Questo giornale riporta da tempo fatti e opinioni sulla grande opera che vorrebbe realizzare la Snam (Società nazionale dei metanodotti) tra Sulmona (L'Aquila) e Minerbio (Bologna), parte del gasdotto Rete adriatica che va dalla Puglia all'Emilia. Qualcuno lo ha ribattezzato serpente di metano. Un tubo dal diametro di 120 centimetri, a pochi metri sotto terra, che dovrebbe attraversare tutti - nessuno escluso - gli epicentri delle più forti scosse di terremoto che hanno stravolto negli ultimi otto anni l'Italia centrale.
Se ne è parlato giovedì scorso a CaseMatte, lo spazio sociale nato all'Aquila dopo il terremoto del 2009, dove sono stati invitati alcuni giovani del collettivo AltreMenti della Valle Peligna. Da tempo in quelle zone l'affaire della Snam è sentito, ma si sta per aprire uno squarcio (e un fronte) anche nel comprensorio aquilano e nel capoluogo stesso.
Da qualche anno, per esempio, è attiva in tal senso l'amministrazione degli usi civici di Paganica, popolatissima frazione dell'Aquila, mentre qualche chilometro a nord si interessa al progetto Snam anche il comitato di Montereale (L'Aquila), epicentro di una delle tre forti scosse dello scorso 18 gennaio.
In sostanza la multinazionale Snam vorrebbe utilizzare l'Italia come un gas-hub - definito così dall'azienda stessa - con gas proveniente dall'Algeria e dal Caspio, per farne un centro nodale per la redditizia esportazione nel Europa del nord. Fatte le dovute proporzioni, il progetto trasformerebbe il Centro Italia in una sorta di Delta del Niger nostrano, se compariamo lo sfruttamento dei territori in relazione alle inesistenti (quando non dannose) ricadute ambientali, economiche, sociali e in termini di rischio sismico per le comunità.
Gli equilibri geopolitici, si sa, sono cambiati. E così l'Italia stessa, nel cuore di un'Europa in crisi di liquidità e identità, perde costantemente credibilità e autorevolezza internazionale, diventa semplice stazione di servizio per il passaggio di interessi transnazionali che impongono nuovi forti protagonisti, dalla Russia ai paesi asiatici, passando per il Nordafrica. In un processo che vede suo malgrado come terminale il territorio periferico della provincia e le sue numerose comunità.
Succede così che si ritiene strategica una grande opera come il metanodotto Snam, nonostante il consumo di gas sia sceso in Italia del 28% nell'ultimo decennio, e in Abruzzo sia crollato del 48% solo nel quinquennio 2009-2014. Tutto ciò in un contesto che vede l'Appennino centrale cadere letteralmente a pezzi, tra terremoti, frane, smottamenti e mancata messa in sicurezza del territorio montano.
Il potenziamento del metanodotto investirebbe nel suo primo tratto iniziale il territorio di Sulmona, nel quale verrebbe realizzata anche una centrale a compressione, e Foligno (Perugia). Un tratto appenninico lungo 167 km su zone a rischio sismico 1 e 2: i gradi più elevati, come ha dimostrato anche la sfortunata storia recente di quei territori.
Non è però solo il sisma a minacciare la sicurezza delle comunità che convivono con centrali e metanodotti: negli ultimi 12 anni ben 8 sono stati gli incidenti che hanno visto coinvolta in qualche modo la rete Snam. L'ultimo, in Abruzzo, meno di due anni fa [leggi]: a Pineto (Teramo) un modesto smottamento del terreno procurò un'esplosione della rete gas (nella foto), con case distrutte, fiamme alte 10 metri e 12 persone rimaste intossicate.
Dalla chiamata aquilana è emersa la necessità di allargare il fronte di opposizione al progetto. A gran voce i comitati chiedono che si rispetti una risoluzione della Camera dei Deputati del 2011, e che "impegna il Governo ad assumere tutte le iniziative di competenza [...] per disporre la modifica del tracciato ed escludere la fascia appenninica al fine di evitare, sia gli alti costi ambientali che deriverebbero, sia l'elevato pericolo per la sicurezza dei cittadini dovuto al rischio sismico che metterebbe a dura prova la vulnerabilità del metanodotto".
Guardando al breve e medio termine, invece, si mira a sensibilizzare maggiormente le popolazioni, indurre a ripensare le priorità nelle politiche pubbliche - il famoso no alle grandi opere, sì alla messa in sicurezza del territorio che i movimenti aquilani chiedono da anni - e tentare di riequilibrare le esigenze di territori in via di spopolamento con gli interessi economici delle grandi aziende.
Nelle prossime settimane verranno organizzati altri incontri pubblici nel capoluogo di regione, che mirano a coinvolgere principalmente le amministrazioni degli usi civici, fondamentali perché proprietarie di molti dei terreni interessati dal tracciato del metanodotto.
Nel periodo storico in cui la politica e i media nazionali hanno scoperto l'esistenza delle aree interne appenniniche, potrebbe essere il momento propizio per far passare l'idea che l'Italia centrale non può e non deve essere terra di conquista.