Mercoledì, 02 Ottobre 2019 12:41

Univaq, Alesse nomina il Prorettore vicario: sarà De Berardinis. Inverardi rappresenterà l'Italia nel board europeo HPC: le sue riflessioni sulla città

di 

Ha compiuto il primo atto da rettore: Edoardo Alesse, che si è insediato ieri a Palazzo Camponeschi, ha nominato Pierluigi De Berardinis come Prorettore vicario.

Senatore accademico, professore del DICEAA, Dipartimento di Ingegneria civile, edile-architettura e ambientale, De Berardinis ha importanti competenze di natura ingegneristica: “uno dei problemi che intendiamo affrontare immediatamente, in questo primo anno di mandato, è sbloccare i fondi assegnati all’Università per ricostruire alcuni luoghi importanti; siamo preoccupati di non poter impegnare le risorse in tempi certi. Non ho competenze in questo senso: dunque, ho deciso di avvalermi del professor De Bernardinis”, ha svelato il rettore ospite della prima puntata della nuova stagione di Polis su laQtv.

Alesse ha lasciato intendere che nominerà un diverso prorettore per ogni anno di mandato, attingendo dai diversi dipartimenti (escluso il suo, il Discab), in riferimento alla priorità che verrà definita anno per anno, così da fa affrontare i problemi con le dovute professionalità facendo crescere una governance allargata.

Accanto al rettore, l’uscente Paola Inverardi che, già da ieri, è tornata in Dipartimento, il Disim, per riprendere le sue ricerche: “torno a lavorare in ufficio, e penso che sia cosa buona e giusta: torno a fare il mio lavoro, quello che facevo prima” sorride la rettrice uscente che ha appena ricevuto un importantissimo incarico dal Ministero: “rappresenterò l’Italia nel board di governo dell’associazione che si occupa di High Performance Computing in Europa”.

Paola Inverardi, svestiti i panni istituzionali di rettore, si è lasciata andare ad alcune considerazioni assai significative. “Sono stati sei anni impegnativi, di grande crescita e consapevolezza per la nostra comunità; siamo usciti dall’emergenza non avendo ben chiaro chi potevamo essere, in un contesto che si muoveva a fatica. Uscire dall’emergenza ha significato rinunciare alle misure di sostegno che ci erano state garantite per camminare finalmente sulle nostre gambe. Abbiamo scommesso profondamente sul nostro valore, sulla nostra capacità di poter essere un soggetto attivo nel territorio che si ripensava e credo proprio che ce l’abbiamo fatta”. Sebbene vi fosse il “peso” di un passato ingombrante, per la città così come per l’Università: “Avevamo chiaro di avere dinanzi a noi lunghi anni di ricostruzione che avrebbe caratterizzato la nostra quotidianità: per questo, la sfida è stata di trovare un valore positivo in ciò che ci era accaduto. L’Ateneo aveva un ruolo decisivo da poter giocare, e l’ha fatto, sostenendo e proponendo progetti avanzati, lavorando con le amministrazioni pubbliche e le imprese, incidendo sull’aspetto sociale e culturale; abbiamo messo in campo una serie di iniziative importantissime che hanno dato il segno della nostra presenza, una presenza capace di guardare avanti e di non farsi sconti. Si è capito, sebbene a fatica, che l’Università doveva guardarsi allo specchio andando alla radice dei suoi problemi e scommettendo sulla sua capacità di essere risorsa e di poter giocare un ruolo importantissimo per il territorio”.

Il prossimo passo da compiere – affidato simbolicamente da Inverardi ad Alesse – è “fare in modo che l’Ateneo diventi davvero coscienza critica della città, assumendosi pienamente la responsabilità di segnare le direzioni, dicendo chiaramente le cose che non ci stanno bene e, soprattutto, alzando il livello della discussione, a livello sociale e politico, oltre i ragionamenti di parte. Purtroppo, il dibattito pubblico è ridotto all’appartenenza di parte. L’Università deve essere elemento abilitatore di una discussione alta”. Inverardi cita, come esempio, il “dibattito sfinente” che si è acceso intorno al Festival degli Incontri: “il tutto è stato ridotto ad una specie di guerra tra chi vuole questo e chi vuole quello. Non è accettabile. Immaginiamo una città della cultura e della conoscenza? Ebbene, dobbiamo essere capaci di alzare il livello del dibattito in tutte le Istituzioni, in tutti i ‘corpi’ che governano la città”.

Inverardi fa una riflessione interessante, e assolutamente condivisibile: “l’Università ha un mandato rettorale di 6 anni non rinnovabile; è un tempo abbastanza lungo per darsi un respiro ambizioso, con la tranquillità di poter lavorare liberamente. La politica questo respiro non ce l’ha. In Italia, si vota – in media – ogni sei mesi: in 6 anni di mandato, ho avuto modo di confrontarmi con cinque diversi Ministri dell’Istruzione. Che cosa possiamo dire dei nostri politici che, ad un anno dall’elezione, sono già in campagna elettorale per farsi eleggere altrove? A livello personale è pure legittimo, per carità, ma il governo di un territorio avrebbe bisogno del respiro lungo. I cittadini dovrebbero pretendere da coloro cui danno il voto di considerare fermamente di avere un respiro lungo, di garantire una legislatura di cinque anni, come dovrebbe essere. Purtroppo, così non è”.

Come comunità – continua Inverardi – “dovremmo essere capaci di costruire corpi intermedi più stabili, animati dai cittadini, in seno ai quali il sistema della conoscenza può e deve stare, per elaborare un progetto capace di guardare al futuro; d’altra parte, qui ci viviamo al di là del sindaco A o del sindaco B. Corpi intermedi capaci di maturare un pensiero e una visione comune che dovrebbe essere imposta a chi si candida a governare: non sto pensando a soggetti come l’Urban center, per intenderci, che finiscono per rappresentare delle ‘scatole’ in cui è importante stare per avere il presidente piuttosto che il segretario. Certo, non è facile: ci vogliono tempo e risorse”.

Inverardi è convinta che L’Aquila, oggi, sia una città migliore di prima, “l’Università è migliore di prima”: per migliore, “intendo che il territorio è finalmente capace di porsi domande che non ci facevamo prima sebbene avremmo dovuto. Siamo una città che, nelle sue articolazioni, si pone il problema del futuro, della direzione in cui andare. In questi anni siamo stati assorbiti dalla ricostruzione fisica; superata l’assistenza, anche economica, della ricostruzione, andranno individuate delle traiettorie di sviluppo: è in questo che manca lo sguardo lungo, un coinvolgimento generale delle varie componenti che fanno la città. Ma manca perché non ce lo mettiamo noi, non perché ce lo toglie qualcuno. Manca, ma siamo nella pienezza delle possibilità di metterlo in campo. L’Università e il GSSI possono dare un contributo importante, in questo: abbiamo Istituzioni culturali importanti, una grande impresa di assoluto livello che può pensare ad un futuro qui, piccole e medie imprese non certo sufficienti ma che ci sono. Ci devono stare i cittadini: il destino della città non è questione tra guelfi e ghibellini, tra bianchi e neri, è la partita che dobbiamo giocarci costruire una prospettiva che permetta a tutti di stare meglio. L’Università questo l’ha capito, la città ancora no”.

Qui, puoi rivedere la puntata di Polis andata in onda ieri.

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Ottobre 2019 14:05

Articoli correlati (da tag)

Chiudi