Di Eleonora Fagnani e Alessandro Tettamanti - "Non abbandonarmi e non mortificarmi. Questi due verbi sintetizzano l’essenza dell’istituto dell’amministrazione di sostegno". Paolo Cendon, intervenendo stamane nel convegno 'L’amministrazione di sostegno, nuovo strumento a protezione delle fragilità', ha definito così l’istituto di diritto privato da lui ideato.
Introdotto nel codice civile italiano nel 2004, dopo 15 anni di discussione in parlamento della cosiddetta bozza Cendon risalente al 1986, l’amministrazione di sostegno aveva lo scopo di superare l’interdizione quale unica risposta legislativa all’esigenza di tutela dei soggetti deboli.
"Con questa legge si consuma il passaggio da una concezione paternalistica a una promozionale della fragilità". Per Paolo Cendon, se da un lato l’interdizione prevede una forma di protezione assoluta che toglie diritti al soggetto interdetto, l’amministrazione di sostegno, mettendo al centro la persone e le sue necessità, garantisce una tutela nell’ambito di una sorta di "contratto a titolo gratuito" - come lo ha definito il giurista - che nulla toglie al beneficiario.
A differenza dell’interdizione e dell’inabilitazione, infatti, l’amministrazione di sostegno non prevede misure standard da adottare a tutela del soggetto. È il giudice che, esaminando caso per caso, definisce le condizioni di protezione cercando di limitare il meno possibile l’autonomia della persona.
"Bisogna sempre ragionare sulle conseguenze che l’azione dell’amministrazione di sostegno ha nella vita del beneficiario – ha spiegato Cendon – Il principio di beneficialità è alla base di questo istituto giuridico".
Nell’illustrare la disciplina dell’amministrazione di sostegno, Cendon si è soffermato sulla necessità di immaginare un modello che sappia coniugare il momento giurisdizionale, legislativo e amministrativo in vista di un’organizzazione più efficace delle fragilità sociali. In questo modo, da un lato si potrebbe snellire il lavoro del giudice tutelare, dall’altro rafforzare la protezione dei soggetti deboli attraverso il lavoro congiunto di operatori sociali e amministratori locali.
"A livello comunale è necessaria l'istituzione di uno sportello che metta insieme le risorse del volontariato, dei familiari. Sono gli enti locali a dover far li funzionare, gestendo i rapporti con la cittadinanza e quelli con il giudice tutelare". E rivolgendosi direttamente tramite la telecamera di NewsTown all'assessora Di Giovambattista, presente inizialmente al convegno ma andata via prima del suo intervento, Paolo Cendon ha aggiunto: "L'assessore alle politiche sociali è la diretta interessata, avrei dovuto parlarne con lei ma è andata via. Cara Assessore, se vuole che tutte i soggetti fragili di L'Aquila e dintorni non siano così fragili, tutte le forrze, le potenzialità e le risorse vanno organizzate dal Comune che deve essere il protagonista della vita quotidiana".