di Laura Mastracci - Condannati perché omosessuali. E' successo in Tunisia, a Kairouan, dove sei studenti universitari sono stati condannati per “pratiche omosessuali” a tre anni di prigione e cinque anni di interdizione dalla città. Erano stati arrestati lo scorso novembre, dopo una denuncia nei loro confronti, fatta da alcuni vicini.
I ragazzi hanno ammesso di essere omosessuali e la condanna che hanno avuto è la più severa ai sensi dell'articolo 230 del codice penale tunisino. “Anche la misura di interdizione - ha precisato Boutheina Karkni, il loro legale - è prevista dal codice penale e sarà applicata alla fine dei tre anni di prigione”. L'avvocato ha inoltre denunciato “l'esame dell'ano” che gli studenti hanno subito, durante il carcere preventivo, pratica considerata “disumana e degradante”. E' stato presentato appello e un nuovo processo inizierà nelle prossime settimane a Sousse.
La vicenda fa discutere anche a livello internazionale e le organizzazioni non governative (ONG) sono sul piede di guerra: "Nessuno dovrebbe essere imprigionato a causa del proprio orientamento sessuale", ha affermato Amnesty International.
Nonostante l'indignazione del mondo occidentale, quanto appena descritto sembra essere quotidianità in un Paese come la Tunisia, in cui l'ordinamento giuridico è ostile, seppur nessuna legge condanni apertamente il sentimento tra persone dello stesso sesso.
L'articolo 230 del codice penale, in vigore dal 1913, recita infatti “La sodomia è punita con tre anni di carcere”. Al contrario, la Costituzione negli articoli 21 e 24 si pronuncia così: “I cittadini e le cittadine sono uguali in diritti e doveri. Sono uguali davanti alla legge, senza discriminazioni” e “lo Stato protegge la vita privata, l’inviolabilità del domicilio, la confidenzialità delle corrispondenze, delle comunicazioni e delle informazioni personali”.
Questa situazione paradossale non sembra risolversi, nonostante da anni la comunità Lesbiche Gay Bisessuali e Transessuali (LGBT) lotti, soprattutto attraverso il web, per veder riconosciuti quei diritti comuni al resto della popolazione.
Oltre a interdizioni dal punto di vista giuridico e difficoltà sconosciute agli altri membri della società, tra cui l'impossibilità di prestare servizio nelle forze armate o il mancato permesso di donare il sangue, ci si trova spesso di fronte a casi di violenze da parte di privati cittadini nei confronti di persone omosessuali.
Dopo la rivolta del 2011, infatti, sono stati 13 gli omicidi di membri della comunità LGBT, uccisi per decapitazione. Non è stato possibile risalire ai colpevoli, ma il metodo utilizzato fa pensare si tratti di fanatismo religioso.
Oltre all'ostilità delle istituzioni, quindi, si aggiungono le violenze ad opera dei cittadini, facilmente insabbiate dalla stessa famiglia della vittima. In gran parte del Paese, infatti, avere un parente con determinate preferenze sessuali è visto come un'onta.
Sono evidenti, a questo punto, le contraddizioni ad opera dello Stato e delle famiglie, che cercano di coprire l'omosessualità dei figli con matrimoni combinati gay-lesbica mentre mostrano al mondo tolleranza e progresso con film pluripremiati a sfondo LGBT.
La situazione, in una nazione che si trova a pochi chilometri dalle nostre coste, perciò, risulta controversa. Uno Stato diviso in due: da un lato, molti cittadini che, aiutati dalla legge, cercano di reprimere le diverse preferenze sessuali con violenze e silenzi omertosi; dall'altro lato, la comunità omosessuale si mostra pacificamente agguerrita nel tentativo di far comprendere al proprio Paese che non si può scegliere chi amare.