Sabato, 24 Giugno 2017 11:53

Il mio Rodotà e la scuola della coerenza

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Correva l’anno 1991 e conobbi Stefano Rodotà.

Avevo conseguito da poco il master in Scienze della Comunicazione e fui invitato dalla direttrice didattica ad essere uno dei soci fondatori dell’Associazione di cultura della comunicazione che prese il nome di CORRENTI. Tra i fondatori, oltre a Stefano Rodotà, c’erano Federico Spantigati, Maurizio Costanzo, Piero Trupia, Umberto Eco, Giuseppe De Rita ed altri luminari di quel mondo che stavo conoscendo e che mi stava accettando e stimolando come giovane professionista.

Io ero affascinato e non mi perdevo mai un incontro, una lectio magistralis, un seminario. Registravo i dibattiti su un piccolo registratore a cassette e poi riascoltavo, sbobinavo e studiavo le loro citazioni sempre illuminanti. Ho un'intera sezione della mia biblioteca piena dei libri studiati a seguito delle loro citazioni.

Stefano Rodotà aveva un fascino austero insieme ad una straordinaria eleganza del linguaggio, sempre ricco e diretto. Ho rivalutato lo studio del latino: per capire bisogna ascoltare la frase fino in fondo. Ricordo un dibattito informale tra Rodotà e Spantigati (anche lui venuto a mancare alcuni anni or sono) sulla preghiera; secondo Spantigati la preghiera è un rito e ciascuno di noi sceglie il suo rito: lui aveva scelto la rassegna stampa di ogni mattina. Secondo Rodotà, invece, la preghiera ha un’accezione esclusivamente religiosa e, pur essendo un rito, deve essere ricondotta alla fede; per Spantigati, la fede non poteva che essere nell’informazione, per Rodotà credere nell’informazione non era un atto di fede.

Erano sempre d’accordo sul metodo, sul dibattito e sullo scambio serrato di opinioni, basato sull’ascolto attivo e ricco di citazioni: gli stimoli per me erano infiniti, non avrei voluto fare altro che studiare. Mai un giudizio personale ma sempre una domanda di approfondimento; la scoperta della maietutica e poi una mia desunzione dopo una giornata di studio: la scoperta della scuola situazionista con i riferimenti mai esplicitati a Gui Debord. Per me era come andare alla caccia del tesoro, un tesoro che trovavo ogni volta e che, ogni volta, mi dava le tracce per andare a cercarne un altro.

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In CORRENTI gettammo le basi per teorizzare la comunicazione attraverso il comportamento fino ad organizzare una giornata di studio con Paul Watzlawick che portò una testimonianza il cui ricordo mi emoziona ancora. L’etica vista come scelta culturale, come linea guida di coerenza tra immagine e comportamento, fu folgorante: era la chiave di lettura di ogni analisi di scenario, di ogni modello analitico di individuazione di tendenze, di previsioni.

Così venne fuori la lettura dei “periodi” storici in Italia. L’Italia cambia ogni vent’anni. Illuminante, pensateci, per ogni previsione futura. Era il 1991. Nel 1992 i noti eventi in cui fu chiaro che la pubblicità e l’immagine potevano essere utilizzati per nascondere i comportamenti (parlo di tangentopoli, tanto per inquadrare il periodo). Allora fu deciso di cambiare il nome dell’associazione in CORRENTI 1991 per evidenziare che l’importanza della coerenza tra immagine e comportamento era stata teorizzata da noi oltre un anno prima che la questione esplodesse in maniera così evidente.

In tutti quei dibattiti, profondi, ricchi, entusiasmanti, era spesso presente Stefano Rodotà ed era diffusa l’abitudine di ascoltare la teorizzazione dei “maestri” che, sempre, chiedevano a noi di presentare i nostri lavori. Tutti pretendavano di essere chiamati per nome. Sulla scuola del comportamento, presentai un lavoro basato sull’opportunità di creare un’alternativa alla globalizzazione mettendo in rete le identità locali. Non è glocal. Lo definimmo insieme “multilocale”; fu pubblicata da Franco Angeli.

Per me pensare a Stefano Rodotà significa pensare ad un intero mondo ricco di una ricchezza inestimabile, ricco di insegnamenti, di rigore, di coerenza, di studio, di analisi; ricco di quello sforzo mai sopito di capire fino in fondo con onestà intellettuale offerta, donata a tutti indistintamente senza mai chiedere null’altro che rispetto delle idee. Noi più giovani di quel gruppo non siamo stati capaci di continuare: qualcuno dice banalmente che sono cambiati i tempi, io credo più concretamente che le posizioni coerenti siano troppo costose.

Con Stefano Rodotà scompare un mondo, scompare il mondo in cui io sono cresciuto professionalmente ed in cui ho costruito le mie basi umane e culturali. Resto orfano di un padre culturale e, contemporaneamente, non posso che essere felice di aver avuto l’opportunità di conoscerlo. Il mio saluto a lui non può essere altro che grazie.

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