Mercoledì, 22 Settembre 2021 09:07

Bonaccini all'Aquila: "Con la pandemia, il vento sovranista e populista ha perso di intensità. Ora tocca a noi giocare una sfida e provare a vincerla"

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E’ arrivato nel pomeriggio di ieri, all’Aquila, Stefano Bonaccini, dopo aver fatto tappa a Sulmona e prima di chiudere il suo ‘tour’ abruzzese all’Aurum di Pescara; all’Emicilo ha presentato il suo ultimo libro, “Il paese che vogliamo. Idee e proposte per l’Italia del futuro”.

Un libro in cui Bonaccini non parla mai, o quasi mai, degli avversari politici, concentrandosi, invece, su quello che dovrebbe fare il suo campo politico, il centrosinistra. “Non mi piace una classe dirigente che quando si presenta alle elezioni parte dicendo ‘quanto fanno schifo gli altri’, anche perché c’è una questione mica banale da tenere in considerazione: chi li ha votati, gli altri, e magari ha persino interesse a capire se può scegliere te, potrebbe persino offendersi. Io penso che bisogna avere il coraggio di dire ciò che si vuol fare”.

Con questo spirito, “ho voluto provare ad indicare alcune soluzioni che, messe in campo in Emilia Romagna, potrebbero servire anche per il paese. Se introduciamo la lingua inglese in 74 asili nido e scuole materne, e poi in tutti gli istituti nei prossimi due anni, non è un tema dell’Emilia Romagna ma credo dovrebbe diventare una politica nazionale. Ho provato ad offrire un po’ di idee, di profili di governo con la convinzione che non è mica vero che abbiamo già perso le prossime elezioni politiche: anzi, se devo dirvi la verità, ci vedo una partita aperta mai come oggi. Dopo le amministrative di ottobre conteremo i voti: guai a guardare i sondaggi, ma credo che nelle città scopriremo qualcosa d’altro. Penso che il centrosinistra abbia sui territori una classe dirigente molto più robusta di quello che ci raccontiamo e forse un po’ più robusta di una destra che fa fatica a trovare profili di grande forza e credibilità”.

Per questo, “ho detto a Letta – aggiunge Bonaccini – che nel gruppo dirigente nazionale servirebbero più amministratori locali, e ne abbiamo di molto bravi: gli amministratori sono quelli che debbono dare risposte ogni giorno ai cittadini; a volte, sento in tv qualche dirigente nazionale del mio partito – qualcuno eh, mica tanti – e quando ha finito di parlare mi chiedo: da quanti anni non va in un bar, in un mercato, in una scuola?”.

L’Emilia Romagna, in questi anni, ha scommesso sull’innovazione robotica, digitale, tecnologica, guardando al lavoro del futuro più che alle strette contingenze e puntando, per esempio, sul Centro meteo Europeo che si è insediato al Tecnopolo di Bologna portando con sé 1500 ricercatori da tutta Europa e sui big data, con uno dei 5 super computer di calcolo europei che permetterà alla regione di avere l’83% della capacità di calcolo italiana e il 21% europea. “Il Pnrr va nella giusta direzione perché i due pilastri sono la transizione ecologica e la transizione digitale; mi permetto un consiglio non richiesto: mi auguro che Draghi rimanga al Governo fino alla fine della legislatura., guai andassimo verso una instabilità. E fossi nel Pd, proverei a farmi riconoscere come la forza politica che più ha aiutato Draghi: se le cose andranno come auspichiamo, questo è il governo che ci porterà fuori dalla pandemia sanitaria facendo ripartire il Pil a ritmi che non immaginavamo. Tornando al lavoro, mettetevi il cuore in pace: la gran parte dei vostri nipoti farà lavori che oggi non esistono. E sono tutti derivanti dall’innovazione tecnologica, robotica e digitale. Noi non possiamo competere sul costo del lavoro, possiamo competere sulla qualità di ciò che si progetta e si produce: l’investimento va fatto sugli strumenti che servono al mondo delle imprese e della ricerca per creare lavori che sostituiscano quelli che perderemo. In questo senso, i big data sono funzionali allo studio della climatologia così come alla telemedicina”.

A proposito di sanità, l’Emilia Romagna già dieci anni fa, con Vasco Errani, scommetteva sulle case della salute, oggi nel Pnrr case della comunità, come presidio sul territorio: ce ne sono 120 e altre 40 già finanziate. “La pandemia ha dimostrato che ci vuole una sanità pubblica di qualità e territoriale. Certo, anche da noi le case della salute vanno migliorate: va messo a punto il rapporto con i medici di medicina generale, con l’associazionismo e il volontariato socio-assistenziale, ma è il futuro. Poi c’è l’assistenza domiciliare e anche l’Emilia Romagna deve fare dei passi in avanti da gigante: l’Italia ha il 4% di assistenza domiciliare, con gli investimenti previsti nel Pnrr si presume di arrivare al 6-7% su una media Ocse che si attesta al 6%. La Svezia e la Germania fanno il 9%. Arrivano 20 miliardi per la sanità pubblica: devono andare sugli investimenti, su ciò di cui stiamo parlando. Noi siamo per l’iniziativa privata: la storia del ‘900 dice che chi ha provato a dare lavoro solo attraverso lo Stato ha drammaticamente fallito; tuttavia, pensiamo che lo Stato debba garantire – a proposito dei motivi che ci rendono diversi dagli altri – il diritto alla salute e all’istruzione, a chiunque, indipendentemente che sia povero o ricco”.

Tornando alla politica, Bonaccini nel libro lascia spiega chiaramente come il Pd debba porsi l’obiettivo di essere il perno di una nuova alleanza di centrosinistra; un po' come è accaduto in Emilia Romagna, al momento della sua rielezione: lì, si è costruita una intesa con le forze sociali, con movimenti e associazioni civiche. Ma come si costruisce un profilo largo, civico-politico?

“Se mi chiede da cosa siamo partiti, debbo dirle che c’era un gran numero di persone che mi dicevano: noi vorremmo aiutarvi ma nei partiti non ci vogliamo stare. Un civismo che non voleva essere solo protesta ma anche proposta. Per la prima volta, dunque, abbiamo dato vita ad una lista civica col mio nome e, da noi, non è una abitudine. Così come non era abitudine votare un candidato e non le forze politiche di riferimento: ho preso 1 voto su 4 da persone che hanno messo la croce sul mio nome o sulla lista che portava il mio nome. Non so se sia un bene in sé, ma abbiamo provato ad allargare la coalizione oltre il centrosinistra e debbo darne atto alle forze politiche d’area, a partire dal Pd che sapeva avrebbe rischiato di pagare un prezzo. Sa come è andata, però? Il Pd è tornato ad essere il primo partito: quando sei generoso, e ti metti al servizio degli altri, la gente te lo riconosce. Certo, avevamo un vantaggio: venivamo da una legislatura in cui avevamo governato con una coalizione diversa da quella nazionale, con le forze così dette di sinistra radicale; ebbene, noi non ci siamo mai divisi una mezza giornata. Ci siamo detti: se dobbiamo litigare, facciamolo chiusi in una stanza e stiamo lì anche due giorni ma si esce con una posizione condivisa. Pare stia andando benino anche questo primo anno e mezzo del secondo mandato”.

Coalizione allargata sì, ma non a tutti i costi: “Io ho chiesto ai 5 stelle di stare al tavolo ma non hanno voluto neanche sedersi: l’ultimo anno di governo avevano votato tutti i nostri provvedimenti più importanti, era nato da poco l’esecutivo giallo-rosso e ho pensato che sarebbe stato interesse anche loro cementare in una regione la sfida di governo. Non è andata così, ma li avevo avvertiti: vi vengo a prendere i voti uno a uno a casa vostra; ebbene, avevano preso il 28% alle politiche un anno e mezzo prima: il candidato contro di noi si è fermato al 3 e mezzo per cento. D’altra parte, si votava a turno secco: avrei vinto io o la Bergonzoni: ci sono stati consiglieri regionali pentastellati che hanno fatto dichiarazione di voto disgiunto. Altri hanno espresso un voto secco sul mio nome. Avranno pensato che era più rassicurante un certo tipo di governo piuttosto di un altro. Detto questo, se il M5s confermerà l’impostazione di questi mesi diventerà un alleato naturale; penso, però, che sia prematuro parlare di alleanze per le politiche: piuttosto, dobbiamo precisare un poco meglio il nostro profilo. Nei giorni scorsi ho presentato il libro alla Festa dell’Unità di Modena con Romano Prodi: ci siamo detti che il Pd sta assumendo posizioni giuste sui diritti civili, dalla cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia al ddl Zan, ma è necessario sia più determinato sui diritti sociali, a partire dal lavoro, alla sanità, alla scuola e all’ambiente. Se vuoi essere una forza mai populista ma un poco più popolare bisogna che su quei temi devi identificarti”.

Bonaccini è tra coloro che pensa che, alle elezioni politiche, il Pd dovrà essere perno di una coalizione larga di centrosinistra a patto che abbia la forza di restituirsi una identità forte e riconoscibile; “spero, però – aggiunge – che se le amministrative andranno come speriamo, a Roma non si convincano che basta unire Pd, 5 stelle e Articolo Uno per aver già vinto. Nel paese, credo anche in Abruzzo e all’Aquila, ce ne sono tanti che non si definiranno mai di sinistra ma che prima di votare una destra sempre più sovranista e anti-europeista ci penseranno dieci volte; per non farli stare a casa, bisogna che noi gli offriamo un progetto politico chiaro che pensi al domani. Lo ripeto: non è affatto scontato che la destra abbia già vinto; con la pandemia non si è fermato il vento populista e sovranista, ma si è molto ridotto di velocità: ora tocca a noi giocare una sfida e provare a vincerla”.

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