Martedì, 07 Settembre 2021 09:29

Casette post sisma: silenzio sulle 3500 abitazioni completamente abusive

di 

Un'altra sentenza, non è la prima, riaccende la luce sulle così dette 'casette provvisorie' costruite a seguito del sisma del 2009 in deroga all'ordinaria disciplina urbanistica ed edilizia così come consentito dalla contestata delibera 58

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un cittadino che aveva realizzato un immobile provvisorio in zona alluvionale, nella piana che costeggia la scuola della Guardia di Finanza a Coppito; nel 2011, il Comune dell'Aquila aveva emesso un'ordinanza di demolizione: il ricorrente aveva impugnato il provvedimento innanzi al Tar che, in primo grado, aveva riconosciuto le ragioni dell'Ente. Dunque, il ricorso in Consiglio di Stato con i giudici che hanno confermato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale: "Il divieto di edificazione in zona soggetta a pericolo alluvionale - in quanto afferente a un'area in cui l'interazione dell'attività edilizia con la dinamica dei corpi idrici è idonea a produrre una condizione di rischio sul territorio e quindi suscettibile di esporre a pericolo pure l'incolumità individuale - fa ritenere la zona interessata come compresa nel regime vincolistico di natura idrogeologica posto come limite all'edificazione dalla delibera 58 del 2009", si legge nella sentenza.

Come detto, in questi anni ci sono state altre sentenze che hanno ricosciuto le ragioni del Comune dell'Aquila laddove è stata avviata, soltanto avviata, un'attività ispettiva sui manufatti realizzati nel post terremoto. L'ultima attiene ad un manufatto adibito a sede di un'impresa a Sant'Elia. 

Nell'aprile 2018, il Comune dell'Aquila ha istruito l'ordine di demolizione contestando il fatto che la delibera poneva, quale condizione per la realizzabilità dei manufatti temporanei, un limite di superficie non eccedente i 95 metri quadrati; al contrario, "la superficie utile lorda del manufatto è pari a 147 mq". I legali dell'impresa, però, hanno impugnato l'atto sostenendo che "laddove pure vi fosse stato un superamento del limite massimo previsto nella delibera consiliare (e ammesso che lo stesso fosse applicabile anche ai manufatti adibiti ad uso ufficio industriale, anziché residenziale), ciò avrebbe potuto e dovuto comportare, al più, una demolizione parziale o una tombatura della porzione di manufatto eccedente, ma non anche la sua rimozione totale". 

Tuttavia, il Tar ha dato ragione al Comune dell'Aquila ribadendo che "la deliberazione consentiva l'installazione temporanea di manufatti - nel rispetto di tutte le condizioni previste nel provvedimento - sulla base del necessario presupposto che il cittadino fosse nella momentanea indisponibilità, a causa del sisma, dell'immobile occupato ante sisma a qualsiasi titolo, per residenza o attività ammesse nelle zone residenziali. Al riguardo - hanno aggiunto i giudici - non risulta dimostrato che l'immobile che la ricorrente ammette essere di sua proprietà non fosse, dopo il terremoto, agibile o comunque utilizzabile da parte dell'impresa, a nulla rilevando, dunque, la circostanza che, nel medesimo, la società non svolgesse alcuna attività operativa, posto che la delibera consentiva l'installazione di manufatti provvisori al solo fine di fronteggiare l'emergenza sismica, prevedendo espressamente la rimozione de manufatti in caso di cessazione dell'emergenza o di rilascio del certificato di agibilità dell'immobile danneggiato dal sisma". 

E qui sta il punto. 

3500 manufatti completamente abusivi

A dodici anni dall'approvazione della delibera 58, votata dal Consiglio comunale il 25 maggio 2009 e revocata, poi, nel dicembre 2010 - "il testo normativo peggiore che io abbia mai letto, non giustificabile col momento particolare in cui fu approvato, perché neanche in quei momenti gli organi pubblici possono perdere la testa" ebbe a dire Nicola Trifuoggi, già magistrato, vice sindaco del Comune dell'Aquila dal gennaio 2014 all'aprile 2017 - non esiste un censimento completo e consultabile delle abitazioni "provvisorie" realizzate a seguito del sisma, e per lo più abusive, costruite, cioé, senza rispettare il dettato normativo.

Dovrebbero essere almeno 4.640, una città nella città; di queste, soltanto 1.140 rispetterebbero i requisiti formali previsti, con la denuncia della costruzione presentata - come dettato dalla delibera - agli uffici tecnici del Comune, accompagnata da uno 'schizzo' di progetto e da alcune attestazioni riguardanti il costruito; le restanti 3.500 (circa) sarebbero, invece, completamente abusive, costruite senza alcuna comunicazione formale.

La delibera prevedeva espressamente che le 'casette' rispondessero alle esigenze dei cittadini per un massimo di 3 anni, a meno che gli sfollati non fossero nell'impossibilità di rientrare nell'abitazione danneggiata; inoltre, andavano rispettati alcuni requisiti tecnici: i manufatti potevano essere realizzati in alcune zone e non in altre, dovevano essere antisismici, ma sarebbero pochissimi quelli autorizzati dal Genio civile, e dotati di scarichi, evidentemente, e anche su questo ci sono evidenze di 'casette' che ne sarebbero prive.

Non solo.

Ci sono cittadini che hanno edificato delle vere e proprie ville, a più piani, con garage e, in alcuni casi, persino la piscina. C'è chi ha recintato il manufatto, chi l'ha affittato, ci sono famiglie che l'hanno venduto. E' accaduto per le 'casette' costruite e mai denunciate al Comune dell'Aquila e anche per alcuni dei manufatti 'temporanei' la cui costruzione è stata effettivamente comunicata.

Sono notizie emerse più di cinque anni fa, nel luglio 2016, in una Commissione 'Territorio'.

L'allora vicesindaco Trifuoggi aveva assicurato il pugno duro dell'amministrazione Cialente: "Non c'è altro modo di affrontare la questione se non in maniera uguale per tutti: il caso per caso, infatti, porta all'abuso. Dunque, l'intento della Giunta comunale è di far rispettare le normative vigenti, le ordinanze assunte dal Consiglio comunale, quelle emesse dagli uffici". In altre parole, le 3.500 'casette' provvisorie costruite senza alcuna comunicazione al Comune dell'Aquila sarebbero state abbattute, e così le abitazioni che, pur denunciate ai competenti uffici tecnici, non rispettavano il dettato della delibera 58.

Per i manufatti regolarmente denunciati, e costruiti in modo conforme alle norme, "si sarebbe potuto pensare ad una sanatoria", spiegò Trifuoggi.

Tuttavia, si comprese presto che la posizione assunta dall'allora vicesindaco non era pienamente condivisa dalla maggioranza di centrosinistra, stante anche le imminenti elezioni amministrative che si sarebbero celebrate a maggio 2017, tantomeno dai consiglieri dell'allora opposizione di centrodestra, e tra gli altri l'attuale presidente del Consiglio Roberto Tinari, che chiedevano, invece, una "sanatoria" per tutti in attesa dell'approvazione del Piano regolatore generale. Tant'è vero che l'argomento "casette" fu, in effetti, al centro della campagna elettorale, così come lo era stato, d'altra parte, nel 2012, allorquando l'allora candidato sindaco di centrodestra, Giorgio De Matteis, fu linciato per aver sollevato la questione. "Poco prima delle elezioni del 2012 - svelò tempo dopo De Matteis - ricevetti una telefonata dell'allora prefetto Giovanna Iurato: mi avvertiva che, qualora eletto, avrei dovuto rendere conto delle iniziative che avremmo messo in campo per risolvere il problema. Non ho motivo di credere che il Prefetto non abbia fatto la stessa telefonata a Massimo Cialente. Dunque, l'amministrazione sa tutto, fin da allora. Anzi, ci sarebbero i rilievi aereofotogrammatici della Forestale che ha censito i manufatti, dove sono, chi li ha costruiti e come. E' il momento che l'amministrazione assuma una decisione di responsabilità: chiederemo un Consiglio comunale straordinario sull'argomento", annunciò De Matteis a luglio 2016.

L'inerzia dell'amministrazione Biondi

Sta di fatto che più di cinque anni dopo - e a più di quattro anni dall'insediamento della Giunta guidata da Pierluigi Biondi - nulla si è mosso.

Ad inizio 2018, l'allora consigliera comunale della Coalizione sociale Carla Cimoroni depositò una interrogazione all'allora assessore Luigi D'Eramo "per fare il punto sulla situazione dei manufatti provvisori": all'assessore veniva chiesto "quanti sono quelli edificati in ossequio alla D.C.C. 58/2009 e quelli totalmente abusivi? In quanti casi i proprietari hanno ripristinato la propria abitazione e rimosso il manufatto, come prevedeva la Delibera? Quante sono, se ci sono, le richieste di regolarizzazione? E ancora, che attività di controllo hanno avviato gli uffici comunali, quante le ordinanze di demolizione e le denunce alla Procura della Repubblica? E' stato fatto un calcolo del gettito TARI, TASI e IMU relativo ai manufatti provvisori? E, infine e soprattutto, qual è la volontà dell'Amministrazione in merito all'esistenza di questi manufatti, che si intreccia pesantemente con le attività di pianificazione del territorio, di tutela del paesaggio e di miglioramento dei servizi?".

Mesi dopo la risposta della Giunta comunale che, in giugno, mise nero su bianco poche righe, spiegando che il numero di manufatti provvisori per i quali era stata presentata comunicazione, così come previsto dalla Delibera 58, era pari a 1.203; a quel giorno, erano stati rilevati 26 manufatti abusivi, per i quali erano state emesse le relative ordinanze di demolizione con contestuale segnalazione alla Procura della Repubblica. "Ad ogni buon fine - aggiunse D'Eramo - giova evidenziare che la presente costituisce una trasmissione parziale di dati rispetto a quanto richiesto, in quanto il riscontro necessita di tempi ragionevolmente lunghi, anche in considerazione della cospicua mole di documentazione derivante da una situazione di emergenza, con procedure non sempre organiche, e con dati, in alcuni casi, non presenti agli atti del Settore".

Nessun accenno ai manufatti costruiti in modo completamente abusivo. 

Eppure, con la precedente Amministrazione era stato almeno avviato un lavoro di ricognizione sui manufatti provvisori, in particolare nell'ambito della II Commissione presieduta da Enrico Perilli, una ricognizione che faceva parte anche dell'analisi alla base del documento preliminare al PRG, arenatosi in qualche cassetto; dati e informazioni, dunque, che sono da anni in possesso dell'Amministrazione. "Qui non si tratta solo di sciatteria amministrativa nella risposta - attaccò Cimoroni - ma di una vera e propria offesa all'intelligenza delle cittadine e dei cittadini. E ancora di più, nel continuare a fare melina sulla questione, è chiaro che si vuole attuare una strategia precisa che è la 'strategia dell'inerzia': intanto che non si dice e non si fa nulla, si ratifica in sostanza lo stato di fatto, senza neanche il coraggio di chiarire apertamente che si tratta di una scelta politica". 

Il tentativo di 'sanatoria'

Da allora, è tutto fermo: non si è mosso un passo per i migliaia di manufatti completamente abusivi, non è dato sapere se siano stati conclusi i controlli sulla effettiva congruità delle 'casette' denunciate, e tantomeno che fine abbiano fatto le 26 ordinanze di demolizione istruite dall'amministrazione attiva. Piuttosto, si è tentato di introdurre una sorta di 'sanatoria': il vice presidente vicario del Consiglio regionale, Roberto Santangelo, ha proposto e fatto approvare un emendamento al progetto di legge sulle “Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali in materia urbanistica”.

“I comuni abruzzesi delle aree dei crateri sismici 2009 e 2016, nell’ambito della propria potestà pianificatoria e regolamentare in materia - si leggeva nella proposta emendativa - possono adeguare i rispettivi strumenti urbanistici, anche in deroga al limite di dimensionamento dei piani, al fine di ricomprendere in aree edificabili, i lotti interessati da strutture a manufatti temporanei realizzati a seguito degli eventi sismici, a condizione che gli stessi siano conformi a titoli autorizzativi e/o comunicazioni previsti ovvero alla normativa emergenziale emanata a seguito degli eventi sismici. L’adeguamento in deroga è limitato alle volumetrie effettivamente realizzate”.

Un provvedimento contestato dai consiglieri regionali aquilani Pierpaolo Pietrucci (Pd) e Americo Di Benedetto (Legnini presidente) che hanno sottolineato come la norma introducesse una sorta di sanatoria mascherata. "La norma - spiegò Pietrucci - introduce una surrettizia sanatoria edilizia attraverso procedure urbanistiche. Contrasta con la normativa statale in materia di titolo abilitativo ed introduce una inammissibile sanatoria regionale ex lege. Eccede dunque dalle competenze regionali poiché la norma di previsione del titolo abilitativo in sanatoria è di competenza esclusivamente statale. Eccede la competenza regionale in materia di territorio di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione. La mancata rimozione delle casette post terremoto dopo il ripristino dell'agibilità dell'edificio del titolare, assume anche rilievo penale, la cui sanatoria non è materia concorrente. La sanzionabilità penale, surrettiziamente aggirata dalla norma regionale, è di esclusiva competenza statale".

Ed in effetti, il Consiglio dei Ministri - su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia - a dicembre 2020 ha deciso di impugnare la legge della Regione Abruzzo costringendo l'Ente a riscrivere la norma, in quanto le disposizioni contenute negli articoli 5, 7, 10, 18, 19, 23 e 25, violavano previsioni statali che costituiscono norme interposte e risultano così invasive della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, abbassando altresì il livello della tutela dei predetti interessi determinando la violazione dell’articolo 9 della Costituzione, oltre a contrastare con norme di principio in materia di governo del territorio.

In particolare, l'articolo 23 della Legge urbanisica approvata dalla maggioranza di centrodestra era proprio l'emendamento proposto da Santangelo e che intendeva introdurre l'atto d'indirizzo sulle così dette 'casette' provvisorie.

"La questione va affrontata nel contesto più ampio della nuova pianificazione comunale, finita però nell'oblio dei cassetti", ribadirono Pietrucci e il capogruppo del Pd in Consiglio comunale Stefano Palumbo all'indomani della impugnazione. "Che lo facciano semplicemente per mancanza di conoscenza di norme e procedure oppure più cinicamente con l’obiettivo di dare facili speranze ai cittadini e far passare per cattivo chi è chiamato per ruolo a bloccare i loro scempi normativi, è ormai consuetudine della destra al governo regionale e comunale amministrare in spregio a qualsiasi regola. L’avventurismo politico di una classe dirigente mediocre e arrogante, che sfida le regole e le leggi dello Stato di diritto, non fa altro purtroppo che produrre illusioni e generare confusione tra i cittadini".

È esattamente il caso del "traballante emendamento" proposto dal consigliere Santangelo "che, dopo avere generato un’aspettativa tra la popolazione aquilana ha scontato la valutazione negativa degli organi competenti. E' evidente che la questione delle 'casette', più complessa di quanto Santangelo ha provato a far credere, va affrontata nel contesto più ampio della nuova pianificazione comunale, finita però nell'oblio dei cassetti. Far credere dunque in queste condizioni che si stia lavorando per risolvere il problema significa semplicemente prendere in giro i cittadini".

Una questione che, invece, può e deve essere risolta attraverso un percorso serio che, attraverso il nuovo piano regolatore, le norme e gli strumenti urbanistici necessari e la condivisione interistituzionale tra comune e provincia consenta solo laddove possibile e coerentemente con un’idea di assetto urbanistico per il nostro territorio di mettere mano, una volta per tutte, al problema. 

Ultima modifica il Venerdì, 12 Novembre 2021 11:20

Articoli correlati (da tag)

Chiudi