Mercoledì, 15 Giugno 2022 13:55

C'è chi vince e c'è chi perde (male): per una analisi delle amministrative all'Aquila

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Ha vinto, anzi stravinto, Pierluigi Biondi; hanno perso Stefania Pezzopane e Americo Di Benedetto; all'Aquila, il centrodestra si attesta poco sotto il 60% con l'ampio fronte progressista che si ferma al 40%.

Pare persino banale, e forse lo è, ma una vera analisi delle amministrative non può che partire da qui, dal riconoscere - in poche parole - la portata del voto del 12 giugno; non ci sono distinguo, spiegazioni, puntualizzazioni, letture elettorali che tengano dinanzi alla proporzione di una sconfitta storica per il campo democratico e progressista.

Vince, anzi stravince, il sindaco uscente: con le liste fortissime, oltre il 58%, Biondi arriva al 54%, tenendo rispetto alla spinta propulsiva della coalizione pur andando sotto di una percentuale che, tuttavia, è assolutamente fisiologica 'a quelle altezze'. Fratelli d'Italia, di cui il sindaco è coordinatore provinciale, si attesta al 20,46%, giusto qualche punto percentuale sotto l'intera coalizione di centrosinistra; e se alle preferenze di FdI aggiungiamo i voti ottenuti dalla civica del primo cittadino, Civici e indipendenti con Biondi sindaco, arriviamo al 27% di voto strutturato riconducibile al sindaco della città. 

Più chiaro di così. 

Tiene la Lega, al 12%, c'è l'exploit dela civica L'Aquila futura che arriva a superare l'8%, poco sotto il Pd, ma Biondi ha di fatto 'cannibalizzato' la sua ampia maggioranza; la sua posizione, in Consiglio comunale, pare davvero blindata.

Una vittoria che è andata oltre le aspettative. 

Definirne la dimensione non è semplice; è evidente che c'è un vento nazionale favorevole al centrodestra, e a Fratelli d'Italia in particolare. E' altrettanto chiaro che L'Aquila è 'propensa' ad affidare un secondo mandato al sindaco uscente; tra l'altro, la città tende storicamente verso un'area politica conservatrice. Inoltre, va registrata - a livello nazionale - la vittoria di un gran numero di sindaci uscenti che sono stati chiamati a gestire l'emergenza pandemica sofferta dal paese in questi anni.

Non solo.

Biondi, nei cinque anni di mandato, ha saputo 'tessere' una profonda rete di interessi e relazioni, con una rigida applicazione dello spoils system a tutti i livelli; la gestione del Pnrr, negli ultimi mesi di consiliatura, ha consentito, poi, una serie di operazioni elettoralmente utili a radicare il consenso.

Il tutto 'condito' da una comunicazione efficace e pervasiva. 

E poi, il centrodestra ha avuto la forza di ricompattarsi - o almeno, di mostrarsi pubblicamente compatto - nell'ultimo anno di mandato, lanciando la ricandidatura di Biondi già dal mese di ottobre, iniziando a lavorare alla strutturazione delle liste, e ad allargare la coalizione oltre i confini tradizionali, mesi prima del centrosinistra che, nel frattempo, si frantumava pubblicamente tra fughe in avanti, contrapposizioni, tavoli di concertazione e litigi. 

Ciò non basta, però, a restituire appieno i motivi di una vittoria così schiacciante. 

I numeri dicono che, di fatto, il centrodestra - ci consentirete la metafora sportiva - ha vinto la partita ancor prima del fischio d'inizio.

E' vero: la divisione del campo progressista non ha aiutato.

La candidatura di Americo Di Benedetto, pur premiata dal punto di vista del voto 'personale', dimostra, una volta di più, che esperimenti civici, certo ben strutturati ma fuori da una dimensione coalizionale forte, faticano ad imporsi e rischiano, nel tempo, di dimostrarsi velleitari. Indubbiamente, una proposta politica di respiro amministrativo, de-ideologizzata, fa presa su una parte dell'elettorato - lo dimostra il risultato ottenuto da Di Benedetto, lo ha dimostrato Calenda a Roma - ma per arrivare al 50%+1 dei voti, o almeno ai ballottaggi, ci vuole anche altro. 

La candidatura di Stefania Pezzopane, d'altra parte, è stata bocciata dagli elettori, oltre i meriti e i demeriti della deputata Pd; la sua proposta politica è stata vissuta come un ritorno al passato assolutamente dissonante rispetto alla necessità di un rinnovamento, di un profondo cambiamento che la comunità democratica e progressista evidentemente si attendeva. Dall'elettorato è arrivato un messaggio chiarissimo, e non si può far finta di nulla.

Tuttavia, è intellettualmente onesto dirsi che una candidatura unitaria - pure auspicata - costruita a pochi mesi dal voto non avrebbe potuto ribaltare rapporti di forza così sbilanciati; certo, si sarebbe potuto - e dovuto - ricompattare il campo e, forse, un percorso comune avrebbe seminato il terreno per gli anni a venire, ponendo le basi per una vera ricostruzione del fronte progressista; al contrario, oggi ci si ritrova tra la macerie, in una condizione persino peggiore del 2017. 

Dal punto di vista del risultato elettorale, però, probabilmente sarebbe cambiato poco.

Una sconfitta tanto dolorosa è maturata nei cinque anni che ci lasciamo alle spalle, col centrosinistra che si è dimostrato incapace di fare i conti con la vittoria, inattesa, del centrodestra alle amministrative del 2017, di analizzare politicamente ciò che era accaduto e di ripartire, provando a costruire una proposta alternativa credibile che, a valle, avrebbe reso più semplice individuare il candidato sindaco giusto per interpretarla.

Ecco, questo è mancato: il fronte progressista, in senso ampio, non ha mai dato l'impressione di avere un'idea di città altra, su cui sfidare la destra e con cui ricostruire una connessione col proprio elettorato. 

Nei cinque anni di governo, il sindaco Biondi e la sua maggioranza sono 'penetrati' in profondità nel tessuto sociale e culturale, hanno costruito una narrazione che ha fatto presa, oltre i risultati amministrativi effettivamente raggiunti (avrete notato che alcuni assessori comunali uscenti, e alcuni personaggio di spicco del centrodestra cittadino, sono stati sonoramente bocciati), condita di un certo populismo, di una buona dose di identitarismo, di una sapiente rappresentazione del 'fare' a dispetto di una carente capacità programmatoria e pianificatoria. 

L'opposizione, anzi le opposizioni, dentro e fuori il Consiglio comunale - se si esclude l'apprezzabile lavoro individuale di alcuni consiglieri, rieletti con un numero importante di preferenze - non sono state in grado di incalzare la maggioranza e, peggio ancora, non hanno saputo contrapporre un'altra idea di città alla destra di governo. E le responsabilità sono evidentemente diffuse.

E' mancata la capacità di confronto, di ascolto e di proposta, sono venuti meno i luoghi della partecipazione - cancellati scientificamente dal centrodestra, mai alimentati dal centrosinistra - e il dibattito pubblico si è spento, giorno dopo giorno, in una città che, nell'immediato post sisma, aveva mostrato una straordinaria vitalità.

Intanto, il centrodestra occupava i posti di potere, si radicava nei luoghi della cultura, dello sport, dell'associazionismo diffuso, dava fiato ad una narrazione mai critica, unidirezionale, dall'alto in basso. E' stato agevole, così, costruire una coalizione di liste strutturate, con candidati consiglieri che, sui territori, hanno fatto incetta di preferenze; è stato facile restituire la sensazione di una vittoria quasi scontata che, di riflesso, ha scatenato una corsa alle candidature, attirando il voto di chi, alle amministrative, affida la propria preferenza a chi si pensa possa vincere, in un meccanismo tanto banale quanto pervasivo. 

Oggi il centrodestra è maggioritario in città, ha una classe dirigente giovane e strutturata, la capacità di fare sintesi oltre le palesi conflittualità, e si ritroverà a gestire per i prossimi cinque anni risorse ingentissime, come mai se ne erano viste sul territorio per il rilancio economico e socio-culturale. Se il fronte progressista non reagirà, e subito, si rischia davvero che la destra possa governare la città per altri quindici anni, e non per i cinque della consiliatura che sta per aprirsi.

Per farlo, va innanzitutto riconosciuta la sconfitta nella sua reale dimensione: indiscutibile, inequivocabile, durissima. Va poi avviato un reale, profondo rinnovamento che non è più rinviabile. Va ricostruita una classe dirigente credibile, che sia in grado di offrire un'alternativa vera agli elettori, chiara nei valori e radicale nelle proposte, senza infingimenti, che parli di futuro. Vanno aperti luoghi di confronto e partecipazione, recuperando il rapporto con il territorio, abbandonato negli anni, e tornando a confrontarsi con i problemi reali delle cittadine e dei cittadini. Vanno messe da parte le aspirazioni personali, per la costruzione di un progetto collettivo che sia in grado di ri-stimolare l'attivismo diffuso.

Alternative, non ce ne sono. 

 

 

Ultima modifica il Giovedì, 16 Giugno 2022 09:16

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