In occasione dell’Assemblea elettorale tenutasi il 9 maggio, si fa finalmente avanti anche la quarta ed ultima candidata, la professoressa Maria Grazia Cifone. Già preside del dipartimento di Medicina clinica, Sanità pubblica, Scienze della vita e dell’ambiente (nel cui ruolo è succeduta a Di Orio), la Cifone ha accettato la candidatura proposta dal suo dipartimento.
Realizzare un Ateneo a “modello integrato”, che incentivi soprattutto la ricerca e il coinvolgimento dei tecnici, supportato da un piano di collaborazioni regionali, è la via d’uscita “dalla forte crisi di sistema universitario e nazionale che stiamo affrontando” - ha dichiarato la professoressa- “in un’ ottica di divisione ma anche di condivisione di ruoli e compiti all’interno della governante, di ottimizzazione della gestione amministrativa e valorizzazione delle risorse umane”.
Nel pieno rispetto della pluralità e della sana competizione elettorale, dopo aver ascoltato Vegliò, Inverardi e Luongo, vi proponiamo l’intervista rilasciata ai microfoni di StudenTown da Maria Grazia Cifone.
Perché ha scelto di non esporsi fino a questo momento?
E’ sorprendente che altri si siano presentati prima, la prassi accademica prevede questa assemblea come momento ufficiale della presentazione delle candidature, sciolta l’assemblea si parte con gli incontri. Ho seguito le regole, così come il professor Vegliò, altri no. Ma siamo in un mondo libero, ognuno può fare quello che crede. Nulla lo vieta. Intanto, il mio dipartimento si è riunito il 30 di aprile ed è lì che è emersa la proposta di candidatura. Il tempo di definire il programma e ho mandato la lettera di presentazione alla, in tempo per l’assemblea. Non avevo ancora preso ancora una decisione, mi ha convinto il dipartimento. Non potevo dire di no. Ora inizia serenamente il confronto con tutte le parti.
Come pensa che l’Università dell’Aquila debba contribuire alla ripresa della città, favorendo allo stesso tempo la propria.
Io prevedo un patto con la città, un patto vero e scritto, in cui le persone si impegnino in una specie di contratto vincolante. La ripresa del pagamento delle tasse potrebbe indubbiamente portare uno studente a ritornare sui suoi passi. Ci sono molte spese che i ragazzi devono affrontare. Non so quanto risparmi una famiglia a mandare il figlio all’Aquila. Noi possiamo garantire la qualità, migliorare qualche servizio, ma l’attrattività deve venire anche dal contesto: lo studente viene qui perché c’è una situazione accogliente.
Strada facendo molte cose si sono perse e i servizi che la città doveva offrire allo studente sono venuti a mancare. Il numero degli studenti negli anni è cresciuta e non abbiamo notato una contestuale crescita degli eventi culturali e di tutti i servizi che una città universitaria dovrebbe offrire. In realtà quando ho letto il piano strategico del Comune dell’Aquila, che è stato valutato da una commissione dell’Università, presieduta dal professor De Bernardinis, delegato all’edilizia per l’Università, mi sono accorta che l’Università sta nell’elenco delle associazioni culturali. Cosa che ha sottolineato anche la commissione.
E quale pensa che dovrà essere la posizione del nuovo Rettore nel rapporto con le istituzioni locali?
Credendo molto nelle cose scritte e facendole rispettare, con tenacia. Penso che un patto con il comune sia essenziale. Mi dicono che sono tante le casette di Berlusconi che si sono liberate, mi chiedo: se l’impegno preso dal comune con l’ADSU quattro anni fa era quello di assegnarle agli studenti appena liberate, perché non è stato ancora fatto? Evidentemente ci vuole qualcuno che verifichi e controlli, il famoso tavolo in cui in cui siano coinvolte tutte le parti.
Crede che le new town potrebbero essere sistemazioni adeguate per gli studenti?
Ma certo che no, non lo sono. Io stessa ci ho rinunciato. Le casette in sé potrebbero essere sufficienti e accoglienti per gli studenti come lo sono state per le famiglie. Il problema è il distacco da una situazione di aggregazione centrale. Questi aggregati e conglomerati, ubicati in diciannove diversi spazi della periferia aquilana, non hanno alcun servizio, lo dicono tutti coloro che ci abitano. Quindi lo studente che va lì deve comunque dipendere dai mezzi per venire a mangiare una pizza, comprarsi il giornale, andare a lezione. Non si riesce ancora a garantire dei servizi che dovrebbero essere molto facili da fornire, tipo l’implementazione delle corse dei mezzi pubblici.
Di fronte a tutto questo, come ritiene si possa arrivare ad una maggiore sinergia?
Le entità devono poter garantire una qualità a 360 gradi della vita dello studente. Da una parte lo studio e i servizi dell’università, dall’altra tutto ciò che c’è al di fuori. Ma le responsabilità sono diverse. Noi ci dobbiamo assumere il compito di pressare le istituzioni locali.
E non pensa che sia già stato fatto?
E’ stato fatto con delle lettere, con degli incontri, ma non basta. Bisogna farlo in modo più capillare, non parlando solo a livello alto, ma dialogando con tutti coloro che rappresentano quell’indotto che deve essere garantito. L’interlocutore non ti da soddisfazione, dice di sì ma poi non c’è il trasferimento della competenza ad una persona che debba occuparsene a tempo pieno.
Ma se finora non è stato fatto abbastanza, lei si pone in una posizione di continuità o discontinuità con le scelte in materia di politiche attuative? Dove andrà e in che modo l’Università degli studi dell’Aquila nei prossimi sei anni?
Non ho detto che non sia stato fatto niente. L’Università ha fatto quello che poteva, lo stesso può dirsi dei colleghi dell’ADSU. Le istituzioni locali, invece, non hanno fatto abbastanza. L’Ateneo fa delle scelte, poi il comune e la città ne fanno altre, ma dovrebbe comunque esserci accordo fra le parti. Non può continuare ad esserci questa dicotomia. Che ci siano stati gli incontri, che ci siano state delle richieste scritte è indubbio. L’ultima richiesta scritta del rettore è stata riguardo la sede di Ingegneria a Roio.
Che succederà quando 3000 studenti torneranno a Roio? Vanno integrati tutti i servizi, quello dei trasporti, quello della mensa. Abbiamo detto: “non torniamo a Roio finché non c’è tutto questo”.
Ma non era stato definitivamente deciso che Ingegneria tornasse a Roio, a settembre?
Torna a Roio, purché ci siano la mensa e i trasporti. Per questo il Rettore ha chiesto la conferenza per i servizi.
Lei ha proposto per l’Ateneo il “modello integrato”, come vorrebbe attuarlo?
L’ho già attuato nel mio dipartimento, attraverso interventi che fossero tesi al coinvolgimento maggiore del personale tecnico, molto proiettato sulla ricerca e per nulla sulla didattica. Questo ci aiuta a formare i nostri studenti soprattutto nel campo pratico. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo quanto previsto dalla legge Moratti, ovvero che il personale tecnico non potesse insegnare. Quindi recuperiamo delle risorse utili a seconda delle competenze. Mi ha dato molta soddisfazione che il personale tecnico, nel mio dipartimento, abbia aderito nella sua totalità al progetto, perché le persone si sono sentite coinvolte e valorizzate. Il tecnico prima era tenuto a distanza dagli studenti.
Anche sul fronte delle tesi, soprattutto quelle sperimentali, facciamo in modo che lo studente segua il lavoro, a partire dalla progettazione di un preciso percorso sperimentale.
E come possiamo adeguare un programma del genere al dipartimento di Scienze Umane, per corsi come Filosofia?
Non ho ancora la competenza per poter dare una risposta con cognizione di causa. Mi vengono in mente, però, l’insegnamento delle lingue, il lavoro del personale bibliotecario, non adeguatamente valorizzato. Se esistano dei veri e propri tecnici nell’ambito della Filosofia, per esempio, non lo so bene. Magari i tecnici nell’ambito dell’archeologia, quelli che si occupano delle archiviazioni, sicuramente si sentirebbero più valorizzati e coinvolti nel ciclo integrato.
Quindi comunque si lascerebbe da parte la didattica?
Quando parlo di attività formativa pratica, intendo tutto. Anche l’infermiere fa attività tecnica di laboratorio: perché non posso chiedergli un sostegno alla didattica? Quella dei tecnici è stata una componente poco integrata nella didattica, ma molto nella ricerca. Il tecnico è una figura cruciale capace di mettere insieme i due mondi. Integrarli vuol dire migliorare la didattica e la ricerca e guardare molto più all’esterno.
E’ più per le collaborazioni con gli altri atenei, come proposto da Inverardi con le rete espansa, o con quelle regionali, avanzate da Luongo?
Sono percorsi diversi e l’uno non esclude l’altro. Le università federate a livello regionale possono guardare all’estero. I rapporti inter-regionali ci aiutano a raggiungere i requisiti minimi. Comunque uno degli obiettivi è mantenere una offerta formativa di qualità. Una parte l’abbiamo persa, Lettere è stata tra quelle costrette a fare una razionalizzazione importante.
Ma sarebbe favorevole all’internazionalizzazione?
Internazionalizzare significa ridurre il numero di docenti necessari a garantire alta qualità.
Sarebbe disponibile ad un incontro aperto con gli studenti, fino ad ora in gran parte assenti dalle scene dei dibattiti pre-elettorali per il rettorato?
Ho scritto al presidente del Consiglio Studentesco che mi ha detto che non potevamo incontrarci perché quello è un organo istituzionale, sarebbe stato più giusto un incontro con le associazioni studentesche. Ho ringraziato e ho iniziato a cercare modi e canali di comunicazione per provare a incontrare gli studenti, per capire come organizzare un incontro. Se ci fosse una possibilità mi piacerebbe molto partecipare ad un dibattito con loro.