro passaggio è d'obbligo: in questi giorni, ed in particolare in seno al Partito Democratico che, dopo essersi opposto per tre volte in parlamento votando contro la riforma costituzionale, in quarta votazione si è espresso in modo favorevole sulla base dell'accordo di governo col Movimento 5 Stelle, si stanno sollevando voci in contrasto con l'orientamento al SI che denunciano come l'intesa con i pentastellati prevedesse che il taglio dei parlamenti fosse accompagnato dall'abbassamento a 25 anni dell'elettorato passivo e a 18 di quello attivo per il Senato, dal superamento della base regionale per l'elezione dello stesso, dalla riduzione da 3 a 2 dei delegati regionali tra i grandi elettori per il Quirinale e, in particolare, dalla modifica della legge elettorale a tutela di interi territori che, altrimenti, sarebbero rimasti orfani, o quasi, di rappresentanza ed a garanzia che un parlamento ridotto nelle dimensioni non finisse con l'essere nominato dalle segreterie dei partiti. 

Non se ne è fatto nulla; tuttavia, non è questo il punto: le ragioni per dire di NO sono altre, e comunque ben motivate. 

Conosciamo le storture che si sono annidate intorno all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, sappiamo dei danni causati dalla sostituzione delle preferenze con liste chiuse e bloccate; ora, si vorrebbe tagliare il numero dei parlamentari sulla base della propaganda sui costi della politica. Ebbene, se vincesse il SI si risparmierebbero 57 milioni di euro, lo 0,006% della spesa pubblica italiana, più o meno un caffé a testa l'anno. 

Più o meno per un caffé, dovremmo essere disposti a tagliare 115 senatori e 230 deputati, portando il numero dei parlamentari da 945 a 600; i padri costituenti, nel 1948, avevano parametrato il numero dei parlamentari alla popolazione: 1 deputato ogni 80.000 abitanti ed 1 senatore ogni 200.000. La revisione costituzionale del 1963 ha fissato poi il numero totale a 945 (315 senatori, 630 deputati), corrispondenti oggi a 1 deputato ogni 96.006 abitanti e un senatore elettivo ogni 188.424. Se vincesse il SI al referendum per eleggere un deputato ci vorrebbero 151.210 elettori, anziché 96.006; per un senatore 302.420 anziché 188.424: il più basso livello di rappresentanza politica in rapporto alla popolazione dell'intera Unione Europea.

Si dimezzerebbe, così, la rappresentanza popolare in Parlamento. Una limitazione inaccettabile della sovranità.

D'altra parte, l’Italia è già uno dei Paesi europei col più basso rapporto tra popolazione e parlamentari, 1.6 parlamentari per 100mila abitanti: in Finlandia e Svezia la proporzione si attesta a 3.7, in Irlanda a 5.5, in Grecia a 2.6, nel Regno Unito a 2.4, in Belgio a 2. Con il taglio dei parlamentari, i cittadini del Lazio passerebbero da 1 deputato ogni 95.000 abitanti a 1 ogni 153.000 e da 1 senatore ogni 197.000 a 1 ogni 306.000; gli abitanti della Campania passerebbero da 1 deputato ogni 96.000 abitanti a 1 ogni 152.000 e da 1 senatore ogni 199.000 a 1 ogni 320.000. Gli abitanti dell'Abruzzo passerebbero da 1 deputato ogni 93.000 abitanti a 1 ogni 145.000 e da 1 senatore ogni 187.000 a 1 ogni 327.000. 

Eppure, quando all’articolo 1 della Costituzione si scrive che l’Italia è una “Repubblica democratica”, si dichiara una scelta e si evidenzia un valore: la democrazia. E la democrazia è il governo di molti e non di pochi che si esprime attraverso il voto, tornando a Pericle, e il legame tra elettore ed eletto delegato. L’invito che implicitamente ci rivolge la Carta Costituzionale è di essere cittadini partecipi e consapevoli.

Scrive il giurista Vincenzo Musacchio: "In questi anni è stato smantellato lo Stato sociale, è stato distrutto il diritto del lavoro, la sanità non più solidale e gratuita perché si è economizzata e pesa sulle spalle soprattutto dei più poveri. Lo smantellamento di tutti questi diritti è possibile solo se prima di tutto si smobilita la società, e cioè si indeboliscono i partiti, e i cittadini sono ridotti a spettatori davanti alle televisioni a guardare gli scontri fra i politici, che naturalmente si scontrano su questioni secondarie. Ciò che viene perseguito è prima di tutto la neutralizzazione del controllo dal basso, del radicamento sociale, e in secondo luogo la neutralizzazione dei limiti e dei vincoli dall’alto, e cioè da parte delle Costituzioni, perché le Costituzioni sono ormai scomparse dall’orizzonte della politica". Non avremmo saputo dirlo meglio.

Con questa riforma il Parlamento conterà sempre di meno, sarà per l’appunto una maggioranza di parlamentari, fortemente vincolati da chi deciderà della loro successiva elezione, a causa anche della disarticolazione sociale dei partiti, della loro neutralizzazione come fonti di legittimazione titolari delle funzioni di indirizzo politico, di controllo e di responsabilizzazione.

Sta qui il succo del ragionamento: si tratterà di scegliere tra la democrazia pluralistica costituzionale o l’involuzione personalistica e autocratica del sistema politico; piuttosto, si dovrebbe votare NO e poi pretendere che si torni alle preferenze affinché si compia in pieno il senso della cittadinanza attiva e si torni ad un sistema di effettivo controllo tra cittadino e delegato a rappresentarlo. 

Con l'attuale legge elettorale e con listini bloccati e candidati nominati, vincesse il SI i nuovi parlamentari sarebbero tutti indicati dalle segreterie di partito, sottraendo di fatto al Popolo sovrano totalmente il diritto di scegliersi i suoi rappresentanti. Deputati e senatori risponderebbero al segretario del partito e non più agli elettori. Eletto ed elettore non avrebbero più legami e ciò favorirebbe ancor di più il distacco dei cittadini dalla politica, ampliando l’astensionismo e il disinteresse nei confronti delle pubbliche Istituzioni, soprattutto del Parlamento, l’unico luogo dove il cittadino dovrebbe vedersi democraticamente rappresentato. Un Parlamento con meno eletti, per giunta nominati, creerebbe di fatto una nuova cerchia ristretta di potenti.

Non solo. Se la riforma dovesse passare, la rappresentanza politica sarebbe concentrata nelle aree più popolose del Paese, a scapito di quelle con meno abitanti, come l'Abruzzo. E tutto questo, per un caffé. 

 

 

Ultima modifica il Lunedì, 10 Agosto 2020 20:53

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