Si inizia il 13 giugno, con la prima votazione: servirà l’affluenza al voto del 75% degli aventi diritto per eleggere al primo colpo il successore di Paola Inverardi come rettore dell’Università degli Studi dell’Aquila; altrimenti, si andrà in seconda votazione il 18 giugno, eventualmente in terza il 25 giugno: se necessario, il ballottaggio si celebrerà il 28 giugno. Insomma, nella peggiore delle ipotesi conosceremo il nome del rettore prima della fine del mese.
A sfidarsi sono – in rigoroso ordine alfabetico – Edoardo Alesse e Carlo Masciocchi, entrambi medici, docenti del Dipartimento di Scienze cliniche applicate e biotecnologiche.
Li abbiamo incontrati: siamo convinti, infatti, che l’Università sia motore imprescindibile della nostra città; d’altra parte, stiamo parlando di un Ateneo che conta 19mila studenti circa, con oltre mille impiegati. Per questo, crediamo sia importante conoscere i profili di coloro che si candidano a guidarlo per i prossimi sei anni.
Dopo l’intervista ad Edoardo Alesse, pubblicata ieri, oggi vi proponiamo la nostra chiacchierata con Carlo Masciocchi.
“Non ci si pone all’ultimo momento l’obiettivo di divenire rettore; negli ultimi 6 anni sono stato Prorettore vicario, profondamente dentro il sistema: ho partecipato a tutte le attività, direttamente o indirettamente, oltretutto curando il rapporto tra l’università e l’attività sanitaria assistenziale”, spiega Masciocchi. “Alla fine di questo percorso mi sono posto la domanda: potrei dare un contributo? Ho percorso l’intera carriera accademica in Ateneo, sono stato ricercatore nell’82, professore associato nel ‘91, ordinario nel 2000: la risposta non poteva che essere: ci provo. Conosco i meccanismi, le regole, e nutro un grande amore per questo Ateneo, nel quale sono cresciuto e mi sono formato”.
Masciocchi è convinto che Univaq sia "un buon Ateneo: abbiamo un numero congruo di iscritti, circa 19mila, otteniamo risultati interessanti, nell’ambito della internazionalizzazione, per esempio, siamo citati come esempio a livello nazionale, offriamo una didattica molto ampia; per intenderci, abbiamo 545 docenti che sostengono 68 corsi di studio tra triennali e magistrali: a Chieti, 650 docenti sostengono 55 corsi. Siamo in grado di offrire un’ampia offerta didattica, molto variegata, oltretutto allineata con i tempi, con le esigenze sociali e professionali”. E poi, “l’Ateneo produce” aggiunge Masciocchi: “stando a quella che viene chiamata la ‘terza missione’, siamo inseriti e coinvolti in tutte le attività di sviluppo locale, c’è un riconoscimento importante di qualità e professionalità”.
Che cosa manca, dunque? “Manca fare uno scatto in più. L’impostazione è solida. L’applicazione della legge 240, la così detta Legge Gelmini, che ha stravolto completamente l’attività degli atenei, soprattutto i modi del finanziamento non più su basi storiche ma con le Università che debbono guadagnarseli per una ampia fetta, ci ha trovato reattivi e propositivi, sebbene il contesto locale fosse molto difficile. Siamo usciti dalla palude dell’incertezza: ci siamo rimessi in riga, come gli altri Atenei. Ora, per fare uno scatto in avanti serve, innanzitutto, investire sulla comunicazione, interna ed esterna. Alcune informazioni che le ho fornito sono poco conosciute dalla popolazione, dagli Enti locali e così a livello nazionale: dobbiamo comunicare meglio e di più, facendo percepire la qualità dell’Ateneo, dei corsi, della didattica e dell’accoglienza. Abbiamo bisogno di un’attività di marketing: poiché il sistema di finanziamento è competitivo, dobbiamo trasmettere all’esterno la bontà del nostro lavoro. E poi dobbiamo lavorare sulla comunicazione interna, i docenti debbono parlare tra di loro: se io faccio un certo tipo di ricerca è importanti che altri lo sappiano per trovare punti di confronto e di rinforzo”.
Si deve lavorare su un brand Univaq, aggiunge Masciocchi: “dobbiamo dare un marchio di qualità da esportare a vari livelli, non sono in termini di ‘mercato’; abbiamo ottimi docenti, corsi di altissimo livello che lanciano gli studenti nel mondo del lavoro con risultati lusinghieri: abbiamo tassi di occupazione altissimi una volta conseguito il titolo, ad ingegneria, per esempio, ci sono corsi con tassi del 100% a due o tre anni dalla laurea. Insomma, dobbiamo far capire agli studenti che studiare qui è conveniente con una offerta propositiva verso l’esterno. Offrirci per raccogliere”.
D’altra parte, “negli anni post terremoto i numeri degli iscritti erano drogati dal mancato pagamento delle tasse, ci sbilanciavano, creavano problemi: il meccanismo virtuoso è avere studenti che vengano da noi motivati, non avendo benefit: se vengono motivati, studiano di più e si laureano prima trovando più facilmente un posto di lavoro”.
Inoltre, “dobbiamo rendere solido l’Ateneo mettendo in moto procedure interne di semplificazione burocratica: purtroppo, non possiamo intervenire a livello ministeriale con norme che cambiano continuamente e che ci rendono la vita difficile; in seno all’Università, però, possiamo e dobbiamo snellire la burocrazia: semplificare significa lavorare meglio, con la produzione che può essere rivolta, come dovrebbe, a didattica, ricerca e terzo settore e non alla soluzione di cavilli che ingessano le attività”.
Masciocchi ripete spesso di essere nato a L’Aquila – “la mia famiglia è aquilana da generazioni” – e sottolinea come, per gli aquilani, l’Ateneo sia di straordinaria importanza: “la città sembra sonnolenta, distratta rispetto alle sorti della sua Università; posso assicurarvi, però, che anche solo ‘toccare’ l’Ateneo determinerebbe un movimento popolare: l’Università sta nel dna degli aquilani, che la sentono come proprio, se l’aspettano, ci credono, consapevoli che la città può essere considerata a forte impronta culturale perché, tra l’altro e soprattutto, ha il suo Ateneo. Piuttosto, la disattenzione è degli Enti locali: ecco, bisogna intervenire per stimolare una rinnovata partecipazione e, su questo, siamo stati poco attenti noi; d’altra parte, avevamo troppe cose da fare, dovevamo operare una strutturazione nei confronti di leggi che stavano cambiando e di un contesto locale che ci ha messo davvero sotto pressione”.
Per questo, “va aperto un dialogo con la città” ribadisce; “dobbiamo sforzarci di non dare l’impressione di essere chiusi in una torre d’avorio, piuttosto dare la sensazione che la nostra attività è finalizzata non solo alla formazione degli studenti ma allo sviluppo culturale della città. Per farlo, dobbiamo dialogare con gli Enti locali, con il Comune in particolare, per far capire che ciò che possiamo mettere in campo è un beneficio per la città. Faccio alcuni esempi: stiamo per attivare degli importanti scavi archeologici ad Amiternum: quale altro Ateneo in Italia può avvalersi di scavi dentro la città? E’ un benefit che possiamo mettere in campo. Abbiamo una biblioteca in centro, al Dipartimento di Scienze Umane, aperta fino a mezzanotte, un polo museale, patrimonio non solo dell’Ateneo ma della città. Insomma, gli Enti debbono impegnarsi con noi a trovare finanziamenti, risorse, assicurando dei servizi, come il trasporto pubblico locale, con gli autobus che devono passare dove è necessario che passino”. Evidentemente, una interlocuzione va aperta anche con la Regione: “offriamo servizi e non da poco, la terza missione non è altro che l’attività che mettiamo in campo per le aziende, per le attività produttive, culturali, scientifiche; l’interlocuzione deve essere fattiva”.
Parlando del GSSI, Masciocchi vede l’Istituto come “un qualcosa in più per la città e, da aquilano, non posso che esserne contento; da candidato rettore, però, dico anche che il rapporto deve essere equilibrato, che debbono esserci trasmigrazioni di risorse da una parte all’altra. Cioè, l’Ateneo non deve – che ha una missione ben più importante – non dovrà avere danni dal Gssi, così come non dovrà mettergli il bastone tra le ruote”.
Un’ultima riflessione sul rapporto tra Università e sanità, nel pieno di una profonda riorganizzazione della rete ospedaliera che riguarda, da vicino, anche le scuole di specializzazione. “Gli atenei abruzzesi, quelli di L’Aquila e Chieti, hanno un rapporto col sistema sanitario ormai vecchissimo”, spiega Masciocchi; “il sistema così detto di convenzione non è altro che un sistema di ospitalità che la Asl, la sanità regionale, offre all’Università. E’ stato ormai abbandonato ovunque, non può funzionare. Il vantaggio che l’Università offre alla sanità è in termini di aggiornamento, ricerca, sperimentazione oltre che di risorse, con gli specializzandi che lavorano e si formano negli ospedali. Oggi ci sono le condizioni affinché il vecchio sistema venga superato inserendo l’Università in modo più diretto nell’ambito dell’attività assistenziale. Ci sono varie formule, personalmente ne ho proposta una, che vanno inquadrate nell’ambito dell’equilibrio del bilancio sanitario; formule moderne che permetterebbero di esaltare i benefici che l’Università porta nel sistema sanitario nazionale, purtroppo ancora in modo troppo limitato”. Arrivando alle scuole di specializzazione, “c’è una norma voluta dai ministeri della Pubblica istruzione e della Sanità che mette dei paletti assai rigorosi sulle scuole di specializzazione – ed è giustissimo, sia chiaro, dobbiamo fornire qualità garantendo standard precisi - imposta dalla sera alla mattina, senza che vi fosse il tempo di adeguarsi. Così, sia l’Ateneo dell’Aquila che quello di Chieti si sono trovati in difficoltà, impossibilitati a sostenere le stesse scuole di specializzazione che sostenevano prima. A quel punto, è stata avviata una comunicazione diretta e franca: ci siamo seduti intorno al tavolo – personalmente, ho fatto parte della commissione di accordo – salvando di fatto, e cioè mantenendo in questa Regione, ben 14 scuole, 7 a direzione dell’Aquila e 7 a direzione di Chieti. Così, abbiamo mantenuto le 14 scuole condivise oltre alle altre che gli Atenei erano in grado comunque di garantire. Si è aperto uno scenario interessantissimo: abbiamo dimostrato che se gli Atenei dialogano, individuando obiettivi comuni e potenziandosi a vicenda, riescono ad ottenere risultati straordinari mettendo a rete risorse umane, economiche e di attrezzature”.
Una operazione virtuosa, “portata ad esempio in Italia” rivendica Masciocchi. Che conclude: “Dobbiamo far fare un salto di qualità anche al rapporto tra Università e sanità, nell’interesse di tutti, soprattutto degli utenti. Avere sul territorio una struttura che fa ricerca, affiancata ad una solida struttura assistenziale, garantisce un servizio di qualità superiore. La sfida è diventare un centro di eccellenza sanitaria”.