Alla fine dell'anno passato, sul quotidiano 'Il Centro' è stato pubblicato un articolo che fotografava, a quel momento, lo stato delle iscrizioni alle Università abruzzesi per l'anno accademico 2015-2016.
Un articolo che ha fatto molto discutere.
Al 17 dicembre 2015, infatti, l'Univaq si attestava a 15.065 iscritti, con poco più di 3mila immatricolazioni. Con una tendenza piuttosto chiara: poco meno della metà degli iscritti frequentano corsi di laurea di area scientifica, con 6185 ragazzi [2564 femmine e 3621 maschi]. A seguire, i corsi di laurea di area sociale, con un totale di 3965 iscritti: 2962 ragazze e 1003 ragazzi. E, fino a quel momento, le immatricolazioni seguivano lo stesso trend.
Numeri non certo confortanti, senza dubbio. Seppure fossero ancora provvisori. “Sono numeri altamente provvisori e incompleti”, aveva spiegato a NewsTown la rettrice Paola Inverardi. “Infatti, è possibile iscriversi ancora nel 2016, per gli studenti fuori corso il termine ultimo è fissato al luglio prossimo”.
Non solo. I dati pubblicati sulle pagine de 'Il Centro' "fanno riferimento ai dati completi alle iscrizioni - ha sottolineato Inverardi -, in altre parole, alle pratiche già completate e registrate". Molte altre dovevano essere ancora perfezionate.
I numeri precisi, insomma, saranno disponibili alla metà dell'anno.
Eppure, il vento delle polemiche è tornato a spirare, di nuovo, qualche giorno fa, a seguito di un comunicato stampa della senatrice Stefania Pezzopane che ha parlato di "calo degli iscritti allarmante", proponendo l'apertura di un tavolo con la ministro Stefania Giannini. "C'è un urgente bisogno di confronto, un'inderogabile necessità di dare tutti il nostro contributo per promuovere e sostenere l'Ateneo aquilano", ha sottolineato Pezzopane. "L’emorragia delle iscrizioni all’Università dell’Aquila impone una riflessione vera. Duemila iscritti in meno sono un numero allarmante per qualsiasi Ateneo, figuriamoci per una città che tra le sue vocazioni ha quella universitaria".
Ma si tratta davvero di una emorragia, di una situazione allarmante che attiene all'Università dell'Aquila, alle scelte compiute dagli organi amministrativi dell'Ateneo, alla città 'precaria' del post terremoto?
A leggere i numeri, sembrerebbe proprio di no.
La grande fuga dalle università italiane
In dieci anni, l'Italia ha perso 65mila matricole universitarie, precipitate a meno di 260mila con un calo del 20.4%. Si tratta di una diminuzione che non ha riscontri negli altri paesi europei.
L'ultimo rapporto a evidenziare la contrazione complessiva del sistema universitario italiano è quello pubblicato dalla Fondazione Res, l'Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia, presieduto da Carlo Trigilia, che nel report annuale [puoi leggerlo qui] si è occupato de 'L'Università italiana al Nord e al Sud'. Per la prima volta nella sua storia - si legge nel report - il sistema universitario nazionale "è diventato significativamente più piccolo". Se le matricole sono crollate del 20%, i docenti passano da poco meno di 63mila a meno di 52mila unità, il personale tecnico amministrativo da 72mila a 59mila, con i corsi di studio che scendono da 5.634 a 4.628. Non solo. Il fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) diminuisce, in termini reali, del 22.5%.
Numeri che raccontano di un fenomeno che dovrebbe preoccupare, terrorizzare anzi, gli analisti politici ed economici. Senza buoni laureati, infatti, la competitività del paese è a rischio. Come non bastasse, la forbice tra nord e sud si allarga sempre di più: 35mila dei 65mila immatricolati in meno sono spariti proprio dagli atenei meridionali. Non serve spiegare il motivo per cui l'università delle regioni più deboli andrebbe rafforzata e non indebolita, come invece sta accadendo. "L'Italia - si legge nello studio - ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università". Una scelta politica, opposta a quella dei maggiori paesi avanzati e in via di sviluppo. In altre parole, "non è certo solo effetto della crisi: in Italia, la riduzione della spesa e del personale universitario è stata molto maggiore che negli altri comparti dell'intervento pubblico". Altro che crisi.
Il calo delle immatricolazioni: un fenomeno demografico e comportamentale
Il calo delle immatricolazioni dipende da tre diversi fenomeni, si legge in un articolo pubblicato su 'lavoce.info'.
In primo luogo, come già notato dal rapporto dell’Anvur (2014), le immatricolazioni di studenti “maturi” (più di 22 anni) sono drasticamente diminuite: passano dai circa 60mila del 2005-2006 ai 14mila di oggi. Ma il calo delle immatricolazioni ha riguardato, e molto, anche i più giovani. Così, arriviamo ad altri due fenomeni: quello demografico e quello comportamentale.
Il primo, demografico. L'Italia risente del calo delle natalità: parallelamente, però, a parziale compensazione, i flussi migratori in entrata sono aumentati, concentrandosi tuttavia nelle regioni del settentrione italiano. Dunque, il numero di ragazzi in età universitaria cresce al Nord, in particolare in Emilia Romagna e in Lombardia, e flette al Sud.
Il secondo, comportamentale. Le immatricolazioni all’università dipendono dalla quota di giovani che arriva al diploma. Ebbene, la percentuale è ancora in leggera crescita nella maggior parte delle regioni; ma in alcuni casi, come in Sicilia e Lazio, si riduce. Le iscrizioni all’università dipendono poi da quanti diplomati proseguono gli studi: i tassi di passaggio dalla scuola superiore all’università sono in calo sensibile e generalizzato. In particolare nel Centro Nord - Emilia Romagna, Toscana e Lazio - meno al Sud, anche se la diminuzione è marcata in Abruzzo e Molise.
L’effetto combinato di questi cambiamenti racconta che il numero delle immatricolazioni, nel Nord Italia, risente positivamente degli andamenti demografici capaci di mitigare, almeno in parte, il calo dei tassi di passaggio da scuole superiori a università. Al Sud, invece, le due dinamiche negative si sommano. Così, abbiamo variazioni positive, seppur piccole, in Liguria, riduzioni contenute in Lombardia, Veneto e Marche, e cali drastici, invece, nel Lazio, in Molise, Sicilia, Sardegna, Calabria e Abruzzo.
Università, più tasse e meno spesa: numeri impietosi
Perfino la Slovenia, tra i paesi europei, investe più dell'Italia nella formazione universitaria. Mentre Brasile e Sudafrica, con un Pil pro-capite pari ad un terzo di quello italiano, fanno meglio di noi. Stando ai dati dell'Ocse - l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - il nostro è uno dei paesi della vecchia Europa che spende meno sul sistema di istruzione: appena il 7.4% della spesa pubblica complessiva, contro il 9.8 della Germania e l'8.8 della Francia.
Diversa sensibilità sull'argomento dimostrano i governi dei paesi scandinavi, dove si passa dall'11.2% di spesa pubblica dedicata all'istruzione della Finlandia al 14.4 della Norvegia: il doppio dell'Italia.
Anche la spesa per studente conferma questo trend: l'Italia, per i soli servizi di base, investe poco più di 6mila dollari Usa a studente. Il dato riportato dall'Osce risale al 2012, ma nello stesso anno in Francia si spendevano 9mila e 500 dollari, esattamente quanto la media dei paesi Ocse, e 9mila e 200 in Germania. Uno sforzo che si traduce in un sostegno concreto per famiglie e ragazzi che vogliono avventurarsi negli studi universitari.
Gli studenti: l'Italia, uno dei peggiori paesi europei per studiare all'università
Secondo gli studenti [puoi leggere qui il Rapporto annuale sulla condizione studentesca del Cnsu - il Consiglio nazionale degli studenti universitari], l'Italia è uno dei peggiori paesi europei per studiare all'università. E i dati sembrano dare loro ragione. Borse di studio col contagocce, tasse altissime e pochissimi servizi. Le alternative sono due: farsi sostenere dalla famiglia oppure gettare la spugna. E, a dare il colpo di grazia allo striminzito diritto allo studio nostrano, il nuovo calcolo dell'Isee: l'indice della situazione economica equivalente familiare, utilizzato per assegnare le borse di studio e per il calcolo delle tasse universitarie da pagare.
Basti pensare - uno degli indicatori, tra gli altri - che nell'arco degli ultimi sei anni, dal 2006/2007 al 2012/2013, nel nostro paese i "borsisti", coloro che hanno fruito di una borsa di studio, sono calati dell'8%. Mentre in Germania si è registrato un incremento del 33% e in Francia del 34%. Anche la malandata Spagna ha dato fondo a tutte le proprie risorse incrementando le borse di studio addirittura del 59%.
Sarebbe necessario analizzare e approfondire alcuni dei dati più significativi che raccontano il sistema universitario italiano, divenuto "significativamente più piccolo" negli ultimi dieci anni, per valutare in maniera più informata lo stato di salute del nostro Ateneo e animare un dibattito pubblico capace di discutere e disegnare le strategie capaci di custodire il patrimonio prezioso rappresentato dall'Università.
Le reazioni
Il dossier Udu su immatricolazioni e iscrizioni all'Univaq
Udu L'Aquila segnala alla redazione un dossier pubblicato sul sito internet del sindacato universitario a giugno 2015. Ve lo proponiamo, come ulteriore elemento per un dibattito che sia informato e costruttivo.
"Negli ultimi giorni [giugno 2015, ndr] sono stati aggiornati i dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti sull’Università italiana, che hanno evidenziato un andamento preoccupante delle iscrizioni nell’ultimo decennio.
Soltanto nell’ultimo anno si è registrato in Italia una "tenuta" delle immatricolazioni rispetto all’anno precedente, con un calo delle immatricolazioni che però continua negli Atenei del Sud. In questo contesto negativo, drammatico è il crollo di immatricolati e iscritti che l’Università dell’Aquila ha avuto in quest’ultimo anno, a fronte di un trend che nel decennio passato è sempre stato molto migliore di quello nazionale.
I dati dell’Anagrafe Nazionale degli Iscritti del Miur sono chiarissimi. Sugli immatricolati ai corsi triennali e a ciclo unico (l’Anagrafe non riporta il dato sulle magistrali) l’Università dell’Aquila è la peggiore d’Italia, con un -40% a fronte di una media nazionale stabile. Sugli iscritti complessivi l’Università dell’Aquila segna un -13%, peggiore di lei tra le pubbliche non telematiche è solo la Parhenope. Nel nostro dossier locale [potete scaricarlo qui], che si aggiunge così a quello dell’UDU a livello nazionale, abbiamo voluto inquadrare il dato dell’Aquila, confrontandolo con gli altri Atenei del Sud (Sardegna, Campania, Puglia, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia) e con gli Atenei delle Regioni limitrofe (Lazio, Umbria, Marche). Il quadro che ne emerge è drammatico. L’Università dell’Aquila “trascina in fondo il sud”, registrando circa la metà della perdita di immatricolati dell’intero sud Italia. In Abruzzo, Teramo e Chieti rispettivamente crescono e scendono di poco, mentre gli Atenei limitrofi di Lazio, Umbria e Marche crescono in immatricolazioni. Studiando infine l’andamento specifico dell’Università dell’Aquila emergono altri dati estremamente preoccupanti, per l’Ateneo e per l’intero territorio aquilano e regionale: l’Università dell’Aquila torna in un solo anno al numero degli iscritti di quasi 10 anni fa, trascinato da un numero di immatricolati a corsi triennali e a ciclo unico da record negativo rispetto agli ultimi 10-15 anni. Se il trend di immatricolati si confermasse questo, nei prossimi anni l’Università dell’Aquila tornerebbe ai piccoli numeri degli anni ‘90 nel giro di 2-3 anni. Se si analizzano poi i dati sulla provenienza degli immatricolati dell’Università dell’Aquila si nota un crollo percentuale impressionante tra gli studenti provenienti dal Lazio, dalla Puglia e dalla Campania e un numero in discesa, in valore assoluto estremamente preoccupante, tra gli studenti abruzzesi, con una vera e propria “fuga” di studenti residenti nella Provincia dell’Aquila. La Rettrice financo a fine Dicembre ha parlato di “dati positivi”, bollando negativamente chiunque parlasse di dati reali negativi. Questi che presentiamo sono i dati pressoché definitivi su immatricolati alle lauree triennali e a ciclo unico e su iscritti complessivi all’Università ed è visivamente comprensibile a tutti, ciò che quest’anno è realmente accaduto sul fronte immatricolati, iscritti e fuori sede nell’Ateneo aquilano. Ci sembra indispensabile che l’opinione pubblica, l’analisi e il dibattito giornalistico e intellettuale, i soggetti sociali, politici, civici e istituzionali dell’Ateneo e di questo territorio discutano apertamente di questi dati e delle conseguenze a breve e medio termine che l’andamento dell’Università dell’Aquila in termini di immatricolati e iscritti, potrà avere sulle dinamiche economiche e sociali del territorio aquilano".