E' stato pubblicato sul sito dell'Università degli Studi dell'Aquila un documento assai interessante, il Bilancio di Genere 2018, che analizza e valuta le scelte politiche e gli impegni economico-finanziari di un'amministrazione, in questo caso l'Ateneo, in un’ottica di genere appunto, con l’obiettivo di perseguire una gestione delle risorse efficiente, trasparente, equa e consapevole; così, è possibile valutare il diverso impatto che le politiche adottate da una determinata amministrazione hanno sul lavoro e sulla vita di uomini e donne, e, di riflesso, dell’intera comunità.
Il lavoro è stato coordinato dalla prof.ssa Francesca Caroccia, presidente del Comitato Unico di Garanzia.
Diversamente da altri Atenei, l’Università dell’Aquila ha deciso di elaborare il Bilancio di genere come capitolo del Rapporto di sostenibilità; si è voluto, in tal modo, sottolineare come le questioni di genere non costituiscano un problema a sé, ma rappresentino un elemento determinante del benessere complessivo di una comunità. Non a caso, sono esplicitamente menzionate tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile, nell’ambito del progetto Horizon 2030. In tale prospettiva, le strategie di attuazione delle politiche di genere e di lotta alla discriminazione non possono essere isolate, ma vanno studiate, migliorate e risolte nell’ambito di un disegno più vasto, volto al miglioramento della vita delle persone che lavorano e studiano all’interno dell’Ateneo.
Fatta la premessa, il documento ci testimonia come, all’interno del panorama nazionale, l’Università dell’Aquila si presenti come struttura di media grandezza con una presenza femminile abbastanza significativa. In particolare, i dati relativi alla popolazione complessiva mostrano come, nel 2017, su un totale di 20.114 unità, le donne sono 11.542, pari a circa il 57.4%.
Una analisi più dettagliata evidenzia, tuttavia, come la distribuzione per genere non sia affatto omogenea. Infatti, mentre nell’ambito della popolazione studentesca e del personale tecnico-amministrativo la popolazione femminile supera abbondantemente il 50% del totale (è pari, rispettivamente al 57.8% ed al 57,3%), tale presenza scende in misura consistente nell’ambito del personale docente. In quest’ultimo caso, infatti, il numero delle donne è sempre inferiore a quello degli uomini, con l’unica eccezione delle ricercatrici a tempo indeterminato.
E' opportuno richiamare l’attenzione sul gap che si crea rispetto alle posizioni apicali della carriera universitaria: se le ricercatrici a tempo indeterminato sono il 57.9% del totale, tale percentuale scende al 33,5% per le professoresse associate e addirittura al 20,5% per le professoresse ordinarie. Una menzione a parte merita, poi, la posizione delle ricercatrici a tempo determinato, pari al 25.5% del totale. L’introduzione molto recente di tale figura non consente valutazioni troppo precise, ma appare comunque significativo che la presenza femminile appaia più che dimezzata, rispetto al dato precedente. Sembra così trovare conferma l’ipotesi, secondo la quale situazioni di impiego e di carriera precarie penalizzino le donne, più degli uomini, condizionandone le scelte lavorative.
Per ciò che attiene la governance, è possibile constatare una insufficiente presenza delle donne negli organi di Ateneo: solo in 4 casi su 13 tale presenza è pari o superiore al 50%. Ciò premesso, merita di essere evidenziato che l’Ateneo aquilano è tra i pochissimi, in Italia, ad essere rappresentato da una donna: dall’anno accademico 2013/2014, la prof.ssa Paola Inverardi ricopre infatti l’incarico di Rettrice.
Nell’a.a. 2017/2018 le studentesse sono state complessivamente il 57.7 % della popolazione studentesca (11.006 studentesse, a fronte di 8.044 studenti): si nota, in particolare, una più ampia presenza femminile nei Master, nei corsi di specializzazione e nei corsi singoli. Il dato si inverte per i corsi di dottorato, nei quali la presenza maschile (pari al 55.7% del totale) diventa superiore rispetto a quella femminile (pari al 44,3%).
Se in generale il numero di studentesse iscritte è lievemente superiore rispetto al numero degli iscritti, il rapporto iscritti/iscritte muta significativamente nei diversi Dipartimenti. La presenza femminile appare molto più alta rispetto alla media nei Dipartimenti di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente; di Scienze cliniche applicate e biotecnologie; di Scienze umane. Al contrario, la presenza maschile si fa decisamente più elevata nei Dipartimenti di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale; di Ingegneria e scienze dell’informazione e matematica; di Ingegneria industriale e dell’informazione e di economia; di Scienze fisiche e chimiche. In particolare, il numero di iscritte nel Dipartimento di Scienze umane è pari all’85%, all’85,4% e all’80,6% del totale; mentre nel Dipartimento di Ingegneria e scienze dell’informazione e matematica le iscritte sono pari al 22,3%, al 23,5% e al 24% del totale, rispettivamente negli a.a. 2015/2016; 2016/2017; 2017/2018.
Si noti, infine, che il rapporto iscritti/iscritte in ciascun Dipartimento non muta significativamente al variare degli anni, sebbene si registrino lievi miglioramenti verso situazioni di maggiore equilibrio di genere: ad esempio, la presenza maschile nel Dipartimento di Scienze umane è aumentata di circa 5 punti percentuali negli ultimi tre anni; mentre la presenza femminile nelle aree STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) è aumentata di circa 2 punti percentuali.
La successiva tabella evidenzia il numero totale delle/gli iscritte/i a corsi di laurea, per genere e dipartimento, negli ultimi tre anni accademici.
È da sottolineare come la presenza delle donne appaia decisamente più alta nei corsi di laurea di durata più lunga, rispetto a quelli di durata più breve. In particolare, mentre nei corsi di laurea ante riforma, nei corsi di laurea specialistica/magistrale e nei corsi di laurea a ciclo unico la percentuale delle donne è pari, rispettivamente, al 66,5%, al 59,2% e al 69,5%, tale dato scende drasticamente nei corsi di laurea triennale, nei quali la percentuale delle donne è invece pari al 51,3 %. In generale, appare dunque possibile rilevare una maggiore propensione delle studentesse, rispetto agli studenti, ad investire in percorsi di formazione medio-lunghi; con l’eccezione, tuttavia, dei CdL afferenti ai Dipartimenti di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale, di Ingegneria industriale e dell’informazione e di economia, e di Scienze fisiche e chimiche, nei quali la percentuale di studentesse non aumenta/diminuisce nel passaggio dalla laurea triennale alla laurea specialistica/magistrale ed è comunque inferiore, rispetto alla percentuale degli studenti.
Se si sfogliano i dati relativi alle immatricolazioni, rispettivamente per tutte le tipologie di corsi e per i soli corsi di studio, le percentuali sono sostanzialmente in linea con quanto già evidenziato in relazione alle iscrizioni: il numero delle iscritte è in generale superiore a quello degli iscritti; la componente femminile appare particolarmente significativa nei Dipartimenti di Scienze umane e di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente. L’area di Ingegneria e scienze dell’informazione e matematica resta, invece, la più critica, in termini di partecipazione femminile: nondimeno, nel triennio considerato è possibile evidenziare un aumento significativo del numero di iscritte a questi corsi, che dal 20,5% nel 2015/2016 passa al 27,3% nel 2017/2018.
La tabella che segue indica il numero dei laureati e delle laureate nei corsi di studio e la percentuale dei laureati e delle laureate in corso. Sotto questo profilo, il dato generale appare equilibrato, non registrandosi differenze significative, quanto alla performance, tra la componente femminile e la componente maschile. Tale situazione, inoltre, risulta sostanzialmente costante negli ultimi tre anni.
Il dato generale viene analizzato nel dettaglio, per dipartimenti e con riferimento all’anno solare 2017, nella prossima tabella:
In quattro dipartimenti su sette, le studentesse mostrano capacità di laurearsi in corso maggiori rispetto agli studenti. Sotto questo profilo, la differenza di genere non sembra incidere significativamente, attestandosi intorno ai due punti percentuali, nei Corsi di laurea incardinati nei Dipartimenti di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale e di Ingegneria e scienze dell’informazione e matematica, ove la percentuale delle laureate in corso è, rispettivamente, del 21,9% (a fronte del 19,7% di laureati in corso) e del 47.3% (a fronte del 45.1%). Tale proporzione muta leggermente nei Dipartimenti di Ingegneria industriale e dell’informazione e di economia e di Scienze cliniche applicate e biotecnologiche, ove la percentuale dei laureati in corso è di oltre 3 punti percentuali superiore, rispetto alle laureate in corso.
Una situazione diversa è riscontrabile nei tre Dipartimenti rimanenti: infatti, mentre nel Dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente e nel Dipartimento di Scienze umane la percentuale di laureate in corso è fortemente superiore a quella dei laureati in corso (rispettivamente, 57.3% di laureate a fronte del 39.3% di laureati in corso; 47.8% di laureate a fronte del 33.3% di laureati in corso), tale proporzione si inverte drasticamente nel Dipartimento di Scienze fisiche e chimiche, ove si laurea in corso il 36.8% delle studentesse, a fronte del 52% dei ragazzi.
La successiva tabella riporta l’età media dei laureati e delle laureate, per anno solare e per genere. In generale, la performance della componente femminile risulta lievemente migliore, rispetto a quella della componente maschile. Tra il 2015 ed il 2017, si nota comunque una leggera tendenza all’aumento dell’età media delle laureate.
La tabella che riporta, invece, il tasso di occupazione per genere a 1, 3 e 5 anni dalla laurea.
Se si esclude il dato relativo al livello di occupazione per i laureati e le laureate di primo livello a un anno dalla laurea, sostanzialmente coincidente e con un lievissimo vantaggio per le ragazze, la tabella evidenzia come gli uomini tendano a trovare occupazione più facilmente delle donne. Tendenzialmente, inoltre, tale differenza aumenta progressivamente all’aumentare della distanza temporale dalla laurea: se a un anno dal conseguimento del titolo di studio il divario è pari al 14% circa per le lauree specialistiche/magistrali a ciclo unico e pari al 7% circa per le lauree specialistiche/magistrali non a ciclo unico, a 5 anni dalla laurea esso cresce al 20% nel primo caso e al 9% circa nel secondo caso. Fa eccezione la laurea in Scienze della formazione primaria, ove la percentuale di donne occupate è particolarmente significativa, e sfiora il 100% a 5 anni dal conseguimento del titolo di studio. Tale dato, di per sé promettente, deve tuttavia essere valutato alla luce della circostanza che in tale ciclo di studi la presenza delle donne è particolarmente significativa.
I dati relativi al tasso di occupazione acquistano peraltro particolare significato, ove messi in relazione con quelli relativi al livello di retribuzione (la prossima tabella). Si nota, in particolare, come, indipendentemente dal periodo di analisi, la retribuzione media mensile delle donne sia costantemente inferiore a quella degli uomini. In particolare, gli uomini guadagnano in media circa il 20% in più delle donne; ma il divario si fa ancora più evidente per le lauree a ciclo unico a 5 anni dal conseguimento del titolo di studio, quando le carriere iniziano a consolidarsi. Anche in questo caso, le differenze si attenuano nel caso delle laureate e dei laureati in Scienze della formazione primaria, che a 5 anni dalla laurea hanno livelli di retribuzione simili, con un lieve vantaggio comunque, per gli uomini.
Stando ai dati relativi al dottorato di ricerca, si osserva, in generale, che la presenza di donne è inferiore alla media nazionale: mentre in quest’ultimo casi i dati si attestano – e in alcuni anni superano – il 50% circa, la presenza femminile nell’Università dell’Aquila è pari a circa il 43-44% del totale di studenti iscritti al dottorato. Nel periodo di riferimento i dati registrano, peraltro, una flessione: se nel 2015/16 le donne erano il 47,7% del totale di iscritti, tale percentuale scende al 43,1% nel 2016/17 ed al 44,1% nel 2017/18. L’Ateneo aquilano registra invece una performance lievemente migliore, rispetto alla media nazionale, ove si consideri la percentuali di coloro che conseguono il titolo di studio, per anno solare: si alternano, in tal caso, anni in cui la percentuale di dottoresse di ricerca nell’Ateneo aquilano supera la media nazionale, ed anni in cui tale percentuale resta significativamente inferiore.
Anche in questo caso, l’analisi dettagliata della distribuzione degli iscritti e delle iscritte mostra sensibili differenze, in base ai settori di studio.
Infatti, la percentuale di ragazze nei corsi di dottorato nelle aree di Scienze, scienze matematiche e informatiche, pari a circa un terzo del totale, è pressoché costante nel triennio di riferimento 2015-2018, mentre supera abbondantemente il 60% nei settori “Salute e welfare” e “Scienze sociali, economiche e giuridiche” (con la sola eccezione del settore “Scienze sociali, economiche e giuridiche”, nell’a.a. 2016/17) e scende progressivamente al di sotto del 30% nel settore “Ingegneria industriale e civile”.
Il dato appare significativo, specialmente se confrontato con quello relativo alla performance complessiva dei dottorandi e delle dottorande: queste ultime, infatti, sia nel 2015/16 che nel 2017/18, mostrano una maggiore capacità di conseguimento dell’obiettivo. L’analisi per settori di studio/anno accademico mostra però, in questo caso, dati fortemente disomogenei, che non consentono l’individuazione di trend definiti.
I dati relativi alla presenza femminile nell’ambito del personale docente e ricercatore nell’Ateneo dell’Aquila appaiono, in generale, in linea con quelli nazionali: si conferma, in particolare, una massiccia presenza della componente maschile, rispetto a quella femminile, con un divario che aumenta in favore degli uomini, man mano che si progredisce verso le posizioni apicali della carriera accademica.
Il confronto dei dati al 31 dicembre 2013, al 31 dicembre 2015 e al 30 giugno 2018 evidenzia, inoltre, in generale, una progressiva ma costante diminuzione della componente femminile rispetto al totale del personale docente e ricercatore.
A fronte di tale diminuzione, l’analisi di dettaglio mostra tuttavia come, nel periodo considerato, i dati relativi alla progressione di carriera migliorino progressivamente: negli ultimi 5 anni, la presenza femminile è aumentata costantemente sia con riferimento alla Prima fascia, che con riferimento alla Seconda fascia (salvo un calo registrato nel 2015, in relazione alla Prima fascia). La percentuale delle ricercatrici, rispetto al totale, è rimasta invece pressoché costante.
Merita una riflessione il dato relativo alle ricercatrici a tempo determinato ed alle titolari di assegno di ricerca registrandosi, in questi casi, una costante e significativa diminuzione delle donne nell’arco temporale di riferimento che potrebbe avere inevitabili ripercussioni nell’equilibrio futuro delle componenti di genere del corpo docente e ricercatore. Ove, poi, il dato venga confrontato con quello relativo alla percentuale delle ricercatrici a tempo indeterminato, significativamente superiore, emerge con chiarezza una preoccupante contrazione della componente femminile nell’accesso alla carriera accademica.
Si osserva che, prevedibilmente, le donne sono più numerose nei Dipartimenti di Scienze cliniche applicate e biotecnologie e di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente; meno numerose nei Dipartimenti di Ingegneria civile, edile architettura, ambientale e di Scienze fisiche e chimiche. Un rilievo a parte merita il dato relativo al Dipartimento di Scienze Umane, nel quale, a fronte di una massiccia presenza femminile nel corpo studentesco, la percentuale di donne che ricopre il ruolo docente e ricercatore è pari al solo 12,8% del totale. Tali risultati devono in ogni caso essere valutati anche alla luce della ripartizione delle componenti maschile e femminile all’interno dei singoli Dipartimenti: emerge allora come tali componenti siano distribuite in modo più equilibrato nei Dipartimenti di Scienze umane, di Scienze chimiche applicate e biotecnologiche e di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente, nei quali il numero delle docenti e delle ricercatrici è pari o di poco inferiore al numero dei docenti e dei ricercatori. Lo squilibrio tra le due componenti appare invece assai significativo nei Dipartimenti di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale, di Scienze fisiche e chimiche e di Ingegneria industriale e dell’informazione e di economia, ove la presenza femminile scende al di sotto del 25%.
L’andamento dei dati evidenzia una lenta, ma costante diminuzione della componente femminile in Ateneo, a fronte di un altrettanto costante, ma deciso aumento della componente maschile. Tale aspetto appare ancor più significativo ove il dato di Ateneo venga confrontato con quello nazionale, che evidenzia invece una diminuzione della componente maschile. Una scarsa presenza femminile si riscontra anche nei Collegi dei Docenti dei Corsi di Dottorato di ricerca attivi in Ateneo. Colpisce, in particolare, che la componente femminile si attesti su percentuali tra il 20 ed il 30% del totale dei membri del collegio dei docenti, raggiungendo solo in pochissimi casi il 40%.
Analizzando i dati rispetto al Personale Tecnico, Amministrativo e Bibliotecario dell’Università dell’Aquila, emerge come risulti composto, nel 2017, di 461 unità, tutte assunte con contratto di lavoro a tempo indeterminato (fa ovviamente eccezione l’unica posizione dirigenziale ricoperta in Ateneo, per legge a tempo determinato). La componente femminile, inoltre, è più numerosa di quella maschile.
La tabella sopra presenta la situazione generale del PTA, nel 2017, per qualifica, tipo di contratto (tempo determinato/indeterminato), opzione tempo (tempo pieno/parziale) e genere. Si rileva una decisa tendenza a prediligere la formula di lavoro a tempo pieno. Il tempo parziale è scelto da un numero esiguo di dipendenti, prevalentemente donne (per l’esattezza, 23 donne, a fronte di 6 uomini): segno, forse, di qualche difficoltà, statisticamente comunque piuttosto esigua, a conciliare lavoro e vita privata. Prevedibilmente, purtroppo, a parte una situazione di sostanziale parità nell’ambito del personale di cat. B, le donne sono più numerose degli uomini nei livelli meno alti della carriera (147 61 unità di cat. C donne, a fronte di 86 uomini). Man mano che si progredisce nel percorso professionale, invece, tale proporzione diminuisce, fino ad invertirsi: si giunge così alla posizione dirigenziale, unica, ricoperta da un uomo.
I dati sin qui illustrati fanno da sfondo alla situazione relativa alle progressioni di carriera del PTA. Le progressioni di carriera delle donne sono numericamente più consistenti di quelle degli uomini; tale dato, tuttavia, può essere spiegato in ragione della maggiore presenza femminile nel personale TA. Emergono, inoltre, due fattori di rilievo: ai livelli più alti della carriera, il dato si inverte e le progressioni di carriera riguardano pressoché esclusivamente gli uomini; nell’ultimo quadriennio, non vi sono state, in Ateneo, progressioni verticali.
Conclusioni
Il primo Bilancio di genere dell’Università degli studi dell’Aquila restituisce, purtroppo, l’immagine di una realtà nella quale il problema della discriminazione di genere non è ancora risolto, ed incide pesantemente sulle scelte, sull’esistenza e sul lavoro delle persone.
La presenza femminile nell’Ateneo aquilano è, in generale, abbastanza significativa: nel 2017, le donne sono state il 57.4% circa della popolazione complessiva. Il dato disaggregato mostra, tuttavia, una distribuzione per genere, nelle diverse componenti, non omogenea. In linea con il dato nazionale, infatti, la componente femminile è maggiore di quella maschile nel corpo studentesco e nell’ambito del personale TAB (ove essa è pari, rispettivamente, al 57.8% ed al 57,3% del totale); la proporzione si inverte quando si prende in considerazione il personale docente. In quest’ultimo caso, infatti, il numero delle donne è sempre inferiore a quello degli uomini, sia ai livelli apicali della carriera accademica, sia nelle fasi di accesso ad essa, con l’unica eccezione delle ricercatrici a tempo indeterminato; la distribuzione per genere all’interno degli Atenei conferma, inoltre, alcuni stereotipi, con una preoccupante assenza di docenti donne ai livelli apicali della carriera nelle aree più “tecniche”, e con situazioni paradossali nelle aree umanistiche, ove, a fronte di un corpo studentesco quasi interamente composto da ragazze, i docenti sono prevalentemente uomini.
Il dato appare ancor più preoccupante se si considera che la presenza femminile è costantemente diminuita negli ultimi 5 anni (mentre è aumentata, seppure in piccole proporzioni, a livello nazionale).
A fronte di tale diminuzione, l’Ateneo aquilano registra però un elemento positivo. La distribuzione per qualifica della componente femminile rivela infatti, sia con riferimento alla Prima fascia, sia con riferimento alla Seconda fascia, sia, infine, con riferimento al personale Ricercatore a T.I., percentuali significativamente superiori alla media nazionale: le docenti aquilane, rispetto a quelle del resto d’Italia, sono distribuite nelle fasce più alte della carriera. Nel medesimo quinquennio 2013-2018, inoltre, i dati relativi alla progressione di carriera sono costantemente migliorati (sebbene il 79 numero di uomini che progrediscono nella carriera sia costantemente pari o superiore a quello delle donne, mai il contrario).
Ciò nonostante, la situazione complessiva continua a presentare forti elementi di criticità considerando che, ove la quota delle professoresse di prima fascia sia messa in rapporto a tutto il personale docente e ricercatore, l’Ateneo aquilano torna a collocarsi al di sotto della media nazionale. A ciò si aggiunga che i dati relativi alle ricercatrici a tempo determinato ed alle titolari di assegno di ricerca registrano una costante e significativa diminuzione delle donne nell’arco temporale di riferimento, che potrebbe avere inevitabili ripercussioni nell’equilibrio futuro delle componenti di genere del corpo docente e ricercatore. Se si analizza poi che il numero delle ricercatrici a tempo determinato appare più che dimezzato, rispetto al numero delle ricercatrici a tempo indeterminato, emerge una preoccupante contrazione della componente femminile nell’accesso alla carriera accademica.
Quanto alla componente studentesca, si conferma la tendenza delle ragazze a studiare di più e più a lungo dei ragazzi e con migliori risultati; il 66% delle ragazze supera i test di ammissione, a fronte di un 38% di ragazzi; in quattro dipartimenti su sette il numero delle ragazze che si laurea in corso è più alto di quello dei ragazzi. I numeri si invertono, però, con riferimento ai dottorati di ricerca (il numero delle dottorande è addirittura inferiore alla media nazionale). E, parallelamente, appare significativo che il numero di donne nei Collegi dei Docenti dei Corsi di Dottorato di ricerca sia decisamente inferiore a quello degli uomini, attestandosi su percentuali tra il 20 ed il 30% del totale dei membri del collegio dei docenti (solo in un numero esiguo di casi si raggiunge il 40%).
Ancora, l’analisi di dettaglio mostra come le donne siano decisamente meno numerose nelle carriere cosiddette STEM, mentre la proporzione si inverte nelle materie letterarie ed umanistiche, dove il cosiddetto “ghetto rosa” sembra costituire, purtroppo, ancora una realtà. La situazione, tuttavia, appare in lieve miglioramento negli ultimi anni: la presenza maschile nel Dipartimento di Scienze umane è aumentata di circa 5 punti percentuali negli ultimi tre anni; mentre la presenza femminile nelle aree STEM è aumentata di circa 2 punti percentuali.
Un dato particolarmente preoccupante, infine, è quello relativo all’accesso al lavoro ed alla retribuzione: in entrambi i casi, i dati registrano una gap a sfavore delle ragazze, che ancora nel 2018 stenta ad essere colmato.
Il problema del genere sembra avere un impatto rilevante anche sull’assetto del personale tecnico, amministrativo e bibliotecario. Come già evidenziato, in quest’area le donne sono più numerose; esse vantano, in media, titoli di studio più alti, hanno un’età media simile a quella degli uomini e scelgono modalità di lavoro (parziale, telelavoro, etc.) sostanzialmente uniformi a quelle dei loro colleghi. Ciò nonostante, la componente maschile resta più alta ai livelli apicali della carriera, ove anche le progressioni di carriera appaiono più facili per gli uomini: fattore che inevitabilmente incide anche sulle differenze retributive.